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20/02/2015

Sulla questione dei danni di guerra della Germania alla Grecia

Alcuni interventori hanno obiettato che non ha senso porre la questione dei danni di guerra subiti dalla Grecia da parte della Germania, sia perché sarebbe impossibile riaprire la questione dei danni di una guerra ormai lontana nel tempo (c’è anche chi ha parlato delle razzie di opere d’arte fatte da Napoleone), sia perché la guerra alla Grecia la dichiarò l’Italia (che, quindi sarebbe stata la maggiore responsabile) e la Germania intervenne solo dopo.

Allora: la questione dei danni di guerra dal punto di vista del diritto internazionale è molto intricata e per nulla superata (le guerre napoleoniche non c’entrano nulla). La Grecia venne dissuasa da Inglesi e Americani a tornare sulla questione con troppa insistenza perché la Germania era diventata una alleata.
Come ricorda la Repubblica del’11 febbraio scorso, la questione più delicata è quella dei valori prelevati dai tedeschi dalla Banca di Grecia. E se è vero che la guerra con la Grecia la iniziò l’Italia, è anche vero che l’occupazione fu essenzialmente tedesca, per cui principale responsabile fu la Germania che concretamente produsse la grande maggioranza dei danni.

Dopo lunghe trattative, nel 1960, la Grecia ricevette dalla Germania 115 milioni di marchi, concordati nella Conferenza di Londra del 1953. Il punto è che i tedeschi ritengono quella cifra esaustiva del loro debito, mentre i greci la ritengono solo un acconto. Peraltro, un vero e proprio trattato di pace fra i due paesi non c’è, per quanto la questione possa sembrar strana, dato che entrambi sono alleati nella Nato e nella Ue. I tedeschi ritengono che il Trattato per la regolamentazione finale delle intese con la Germania, sottoscritto a Mosca nel 1990, assorba la questione e nel trattato non si fa cenno ai danni di guerra, i greci ritengono che, nel silenzio del trattato, la questione sia aperta. Come si vede, su un piano giuridico entrambi i paesi hanno le loro ragioni da far valere e qui non mi interessa intervenire nel merito; mi interessa, invece, porre la questione da un altro punto di vista, perché il diritto è una gran bella cosa, ma la politica è più importante, soprattutto se si tratta di questioni internazionali.

Qui siamo di fronte ad una questione politica da esaminare nel suo complesso e non si tratta solo dei torti della Germania verso la Grecia sia antichi (la guerra) che nuovi (la corruzione di funzionari ministeriali e alti ufficiali per agevolare l’acquisto di inutilissimi sistemi d’arma prodotti da aziende tedesche e francesi: una delle voci più cospicue del disavanzo greco). Va considerata soprattutto la particolare condizione politica della Germania dopo la fine della guerra fredda ed i vantaggi di cui ha goduto in questi anni.

La Germania ha pagato a lungo le conseguenze della sua guerra, con uno stato di minorità politica e la divisione in due stati durata sino al 1990. Da questo stato ne uscì, facendo accettare la sua unificazione alla comunità internazionale, grazie all’opera di mediazione del presidente francese Mitterrand, che si illuse di scongiurarne sue eventuali mire dominatrici estendendo il Marco all’intera Europa, sotto il nome di Euro. In questo modo, pensò che avrebbe avuto una ”Germania Europea”.

Ebbe più ragione la Tatcher ad avvertirlo “avrai una Europa tedesca”. E l’Euro non fu affatto un cattivo affare per la Germania, sia perché sostenne vigorosamente le sue esportazioni nell’Eurozona, sia perché rafforzò la sua posizione sui mercati finanziari, consentendole di pagare la ricostruzione dei land orientali a costi finanziari bassissimi e, comunque, molto minori di quelli che avrebbe dovuto sopportare se la moneta fosse stata ancora il marco: la Germania potette approvvigionarsi con abbondanza delle risorse finanziarie necessarie ed a costi molto contenuti, perché la più ampia base di riferimento assicurata da una moneta continentale, giocò a favore di tutti gli europei in generale, ma della Germania in particolare.

Poi, Berlino ebbe la possibilità di rientrare nel grande gioco grazie al manto europeo, perché se si fosse presentata con il solito vestito, difficilmente sarebbe stata ammessa nel club. Sia che si trattasse del vestito da “nano politico” del dopoguerra, sia se si fosse trattato di un nuovo abito color grigio-Wermacht.

Ora la Germania deve decidere cosa vuol fare “da grande” e che atteggiamento avere verso l’Europa, in altri termini, deve dimostrare di essere diversa da quella Germania che, dal 1871 al 1945 ha pensato di dare l’assalto al potere europeo (e da esso al potere mondiale) in termini di dominio, neppure di egemonia. Per il dominio bastano i rapporti di forza, l’egemonia richiede anche il consenso e la seduzione culturale, due cose di cui la Germania è sempre stata piuttosto carente (badate che non ho parlato di “influenza” culturale ma di “seduzione”). Berlino ha tutti i diritti di candidarsi ad essere la “capitale d’Europa”, ma se vuol farlo in termini di egemonia e non di dominio, deve accettare di pagarne i costi.

La vicenda greca si presenta come una splendida cartina di tornasole: se davvero esiste una “Germania europea”, accettare, in qualche modo, le richieste greche (magari sotto forma di integrazione ai danni di guerra) è un ottimo modo per dimostrarlo. Ma, soprattutto, accettare una ristrutturazione del debito di tutti i paesi europei, magari attraverso il trasferimento alla Bce della quota di esso eccedente il 60% del Pil di ciascun paese indebitato, sarebbe il primo passo verso una vera integrazione europea come la messa in comune del debito di ciascuno fu il vero atto di nascita degli Stati Uniti d’America. Ed il progetto di una reale unione europea potrebbe riprendere fiato. Ma, se come siamo convinti accadrà, la Germania privilegerà i suoi gretti interessi nazionali, per l’Europa non ci sarà un’altra prova d’appello: sarà la dimostrazione parlante che essa è stata solo l’espediente opportunisticamente usato dalla Germania di sempre per la ripresa dei suoi progetti di dominio. E sarà anche la fine della Ue e di tutto quel che ci sta intorno.


Dati gli auspici, che fine dell'UE sia.

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