A metà anni ottanta Bettino Craxi
sollevò il problema della “governabilità”, prontamente soccorso dal
prof. Giancarlo Miglio che, statistiche alla mano, dimostrò che l’Italia
era un paese patologicamente instabile: la durata dei governi era fra
le più basse d’Europa, il processo decisionale fra i più lenti, il
Parlamento fra i meno produttivi quanto a riforme di grande portata,
mentre eccelleva per la produzione di interesse microsettoriale ecc.
La colpa di tutto questo era da dare
alla forma di governo parlamentare, che, connessa al sistema elettorale
proporzionale, produceva la particolare forma del governo di coalizione,
esposto ad un continuo mercanteggiamento interno ed a frequenti crisi
di governo. Il che, in una certa misura, era vero.
I rimedi proposti da Craxi e da Miglio
erano il passaggio a forme di governo presidenziali (Miglio) o semi
presidenziali (Craxi) e la modifica del sistema elettorale attraverso
l’introduzione di soglie di sbarramento, che favorissero la fusione fra
forze affini. Queste proposte vennero vivamente criticate a sinistra
(all’epoca il Pci era all’opposizione ed era molto sensibile alla tutela
delle minoranze ed al principio della rappresentatività parlamentare,
sostanzialmente per proteggere sé stesso). Si obiettò che la
governabilità non è un valore in sé stesso, diversamente occorrerebbe
dire che il miglior governo è stato il governo Mussolini, sicuramente il
più stabile, omogeneo e decisionista che il paese abbia mai avuto.
La qualità dell’azione di governo
non può essere giudicata sul piano della sua durata e della velocità
dei processi decisionali, ma investe anche il merito delle scelte
operate.
D’altro canto, l’idea di democrazia che
la Resistenza aveva sedimentato era basata sulla più ampia
partecipazione popolare ed il regime parlamentare, proprio attraverso le
sue “fessure”, le sue contraddizioni, le sue “instabilità” garantiva
che l’esecutivo non si affrancasse troppo dalla base popolare: il
mandato elettorale non era inteso come una autorizzazione in bianco per
una durata quinquennale. E, dunque, la sinistra denunciava il carattere
autoritario del disegno craxiano e di Miglio.
In realtà, quel progetto era influenzato
dal modello di “governo forte” prodotto dall’esperienza francese che è
un sistema parlamentare modificato in senso “semi presidenziale”,
peraltro, era assai meno autoritario di quanto non sarebbe emerso di lì a
qualche anno.
Infatti, dopo poco iniziò a spirare il
vento neo liberista, per sua natura oligarchico ed antidemocratico e
l’assalto alla democrazia fu ben più pesante. E furono i radicali a
farsene portatori insieme all’esponente della destra democristiana Mario
Segni (un nome, una garanzia!).
Ma la svolta non sarebbe passata se, ad
assecondarla e sostenerla non si fosse aggiunto il Pds, il cui gruppo
dirigente occhettiano stupiva, prima ancora che per l’assoluto
opportunismo, per la sconcertante impreparazione. Il Pds, conquistato
alla cultura emergenzialista del neo-liberismo, fu lo strumento cieco
del colpo di Stato che ha portato alla Seconda Repubblica.
Peraltro, l’adozione del sistema
maggioritario non realizzò nessuno dei miracoli che si riprometteva: la
durata media dei governi crebbe, ma di assai poco, ed, in venti anni,
non c’è stato un solo “governo di legislatura”. Il processo decisionale
non è stato più rapido, in compenso è cresciuto e di molto il numero
delle “riforme sbagliate” (cioè che hanno ottenuto risultati opposti a
quelli pensati, ma su questo torneremo). E non si realizzò neppure il
promesso bipartitismo, ma un ben più modesto bipolarismo che,
sostanzialmente, manteneva la natura del “governo di coalizione”,
semplicemente anticipando la formazione delle coalizioni a prima del
voto. Proliferarono, in compenso, i piccoli partiti “personali” pronti a
passare da uno schieramento all’altro. Soprattutto la geniale riforma
incrementò un nomadismo parlamentare che rinnovava i fasti del
parlamento pre fascista. Tutto questo è governabilità?
Ma, poi, siamo sicuri che l’assenza di
governo sia un fenomeno da cui temere disastri irreparabili? Beninteso:
meglio avere istituzioni funzionanti che paralizzate, ma vorrei
ricordare che il Belgio è stato senza governo per 30 mesi di fila e non
mi pare sia sprofondato in chissà quale baratro. Peraltro non è per
nulla vero che governo di coalizione e relativa instabilità siano
incompatibili con un accettabile rendimento del sistema politico. Come
dimostrano infiniti esempi.
Forse vale la pena di ricordare che il sistema parlamentare-proporzionale della prima repubblica ha prodotto un riformismo
ben più forte ed incisivo di quanto poi non si sia dimostrato capace di
fare il sistema politico della seconda repubblica: riforma della media
unificata e scolarizzazione di massa, riforma del codice di procedura
penale, statuto dei diritti dei lavoratori, legge “erga omnes”,
divorzio, istituzione della giustizia amministrativa, nuovo diritto di
famiglia, riforma sanitaria, riforma agraria e potremmo continuare a
lungo. Tutte riforme che surclassano per qualità, rendimento e durata le
“riformicchie” e le controriforme del parlamento della seconda
repubblica, senza alcun possibile confronto.
E spiace dire, ma è vero, che la maggior
parte delle riforme peggiori e più antipopolari le hanno fatte i
governi di centro sinistra. Pensate solo alla riforma del Titolo V della
Costituzione fatta nel 2000 ed alla quale si sta rimettendo ora mano
per la sua assoluta inefficienza (anche se l’attuale rimedio mi sembra
ancora peggiorativo della riforma precedente).
La “governabilità” della seconda
repubblica ha messo in fila solo una lunga serie di fallimenti. Di
fatto, il sistema maggioritario ha conseguito un solo risultato vero:
blindare il sistema politico, assicurando ai due maggiori partiti la
comoda rendita di posizione del “voto utile”, senza la quale tanto
Forza Italia, quanto e più ancora il Pdi-Ds-Pd sarebbero saltati in aria
già sette-otto anni fa. La variante attuale è quella di assicurare
questa rendita al solo Pd, trasformato in un partito omnibus, di destra,
di centro e di “sinistra”, alternativo a sé stesso: un vero regime.
Mi si chiede ma che governo verrebbe
fuori da un parlamento diviso più o meno in egual misura fra Fi, Pd e
M5s? Semplice: un qualche governo di coalizione. Fra chi? C’è un errore
concettuale molto forte nell’applicare le nuove formule che trasformano i
voti in seggi ai risultati delle ultime elezioni o degli ultimi
sondaggi per ricavare una certa composizione del prossimo Parlamento.
L’errore consiste nel non considerare che un nuovo sistema elettorale
modifica il comportamento tanto degli elettori quanto delle forze
politiche. Quando si passò al sistema maggioritario, l’ufficio studi
della Camera curò un volumetto (che conservo gelosamente) nel quale si
ricalcolavano i risultati delle elezioni precedenti sulla base di nuovi
collegi elettorali e della quota proporzionale prevista dalla legge
appena approvata. Il risultato era che la Dc avrebbe vinto qualunque
fossero state le aggregazioni possibili, la sinistra avrebbe perso e la
destra sarebbe scomparsa o, al massimo, avrebbe ottenuto una decina di
seggi di quota proporzionale mentre la Lega ne avrebbe conquistati
alcuni nei collegi uninominali. Morale: solo 5 mesi dopo la Dc era
spazzata via, il suo erede, il Ppi, vinceva in solo 4 collegi
uninominali e prendeva in tutto 46 seggi. La sinistra (Pds, Verdi, Rete,
Rifondazione e quel che restava del Psi) prendeva poco più di un terzo
dei seggi, mentre la vittoria andava alla coalizione di destra, al cui
interno il partito con più voti era Forza Italia, formatasi solo tre
mesi prima. I partiti non erano più gli stessi e l’elettorato si
distribuiva in modo assai difforme alle precedenti elezioni ed anche ai
sondaggi.
E’ molto probabile che il ritorno ad un
sistema para proporzionale rimescoli le carte, che nascano nuovi
partiti, se ne spacchino o ne scompaiano di precedenti, e l’elettorato
si redistribuisca in modo diverso. C’è anche da calcolare il diverso
effetto del voto di preferenza sulla scelta della lista.
Come si fa a dire ora che parlamento
verrà fuori? Quando ci saranno i risultati vedremo cosa è possibile
fare. A volte si ha la sensazione che l’ideale di democrazia per la
gente del Pd sia che i risultati siano noti prima ancora del voto. Ed è
anche ragionevole pensare che assisteremo ad un rimescolamento che
chiederà più di un turno di elezioni politiche per acquisire una
conformazione stabile. Cosa c’è di strano?
Ma se proprio si ritiene che occorra a
tutti i costi assicurare il sacro totem della “governabilità”, si abbia
il coraggio di fare la scelta più conseguente: proporre una riforma
presidenziale. L’unico modo per assicurare un governo stabile per un
determinato periodo, è il presidenzialismo, che, peraltro, può benissimo
convivere con un parlamento eletto con sistema proporzionale. Certo
occorrerebbe rivedere tutta la Costituzione (e magari eleggere
un’apposita Assemblea Costituente) ma almeno avremmo un assetto coerente
delle istituzioni. Io sono per la repubblica parlamentare, ma una
repubblica presidenziale con un parlamento davvero rappresentativo non
mi scandalizza affatto ed è preferibile a questo sgorbio di repubblica
che non è parlamentare, non è presidenziale ma è di proprietà personale
dell’Unto o untorello di turno.
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