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25/02/2015

Il mito della governabilità

A metà anni ottanta Bettino Craxi sollevò il problema della “governabilità”, prontamente soccorso dal prof. Giancarlo Miglio che, statistiche alla mano, dimostrò che l’Italia era un paese patologicamente instabile: la durata dei governi era fra le più basse d’Europa, il processo decisionale fra i più lenti, il Parlamento fra i meno produttivi quanto a  riforme di grande portata, mentre eccelleva per la produzione di interesse microsettoriale ecc.

La colpa di tutto questo era da dare alla forma di governo parlamentare, che, connessa al sistema elettorale proporzionale, produceva la particolare forma del governo di coalizione, esposto ad un continuo mercanteggiamento interno ed a frequenti crisi di governo. Il che, in una certa misura, era vero.

I rimedi proposti da Craxi e da Miglio erano il passaggio a forme di governo presidenziali (Miglio) o semi presidenziali (Craxi) e la modifica del sistema elettorale attraverso l’introduzione di soglie di sbarramento, che favorissero la fusione fra forze affini. Queste proposte vennero vivamente criticate a sinistra (all’epoca il Pci era all’opposizione ed era molto sensibile alla tutela delle minoranze ed al principio della rappresentatività parlamentare, sostanzialmente per proteggere sé stesso). Si obiettò che la governabilità non è un valore in sé stesso, diversamente occorrerebbe dire che il miglior governo è stato il governo Mussolini, sicuramente il più stabile, omogeneo e decisionista che il paese abbia mai avuto.

La qualità dell’azione di governo non può essere giudicata sul piano della sua durata e della velocità dei processi decisionali, ma investe anche il merito delle scelte operate.

D’altro canto, l’idea di democrazia che la Resistenza aveva sedimentato era basata sulla più ampia partecipazione popolare ed il regime parlamentare, proprio attraverso le sue “fessure”, le sue contraddizioni, le sue “instabilità” garantiva che l’esecutivo non si affrancasse troppo dalla base popolare: il mandato elettorale non era inteso come una autorizzazione in bianco per una durata quinquennale. E, dunque, la sinistra denunciava il carattere autoritario del disegno craxiano e di Miglio.

In realtà, quel progetto era influenzato dal modello di “governo forte” prodotto dall’esperienza francese che è un sistema parlamentare modificato in senso “semi presidenziale”, peraltro, era assai meno autoritario di quanto non sarebbe emerso di lì a qualche anno.

Infatti, dopo poco iniziò a spirare il vento neo liberista, per sua natura oligarchico ed antidemocratico e l’assalto alla democrazia fu ben più pesante. E furono i radicali a farsene portatori insieme all’esponente della destra democristiana Mario Segni (un nome, una garanzia!).

Ma la svolta non sarebbe passata se, ad assecondarla e sostenerla non si fosse aggiunto il Pds, il cui gruppo dirigente occhettiano stupiva, prima ancora che per l’assoluto opportunismo, per la sconcertante impreparazione. Il Pds, conquistato alla cultura emergenzialista del neo-liberismo, fu lo strumento cieco del colpo di Stato che ha portato alla  Seconda Repubblica.

Peraltro, l’adozione del sistema maggioritario non realizzò nessuno dei miracoli che si riprometteva: la durata media dei governi crebbe, ma di assai poco, ed, in venti anni, non c’è stato un solo “governo di legislatura”. Il processo decisionale non è stato più rapido, in compenso è cresciuto e di molto il numero delle “riforme sbagliate” (cioè che hanno ottenuto risultati opposti a quelli pensati, ma su questo torneremo). E non si realizzò neppure il promesso bipartitismo, ma un ben più modesto bipolarismo che, sostanzialmente, manteneva la natura del “governo di coalizione”, semplicemente anticipando la formazione delle coalizioni a prima del voto. Proliferarono, in compenso, i piccoli partiti “personali” pronti a passare da uno schieramento all’altro. Soprattutto la geniale riforma incrementò un nomadismo parlamentare che rinnovava i fasti del parlamento pre fascista. Tutto questo è governabilità?

Ma, poi, siamo sicuri che l’assenza di governo sia un fenomeno da cui temere disastri irreparabili? Beninteso: meglio avere istituzioni funzionanti che paralizzate, ma vorrei ricordare che il Belgio è stato senza governo per 30 mesi di fila e non mi pare sia sprofondato in chissà quale baratro. Peraltro non è per nulla vero che governo di coalizione e relativa instabilità siano incompatibili con un accettabile rendimento del sistema politico. Come dimostrano infiniti esempi.

Forse vale la pena di ricordare che il sistema parlamentare-proporzionale della prima repubblica ha prodotto un riformismo ben più forte ed incisivo di quanto poi non si sia dimostrato capace di fare il sistema politico della seconda repubblica: riforma della media unificata e scolarizzazione di massa, riforma del codice di procedura penale, statuto dei diritti dei lavoratori, legge “erga omnes”, divorzio, istituzione della giustizia amministrativa, nuovo diritto di famiglia, riforma sanitaria, riforma agraria e potremmo continuare a lungo. Tutte riforme che surclassano per qualità, rendimento e durata le “riformicchie” e le controriforme del parlamento della seconda repubblica, senza alcun possibile confronto.

E spiace dire, ma è vero, che la maggior parte delle riforme peggiori e più antipopolari le hanno fatte i governi di centro sinistra. Pensate solo alla riforma del Titolo V della Costituzione fatta nel 2000 ed alla quale si sta rimettendo ora mano per la sua assoluta inefficienza (anche se l’attuale rimedio mi sembra ancora peggiorativo della riforma precedente).

La “governabilità” della seconda repubblica ha messo in fila solo una lunga serie di fallimenti. Di fatto, il sistema maggioritario ha conseguito un solo risultato vero: blindare il sistema politico, assicurando ai due maggiori partiti la comoda rendita di posizione del “voto utile”, senza la quale tanto Forza Italia, quanto e più ancora il Pdi-Ds-Pd sarebbero saltati in aria già sette-otto anni fa. La variante attuale è quella di assicurare questa rendita al solo Pd, trasformato in un partito omnibus, di destra, di centro e di “sinistra”, alternativo a sé stesso: un vero regime.

Mi si chiede ma che governo verrebbe fuori da un parlamento diviso più o meno in egual misura fra Fi, Pd e M5s? Semplice: un qualche governo di coalizione. Fra chi? C’è un errore concettuale molto forte nell’applicare le nuove formule che trasformano i voti in seggi ai risultati delle ultime elezioni o degli ultimi sondaggi per ricavare una certa composizione del prossimo Parlamento. L’errore consiste nel non considerare che un nuovo sistema elettorale modifica il comportamento tanto degli elettori quanto delle forze politiche. Quando si passò al sistema maggioritario, l’ufficio studi della Camera curò un volumetto (che conservo gelosamente) nel quale si ricalcolavano i risultati delle elezioni precedenti sulla base di nuovi collegi elettorali e della quota proporzionale prevista dalla legge appena approvata. Il risultato era che la Dc avrebbe vinto qualunque fossero state le aggregazioni possibili, la sinistra avrebbe perso e la destra sarebbe scomparsa o, al massimo, avrebbe ottenuto una decina di seggi di quota proporzionale mentre la Lega ne avrebbe conquistati alcuni nei collegi uninominali. Morale: solo 5 mesi dopo la Dc era spazzata via, il suo erede, il Ppi, vinceva in solo 4 collegi uninominali e prendeva in tutto 46 seggi. La sinistra (Pds, Verdi, Rete, Rifondazione e quel che restava del Psi) prendeva poco più di un terzo dei seggi, mentre la vittoria andava alla coalizione di destra, al cui interno il partito con più voti era Forza Italia, formatasi solo tre mesi prima. I partiti non erano più gli stessi e l’elettorato si distribuiva in modo assai difforme alle precedenti elezioni ed anche ai sondaggi.

E’ molto probabile che il ritorno ad un sistema para proporzionale rimescoli le carte, che nascano nuovi partiti, se ne spacchino o ne scompaiano di precedenti, e l’elettorato si redistribuisca in modo diverso. C’è anche da calcolare il diverso effetto del voto di preferenza sulla scelta della lista.

Come si fa a dire ora che parlamento verrà fuori? Quando ci saranno i risultati vedremo cosa è possibile fare. A volte si ha la sensazione che l’ideale di democrazia per la gente del Pd sia che i risultati siano noti prima ancora del voto. Ed è anche ragionevole pensare che assisteremo ad un rimescolamento che chiederà più di un turno di elezioni politiche per acquisire una conformazione stabile. Cosa c’è di strano?

Ma se proprio si ritiene che occorra a tutti i costi assicurare il sacro totem della “governabilità”, si abbia il coraggio di fare la scelta più conseguente: proporre una riforma presidenziale. L’unico modo per assicurare un governo stabile per un determinato periodo, è il presidenzialismo, che, peraltro, può benissimo convivere con un parlamento eletto con sistema proporzionale. Certo occorrerebbe rivedere tutta la Costituzione (e magari eleggere un’apposita Assemblea Costituente) ma almeno avremmo un assetto coerente delle istituzioni. Io sono per la repubblica parlamentare, ma una repubblica presidenziale con un parlamento davvero rappresentativo non mi scandalizza affatto ed è preferibile a questo sgorbio di repubblica che non è parlamentare, non è presidenziale ma è di proprietà personale dell’Unto o untorello di turno.

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