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23/02/2015

La scuola del tracollo di Matteo Renzi e del Pd

Cominciamo subito da un luogo comune, da relitti della politica, da sfatare immediatamente: il documento “La buona scuola”, base del programma renziano di ristrutturazione del settore non va minimamente bene neanche nei principi. Solo il cretinismo di sinistra, incredibilmente ancora presente in sacche di società, può pensare una cosa del genere. Basti dire che si parla di comunità territoriali che, una volta fatta un po' di ricerca sul piano della sociologia dell’educazione, si capisce che non esistono che nell’ideologia. La “buona scuola” rappresenta piuttosto un formidabile arretramento, proprio sul piano della concezione della società e della tutela dei diritti, rispetto al modo di vedere la società che si impone con le ristrutturazioni a venire. Non solo, “la buona scuola” è qualcosa di fermo alla buona vecchia educazione nazionale come se i sistemi educativi fossero ancora quelli del XX secolo. Ma è proprio qui che l’ideologia orwelliana di Renzi applicata alla scuola, della quale si vuol praticare la dismissione proclamandone il rilancio, incontra la residua ideologia standard di sinistra, disorientata dalle ristrutturazioni e bisognosa di punti di riferimento. Nell’idea di una calda scuola nazionale, aperta a qualche puntatina di nuovo (la capacità di fare app) recuperando tradizioni e creatività territoriale (persino un rapporto con le istituzioni musicali che, giova dirlo, sono state massacrati dal renzismo reale). Idea che al Pd e al governo serve per produrre ideologia, ottenendo consenso per poi dismettere, mentre al resto serve per assumere identità. Una purché sia una, in un mondo che gli operatori della scuola vedono, in maggioranza, oscuro, ostile e privo di prospettive.

Ma a quale logica sovrintende il tentativo, nelle prossime settimane vedremo quanto riuscito, di Renzi di mettere le mani sulla scuola?

Non solo ad un logica di tagli di posti e stipendi d'insegnanti, mascherati ovviamente da valutazioni di merito sul personale docente, da assunzione solo per concorso e esplicitati da una ulteriore verticalizzazione delle gerarchie del rapporto di lavoro. Quella è materia che dipende direttamente da Padoan, quindi si trova nei patti di stabilità. I quali comunque parlano chiaro: l’alto livello degli avanzi primari di bilancio dell’Italia dei prossimi anni avrà un riflesso diretto sulla contrazione delle risorse destinate alla scuola. Istituto che avrà bisogno, secondo questa logica, di tagliare stipendi per “liberare” risorse. Le cifre sparate da Renzi, milioni e miliardi per la scuola, vanno tutte inquadrate in questo calcolo: qualsiasi cifra sia, verrà “liberata” da quando si “risparmierà” nella partita di giro degli stipendi. Poi ci sono gli appassionati della ricognizione del volo degli asini che vedono cose mirabolanti, o favolosi pertugi di autonomia, nella scuola renziana. Che dire, per certe visioni, era meglio l’LSD dei ruggenti anni '60.

Ma c’è un altro punto, ancora più importante che sfugge a tanti quadranti che osservano la scuola solo con occhi anni ’80 quindi in una dimensione squisitamente nazionale. La contrazione delle risorse comunitarie per i settori educazione, formazione e assimilabili – entro un’idea di ricerca che più jobkiller non si può – toglie fondi per l’innovazione che sono ottenibili tramite la cooperazione europea. Questo grazie ai tagli, applauditi dagli stessi giornali italiani che oggi applaudono la buona scuola, ottenuti in sede di trattativa Ue da Mario Monti (il cui partito ha espresso l’attuale ministro dell’istruzione oggi riparata nel PD).

Questo punto non va visto come una storia lontana. Anzi. E qui bisogna un attimo guardare a come funziona tutto il settore sapere (dal nido fino al post-laurea) secondo l’Ue. Da una parte i sistemi nazionali hanno sovranità sul sapere del proprio paese, dall’altra i fondi comunitari servono, a tutti i livelli educativi, a garantire sperimentazione, innovazione e cooperazione.

Visto che l’Italia ha cannibalizzato i fondi per garantire il sapere nel proprio paese (basti dire che in Olanda, che è un po’ più piccola rispetto all’Italia, l’equivalente del MIUR italiano ha oltre un miliardo di fondi su progetti nazionali dove l’Italia prevede 50 milioni. Questo in un paese liberista..) all’Italia restano quindi i fondi comunitari per garantire innovazione, a tutti i livelli educativi, e cooperazione, essenziale in un mondo dove la dimensione nazionale viene superata in ogni attività umana ogni giorno. Già e qui, non a caso, nella “buona scuola”, orrendo neologismo di chiaro stampo veltroniano, si insiste sull’autonomia scolastica e sulla capacità degli istituti di praticarla specie nelle fonti di finanziamento. Perché in Europa funziona così: i finanziamenti, che per molti istituti di base del prossimo futuro saranno essenziali, non li ottieni per diritto ma attraverso sistemi complessi di competizioni continentali. Non a caso né Renzi né Giannini prevedono di preparare a questa competizione gli istituti scolastici (in fondi che vanno dall’edilizia, all’innovazione, allo scambio di esperienze, alla capacità stessa di riprodurre l’autonomia finanziaria degli istituti). Questa capacità di competere e di attirare fondi, nelle scuole di ogni ordine e grado come nelle università, è il vero vantaggio che Renzi e Giannini danno alla rete del sapere amica rispetto al grande corpaccione del sistema italiano del sapere. Corpaccione destinato a ricevere, nel tempo, colpi sempre più micidiali nella spirale, che si sta già creando oggi, tra esaurimento di fondi ed incapacità di crearli. E qui che il sistema del sapere italiano, dal nido al post-laurea, si sia spezzato, in punti di eccellenza e zone sempre più vaste di arretratezza, è cosa chiara ed evidente fin dalla gestazione della riforma Berlinguer (seconda metà anni ’90). E’ forse meno chiaro che: a) questo spezzamento dei sistemi del sapere è una caratteristica tipica della formazione e dell’educazione del mondo liberista, fin dagli anni ’80, che prevede punte di eccellenza che dialogano col mercato, o sono esse stesse mercato, mentre il resto degrada con la parte di società di riferimento b) giusto prima della trattativa con la Grecia sulla questione dei prestiti ponte, la Germania (fonte Die Welt) ha espresso a livello Ue la necessità di accelerare questa dinamica per competere, ancora di più, con i sistemi educativi atlantici c) il nostro paese non avendo le risorse, sia pubbliche sia private, se vuol tenere qualche punto di eccellenza in queste dinamiche deve cannibalizzare, ulteriormente, le risorse esistenti a deterioramento di quasi tutto il sistema nazionale del sapere.

Parlare di “buona scuola”, con la calda campanella del mattino è quindi una delle tante truffe renziane. Il dispositivo della propaganda è già pronto, almeno nelle intenzioni, per favorire queste dinamiche di cannibalizzazione delle risorse e delle competenze. E i licenziamenti di massa dei precari sono solo una parte, come si vede, di questo processo. Fanno ridere i corsi, anche di aggiornamento, su questo e su quello. Quando il sistema, dal punto di vista finanziario e organizzativo, è spezzato in due nessuno va nessuna parte. Il problema è che tutta questa storia è pensata ancora con le categorie dello stato nazione, della dinamica sindacale di trenta e passa anni fa, e persino con una idea di occupazione che non tiene dagli anni ’90. L’Italia non solo ha bisogno di un sistema educativo nel suo insieme, non con le punte di eccellenza che ne cannibalizzano le risorse, ma deve guardare al declino del lavoro come opportunità formativa. La scuola degli anni ‘70, quella che guardava alla piena occupazione, è finita col fordismo. Quella degli anni ’90, che guardava al precariato, è finita in una società tecnologica, e liberista, che uccide sempre più posti di lavoro di quanti ne crea. Qualche decennio dopo Gorz o si pensa una scuola che metabolizza il declino della società del lavoro, capace di formare all’estrazione di risorse in un nuovo contesto, o il mercato distruggerà la scuola (altro che seguire le indicazioni delle imprese per la formazione...). Il resto è chiacchiera, le proiezioni su base statistica del futuro del lavoro in Europa parlano chiaro: la buona scuola guarda ad un jobs act che è assenza non solo di futuro ma anche di presente.

Vedremo come va a finire. Di sicuro con film già visti, petizioni al presidente della repubblica, appelli a questo e a quello, furbesche assunzioni di valori della buona scuola per sperare in qualche buona assunzione, indicazioni su “dove si può risparmiare veramente” per favorire l’occupazione non si andrà da nessuna parte. O si inverte la dinamica dello spezzamento del sistema educativo nazionale, che non è solo una questione di stipendi e di posti di lavoro ma di sapere e di organizzazione, o la scuola muore con dentro quelli che ci lavorano. Oltretutto, oggi se si si assumessero tutti i precari, mettendo Renzi all’angolo, entro poche settimane le tendenze Ue allo spezzamento dei sistemi educativi in ogni nazione si farebbero sentire. A partire dai patti di stabilità. E qui la Grecia, sul cui sistema educativo la Ue si è accanita, insegna molto a chi vuol vedere.

Un'ultima considerazione. Sulle responsabilità di Cgil-Cisl-Uil in quanto sta accadendo si dovrebbe davvero aprire una Norimberga. Accanendosi, in sede di condanna esemplare, contro il nido di tutte le arretratezze e le nefandezze: la Cgil. Ma una menzione particolare va alla Cisl dell’allora segretario Bonanni quando, pochissimi anni fa, chiedeva a gran voce gli aumenti di stipendio per gli insegnanti di ruolo ricavati dalle risorse “liberate” dal licenziamento dei precari. Bella solidarietà tra lavoratori, shame on you Cisl.

Redazione - 23 febbraio 2015

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