di Chiara Cruciati
Ancora una volta la
vittoria più consistente sul campo siriano e iracheno contro la macchina
da guerra islamista è stata segnata dalla resistenza kurda: dopo aver
liberato Kobane e, a seguire, altri 100 villaggi, ieri i
combattenti delle Ypg (le Unità di Difesa Popolari) hanno issato la loro
bandiera sulla città di Tel Hamis, prima roccaforte dell’Isis e
strategico punto di transito verso il vicino Iraq.
Tel Hamis, parte est della provincia di Hasaka (il cui controllo è
diviso a metà tra kurdi e islamisti e che da oltre una settimana è
terreno di battaglia tra le due parti), è da tempo ponte tra Siria e
Iraq, tra i principali punti di passaggio di armi e miliziani. “La
bandiera sventola sopra Tel Hamis – ha detto ieri Redur Khalil,
portavoce delle Ypg – Ora stiamo ripulendo la città da mine e
terroristi. La città era una roccaforte dell’Isis che da qui lanciava le
operazioni contro le città irachene di Sinjar e Mosul”.
Dalle file kurde, i combattenti riportano dell’uccisione di almeno
175 miliziani dell’Isis e del sostegno importante dei raid della
coalizione, una ventina da giovedì. Una sconfitta cocente per il
califfo, che in un mese ha perso Kobane e ora Tel Hamis, strategici non
solo dal punto di vista tattico ma anche da quello simbolico, elemento
su cui al-Baghdadi fonda la propria personale propaganda.
Alle vittorie kurde l'Isis risponde con la violenza, i rapimenti di
siriani appartenenti alle minoranze religiose, come i 350 assiri
cristiani sequestrati nei giorni scorsi e che avevano una propria unità
di difesa in supporto a quella kurda. Da oltre un mese la
controffensiva kurda post-Kobane e la ripresa di 100 villaggi è stata
possibile grazie al sostegno delle milizie cristiane e di quelle arabe
tribali, che hanno formato un fronte unico contro l’Isis.
La forza di volontà e le abilità militari delle milizie locali, che
siano kurde, cristiane o tribali, hanno un altro significativo effetto: far
risaltare gli scarsi successi della coalizione (che a detta del
Pentagono ad oggi ha strappato all’Isis l’1% dei territori occupati in
Iraq) e l’accidia della vicina Turchia. Un’accidia pericolosa:
all’assenza di azione contro i miliziani islamisti sia prima
dell’assedio di Kobane sia durante la strenua difesa kurda dell’enclave,
si accompagnano le accuse – mosse ufficiosamente anche dalle Nazioni
Unite – di aver in qualche modo sostenuto l’Isis, almeno indirettamente.
Chiudendo un occhio mentre dal poroso confine tra Turchia e Siria
passano armi e miliziani o, come dimostrato dai kurdi turchi,
colloquiando con gli islamisti al confine durante il massacro di Kobane.
In un interessante reportage dell’Huffington Post, pubblicato ieri, si spiega nel dettaglio la
trafila da seguire per attraversare il confine turco, direzione Siria.
Secondo i servizi segreti internazionali, attraversare quella frontiera
era il passaggio più semplice, molto più facile che raggiungere Ankara
dall’Europa, nonostante il governo turco insista che i 500 km di confine con la Siria siano più che controllati.
Venticinque dollari, questa la piccola tangente da pagare al contrabbandiere di turno e alla guardia di frontiera. Combattenti,
miliziani, contrabbandieri, poliziotti corrotti e gang militari hanno
creato, scrive l’Huffington, una rete capillare e efficiente: chiunque può passare, basta che paghi.
“Se i turchi chiudono una zona, se ne apre un’altra – racconta al
giornale Jasim Qalthim, trafficante 30enne – Se volessero lo
renderebbero difficile”. In genere si compra una zona di confine
per un certo periodo di tempo: il trafficante paga al responsabile
dell’Isis, tale Abu Ali, che controlla a sua volta anche le guardie di
frontiera, e così “affitta” il valico. “I soldati lo temono –
continua Qalthim – Una volta ha chiuso la frontiera per 10 giorni perché
era arrabbiato. Fa un sacco di soldi con cui compra poi armi e
munizioni per l’Isis”.
Le guardie e i poliziotti corrotti ricevono la loro parte e voltano
le spalle. Di tutto passa da quel confine, tanti nuovi miliziani non
hanno nemmeno il passaporto con sé. Rami Zaid, attivista 23enne
di Aleppo, dice di riuscire a passare una o due volte al mese quel
confine; Abu Harwain, contrabbandiere siriano, passa ogni giorno e
accompagna al mese un centinaio di persone dentro e fuori la Siria.
In un tale contesto, i tentativi turchi di mostrarsi come partner
affidabile nella lotta all’Isis si sciolgono come neve al sole. Domani
partirà in pompa magna il programma di addestramento e equipaggiamento
del primo gruppo di ribelli moderati siriani (5mila su un totale di
15mila), programma congiunto Usa-Turchia, che vede la partecipazione
anche di Giordania, Qatar e Arabia Saudita.
L’obiettivo del presidente-imperatore Erdogan è chiaro: preparare
nuovi combattenti non per frenare l’Isis, ma per rovesciare il vero
nemico di Ankara, il presidente Assad.
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