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24/02/2015

Kuwait - Dove il sovrano è "immune ed inviolabile"


Due anni di carcere per aver “insultato il re”. E’ la condanna inflitta ieri dalla Corte d’appello del Kuwait a Musallam al-Barrak, leader dell’opposizione della piccola petromonarchia, condanna accompagnata da manifestazioni nel centro della capitale represse dalle forze dell’ordine con granate assordanti e lacrimogeni che hanno provocato diversi feriti.

Barrak, ex parlamentare, era passato all’opposizione dopo che il suo partito, il Movimento di Azione Popolare (PAM) aveva boicottato le elezioni di dicembre 2012 e luglio 2013 svoltesi dopo l’approvazione della nuova legge elettorale voluta dalla monarchia al-Sabah. Nel tentativo di impedire il passaggio della legge, che secondo il PAM avrebbe di fatto permesso alla casa regnante kuwaitina di “manipolare l’esito delle urne ed eleggere un Parlamento-fantoccio”, Barrak nell’ottobre del 2012 aveva tenuto un discorso durante una protesta di decine di migliaia di cittadini mettendoli in guardia sulla pericolosità della norma. “In nome della nazione – recita la frase incriminante pronunciata – in nome del popolo, noi non la lasceremo, Vostra Altezza, praticare un governo autocratico”.

Alle elezioni di dicembre aveva comunque ricevuto il numero più alto di voti della storia del Kuwait: 31 mila preferenze, per un emirato di oltre 2 milioni di abitanti che concede il diritto di voto solo a una parte di quel 10 percento della popolazione con cittadinanza (kuwaitini sopra i 30 anni, non membri delle forze armate e, dal 2006, anche donne), voti subito annullati dal tribunale.

Nell’aprile del 2013 era arrivata la prima condanna, pronunciata dal tribunale dell’emirato: cinque anni per aver insultato re Sheikh Sabah al-Ahmad al-Sabah, attuale rappresentante di una dinastia che regna ininterrottamente da 250 anni in un paese in cui la Costituzione definisce il sovrano come “immune e inviolabile” e il codice penale del 1970 prevede pene detentive fino a cinque anni per chiunque “obietti i diritti e l’autorità dell’emiro o lo critichi”. 

“Potete imprigionare il mio corpo – ha dichiarato Barrak dopo la sentenza – ma non le mie idee né la mia volontà”. “Ci appelleremo – ha detto invece il suo legale, Thamer al-Jadaei – e chiederemo alla corte di sospendere la sentenza”. Ma sono flebili le speranze che il verdetto possa essere annullato. Dalle proteste di massa del 2012, infatti, il governo ha represso duramente l’opposizione, con un giro di vite che ha portato all’arresto e alla condanna di numerosi rappresentanti, fino ad arrivare alla revoca della cittadinanza al portavoce del PAM, Saad al-Ajmi, lo scorso settembre.

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