di Roberto Prinzi
“Del resto mia cara di che si stupisce anche l’operaio vuole il
figlio dottore e pensi che ambiente che può venir fuori. Non c’è più
morale, contessa” cantava così Franco Pietrangeli nella sua celebre
“Contessa”. Prendendo spunto dalle conversazioni che la borghesia faceva
allora a proposito dell’occupazione dell’Università di Roma in seguito
all’uccisione dello studente Paolo Rossi da parte dei fascisti (27
aprile 1966) e della cronaca di un piccolo sciopero avutosi a Roma,
Pietrangeli scriveva nel maggio del 1966 uno dei manifesti della lotta
di classe, un inno all’affossamento del sistema borghese, una accorata
esortazione alla lotta proletaria internazionalista che portasse a
termine lo sfruttamento umano.
E il riferimento al capolavoro di Pietrangeli nasce spontaneo dopo le dichiarazioni di Mahfouz Saber, fino a ieri ministro egiziano della giustizia.
Alla domanda posta da un giornalista del canale 10 egiziano sulle
accuse di favoritismo nella nomina dei giudici, Saber ha prima risposto
con pacatezza affermando che le assunzioni seguono “standard obiettivi”.
Poi, però, incalzato dall’intervistatore che gli chiedeva se
anche “un figlio di un lavoratore dei servizi sanitari può diventare
giudice”, Saber toglieva la maschera replicando sprezzante: “non
esageriamo, con il dovuto rispetto per gli addetti alle pulizie e quelli
sopra o sotto di loro, un giudice deve provenire da un ambiente
appropriato”. “Grazie all’addetto alle pulizie che fa crescere
ed educa i suoi figli” – ha aggiunto – ma ci sono altri lavori che
possono svolgere”. L’odio di classe di Saber è ponderato e si avvale di
non ben precisati dati scientifici. Secondo il ministro di giustizia,
infatti, se i figli degli spazzini diventassero giudici, affronterebbero
diversi problemi, soffrirebbero di depressione e alla fine sarebbero
costretti a lasciare l’incarico. In breve, la loro esclusione è manna
dal cielo: il proletario deve ringraziare il padrone premuroso che,
vietandogli l’alta carica, gli impedisce di soffrire di terribili
complicazioni mediche.
Le dichiarazioni di Saber hanno
subito scatenato nel Paese un putiferio. Ieri Shahata Muqdis, capo degli
spazzini de il Cairo, ha subito risposto per le rime al quotidiano Youm
al-Sabea: “Il figlio di uno spazzino può essere più intelligente di suo
figlio. E il figlio di uno spazzino non si vergognerà mai di suo padre”
ha detto colmo di orgoglio. L’affermazione dell’ex ministro – che
rivela tutta l’arroganza della classe giudiziaria egiziana ed evidenzia
la forte polarizzazione sociale della società sempre più divisa in una
piccola e ricca élite dominante e un 90% di popolazione che vive sotto
la soglia di povertà – non è passata inosservata neanche ai suoi capi. Sulla
vicenda è intervenuto ieri, infatti, il premier Ibrahim Mahlab che ha
detto che Saber si è dimesso per “rispetto dell’opinione pubblica”.
Dimissioni che erano state
invocate da più parti. Tra i primi a richiederle vi era stato un gruppo
di avvocati che aveva chiesto ai procuratori egiziani di indagare su
Saber per istigazione all’odio e per aver violato la costituzione.
Ma i commenti dell’ex ministro avranno di certo imbarazzato e irritato
anche il presidente ‘Abdel Fattah as-Sisi. Non per una sua vicinanza
agli “spazzini”, ma perché, pubblicamente, l’ex generale ha sempre
cercato di apparire come il leader dei poveri, la voce degli emarginati.
Le dichiarazioni di Saber riportano in
primo piano il tema sociale. Uno dei principali obiettivi della rivolta
popolare del 2011 che costrinse alle dimissioni il “faraone” Hosni
Mubarak fu proprio la ricerca di giustizia sociale. A poco più di
quattro anni da quelle celebri giornate di mobilitazione, poco o niente è
stato fatto per venire incontro alle istanze che provengono dalle
piazze. Il disprezzo di Saber verso le classi proletarie non è
espressione di uno scellerato ministro, ma permea l’intero regime di
as-Sisi, sempre più versione aggiornata del governo Mubarak. Non solo in
termini repressivi e di controllo assolutistico del potere. Ma in
termini di classe. E’ la stessa elite mubarakiana a dominare. Riciclata e
ripulita (in parte) ma che conserva orgogliosa la sua stessa identità e
i suoi privilegi. Il disprezzo della borghesia locale verso
gli “spazzini” e gli “operatori sanitari” di Saber ci ridà il senso più
profondo del regime di as-Sisi.
L’uguaglianza e, di conseguenza, la
meritocrazia restano nel Paese una chimera. Ancora oggi il potere
giudiziario, il servizio diplomatico, la classe degli ufficiali delle
forze armate e della polizia non sono alla portata dei poveri.
Divergenze, tra élite e popolo, inaspritesi durante i 29 anni di potere
di Mubarak dove ufficiali governativi e ricchi uomini di affari sono
andati a braccetto nel dominio del Paese. Un’alleanza indissolubile,
quella tra militari e capitalisti, che ha posto definitivamente fine
alle importanti e coraggiose conquiste della rivoluzione del 1952 da
parte di giovani ufficiali dell’esercito e, soprattutto, alle riforme
socialiste di Jamal Abdel an-Nasser (presidente negli anni ’50 e ’60).
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