di Simon Henderson – Foreign Policy (traduzione di Romana Rubeo)
A volte, la realtà è così paradossale da superare ogni possibile teoria del complotto.
Oltre 13 anni dopo la pubblicazione dell’indagine del Congresso sugli
eventi legati ai fatti dell’11 settembre, vengono rese note le
famigerate “28 pagine” che riguardano il coinvolgimento saudita negli
attacchi terroristici, finora secretate perché ritenute troppo
delicate.
Risulta che nella relazione della commissione sui fatti
dell’11 settembre, esistono 29, e non 28 pagine, che vanno precisamente
dalla numero 415 alla numero 443, che vertono su questo argomento. Molte parti
sono state cancellate, alcune parole, talvolta intere righe, per un
totale di circa tre cartelle. Ciò significa che non sappiamo ancora
tutta la verità.
Appare evidente che la sensazione per cui le pagine non furono subito
rese note al pubblico per non creare imbarazzi nella famiglia reale
saudita fosse fondata.
Quanto si legge è devastante:
Pagina 415: “Alcuni degli attentatori dell’11
settembre erano in contatto con individui forse legati al Governo
Saudita, da cui hanno ricevuto sostegno e assistenza... Almeno due di
loro erano sospettati di far parte dei servizi segreti sauditi.”
Pagina 417: uno dei soggetti che la commissione ha identificato come finanziatore
di due degli attentatori, Osama Bassnan, ha in seguito ricevuto una
“significativa somma di denaro” da “un membro della famiglia reale
Saudita”.
Pagina 418: “Un altro cittadino saudita con forti
legami con la Famiglia Reale [cancellato] è oggetto di indagini di
controterrorismo da parte dell’FBI”.
Pagine 418 e 419: Abu Zubaida, leader di al Qaeda
ora detenuto, aveva nella rubrica del telefono il numero privato della
società di sicurezza che lavorava presso la residenza in Colorado
dell’allora Ambasciatore Saudita negli Stati Uniti, il Principe Bandar
bin Sultan.
Pagina 421: “un [cancellato], con data 2 luglio
2002, [contiene] ‘prove incontrovertibili’ circa il sostegno che questi
terroristi hanno ricevuto da membri del Governo Saudita”.
Pagina 426: la moglie di Bassnan ha ricevuto denaro
“dalla Principessa Haifa Bint Sultan,” moglie dell’ambasciatore Saudita
(In realtà, il nome corretto è Principessa Haifa bint Faisal).
Pagina 436: David Aufhauser, General Counsel del
Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti d’America, ha dichiarato che
“la fondazione Saudita al-Haramain aveva stretti contatti con gli
estremisti islamici.” Anche alcuni agenti della CIA hanno dichiarato “le
indagini condotte su al-Haramain stavano dando i loro frutti... Il
dirigente della sede centrale era risultato complice di sostegno ad
attività terroristiche e c’erano sospetti anche sul Principe Nayef
[l’allora Ministro degli Interni Saudita]”.
Quando l’ho letto, ho gridato: “Sì!”
Nel gennaio del 2002, il U.S. News & World Report citò due anonimi funzionari dell’amministrazione Clinton,
secondo cui i due principi sauditi avrebbero finanziato Osama Bin
Laden, dopo che un’autobomba esplosa a Riyadh nel 1995 aveva ucciso
cinque consulenti militari americani. Avevo approfondito la
questione su un editoriale per il Wall Street Journal dell’agosto 2002:
funzionari statunitensi e britannici mi avevano indicato i nomi dei due
principi che usavano denaro proveniente dalle casse Saudite (e non dai
loro fondi personali) per finanziare Bin Laden, in cambio di una
promessa: gli attentati sarebbero stati organizzati altrove e non nei
confini del Regno. Li ho in seguito citati in un altro editoriale per il
Wall Street Journal: erano il Principe Nayef, padre
dell’attuale principe ereditario, Muhammad bin Nayef, e suo fratello, il
Principe Sultan, allora ministro della Difesa e padre del Principe
Bandar. Entrambi sono deceduti.
L’articolo del U.S. News & World Report riportava il virgolettato
di un funzionario saudita: “Dove sono le prove? Non esistono.” Quel
funzionario adesso è il Ministro degli Esteri Adel al-Jubeir, che senza
dubbio ha fatto di recente pressione sui membri del Congresso,
probabilmente con le stesse argomentazioni.
Tuttavia, dopo la pubblicazione delle 29 pagine e la
descrizione dettagliata dello scambio di denaro avvenuto tra gli
attentatori dell’11 settembre e i funzionari Sauditi, è sempre più
difficile sostenere questa tesi. L’inchiesta cita una fonte che suppone
l’esistenza di “prove incontrovertibili circa il sostegno fornito ai
terroristi da membri del Governo Saudita.”
Dopo la pubblicazione di queste pagine, la società di pubbliche
relazioni Qorvis, con sede a Washington, che ha siglato un contratto
molto vantaggioso con il Regno Saudita, ha diffuso una sua analisi, che
inizia con una citazione tratta da un’intervista rilasciata dal
Direttore della CIA John Brennan ad Al Arabiya l’11 giugno. Dice tra
l’altro: “Non c’erano prove del fatto che il Governo Saudita come
istituzione, o che singoli funzionari Sauditi avessero finanziato gli
attacchi dell’11 settembre.”
Potrebbe essere vero; ma non esclude la possibilità, la
probabilità che le azioni degli alti funzionari sauditi abbiano avuto
delle conseguenze sul terribile atto terroristico. Non ho mai
sostenuto che il Governo Saudita o membri della famiglia reale abbiano
incoraggiato o finanziato in modo diretto gli attacchi. Ma il denaro
saudita è stato versato nelle casse degli attentatori, su questo non c’è
dubbio. Una volta ho chiesto a un funzionario britannico: “Come
possiamo averne la certezza?” Mi ha risposto che era noto da quale conto
il denaro fosse uscito e in quale fosse finito.
Lo scorso venerdì, Jubeir ha tenuto una conferenza stampa presso
l’Ambasciata Saudita di Washington e ha dichiarato: “La questione non
finisce qui.” Quando gli hanno chiesto se, a suo avviso, il rapporto
scagionasse il Regno, ha risposto convintamente: “Certo che sì.”
Io la
penso diversamente.
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