
Solo l’amica-nemica Merkel s’è detta “preoccupata” per il genere di detenzione riservata ai militari arrestati. E’ però una voce isolata nella compagine occidentale, che vede Obama far telefonate mellite al collega turco, felicitandosi per lo scampato pericolo alla democrazia. Facendo intendere, dunque, che le reazioni di Ankara non siano esagerate, né illiberali. Gli States devono tener botta alle accuse di ospitare il demone che progetta il rovesciamento violento del legittimo governo turco ed è chiaro che la partita diplomatica rimbalza senza tener conto di sofismi sulla democrazia. Certo, quello che la politica anatolica dell’ultimo secolo ha sempre digerito a fatica sia sotto l’indirizzo kemalista, sia con l’islam tradizionalista, e sempre più nazionalista, dell’ultimo quindicennio è l’accettazione della diversità di pensiero dal proprio punto di vista. Egualmente all’imposizione del laicismo in uno Stato che nasceva dalle polveri d’un impero che era stato multietnico e multireligioso, il nuovo corso erdoğaniano cerca di oscurare le altrui tracce, etniche e secolariste che siano. E se non può estirparle o cancellarle del tutto, mira a sottometterle al suo modello. Nei giorni del furore ci riesce, perché dall’europea Istanbul giungono voci di paura più che di timore: anche gli sfrontati ribelli del Gezi park devono tenere un basso profilo.
I ragazzi coi simboli del giovanilismo globalizzato, musicale e non, si celano ed evitano d’incontrarsi, le fanciulle nascondono le gambe e cancellano i trucchi. Prevale l’omologazione islamica e la storia che corre veloce richiama alla mente come solo sei anni addietro le universitarie di Fatih si dolevano di non potersi mostrare velate nelle aule. Ora girare coi capelli al vento sembra un oltraggio, perché centinaia di testimoni affermano che gli ultrà presidenziali additano le ragazze prive di hijab e le insultano. La vivacissima Istiklal Caddesi di notte rischia di apparire uno dei tetri decumani di Kabul. Eppure la repressione, scattata rapida e violenta nelle ore successive al tentato putsch, con arresti di militari allargati poco dopo a giudici, amministratori pubblici, docenti di scuole e università su, su fino ai rettori, che fa pensare a proscrizioni preconfezionate, deve considerare come queste schedature erano già in possesso dagli apparati del partito di governo e degli agenti del Mıt. L’alleanza sempre più stretta che avvicinava personalmente Gülen a Erdoğan dalla fine degli anni Novanta, aveva fatto conoscere al leader del partito della Giustizia e dello Sviluppo la tattica con cui il movimento Hizmet piazzava i suoi elementi nei gangli vitali della società turca ancora permeata di laicismo kemalista. L’Imam aveva imparato bene la lezione del potere e individuava i punti caldi in cui inserire i seguaci più fidati e finanche i simpatizzanti.
Strutture eccellenti, come l’esercito ben controllato da quei generali che sino alla fine degli anni Novanta ancora inanellavano golpe, nel 1997 l’ultimo, che condusse alle dimissioni il premier Erbakan mettendo fuori legge l’ennesima aggregazione politica islamista. Quindi l’organismo che per sua natura vigila sulla politica: la magistratura e genericamente, poiché ritorna sempre utile a chi fa affari, la burocrazia statale. E ancora: la società del futuro rappresentata dai giovani, dunque, tutte le scuole d’ogni ordine e grado. In ciascuno di questi organismi il “Servizio” gülenista ha attuato le sue ‘infiltrazioni’ e i governi amici dell’Akp lasciavano fare, perché si trattava di alleati che toglievano terreno sotto i piedi ai kemalisti in divisa e abiti civili. Dal 2012, anno in cui oltre ai problemi di politica estera, iniziarono per l’esecutivo erdoğaniano questioni via via spinose (contestazioni di Gezi park, intrighi e affarismo privato di ministri, riaccesa conflittualità coi curdi, questione profughi, chiusura all’ingresso Ue) inizia a palesarsi il braccio di ferro su chi deve guidare le menti musulmane del Paese. Dietro alcuni episodi, come i processi per corruzione o inadeguate misure di prevenzione (il disastro minerario di Soma), ci sono giudici prossimi a Fethullah e comunque le idiosincrasie di Erdoğan, scarsamente infondate, crescono. Da qui partono le punizioni mirate del Sultano verso i finanziamenti pubblici alle scuole Hizmet, un colpo durissimo sul duplice terreno ideologico ed economico, oltreché sul programma di penetrazione nella società.

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