di Leni Remedios
Pochi in Italia sanno che nel cuore dell'Impero occidentale, alfiere dei principi democratici, è in corso un altro silenzioso colpo di Stato.
BIRMINGHAM (Regno Unito) - Mentre in Turchia si consuma un golpe fallito (seguito da un contro-golpe fin troppo riuscito), pochi in Italia sanno che nel cuore dell'Impero occidentale, alfiere dei principi democratici, è in corso un altro silenzioso colpo di Stato, che assomiglia moltissimo a delle prove generali di anti-democrazia. Un esercizio di anarchia del potere, per usare le parole di Pier Paolo Pasolini. Un esercizio che, se funziona, potrebbe creare un precedente e venire esportato altrove. Stiamo parlando della turbolenza in seno al partito laburista britannico.
Se pensate che il partito sia in ragionevole tumulto perchè un suo leader precedente - Tony Blair - è sotto la pesante accusa di crimini di guerra, dopo la pubblicazione del Chilcot Report, vi sbagliate di grosso. I parlamentari pro-Blair sono troppo impegnati ad oscurare questa brutta faccenda puntando i fari sull'«ineleggibile» socialista Jeremy Corbyn.
In un'epoca in cui tutti i protagonisti della campagna referendaria, uno alla volta, si sono dati in vergognosa ritirata (David Cameron, Boris Johnson - poi riciclato come ministro degli Esteri- Nigel Farage, Andrea Leadsome), l'unico che vuole restare al suo posto in un momento così difficile per il paese è proprio lui, Corbyn, nonostante l'intero establishment politico-mediatico lo voglia cacciare via. Perché tutto questo accanimento?
Andiamo ai fatti con ordine.
Dopo la vittoria del Brexit al referendum, l'ala "New Labour" del partito laburista - il gruppo di parlamentari chiamati anche 'Blairites', poichè si rifanno alle politiche anni '90 di Tony Blair - ha votato in massa la sfiducia verso il neo-leader Jeremy Corbyn, reo di non aver condotto adeguatamente la campagna referendaria. Invece di cogliere la palla al balzo per compattarsi come partito e biasimare David Cameron - il Primo Ministro tory responsabile di aver promosso il referendum - con questa mossa i blairites hanno deciso di promuovere una scissione all'interno del loro stesso partito. In altri termini hanno deciso per un apparente suicidio politico.
Dico apparente perchè si sa come in realtà la visione politica di molti parlamentari laburisti sia ormai vicinissima a quella delle élites, i cui vasti interessi sono garantiti anche dai Conservatives. Una situazione di "centrismo neo-liberista" che è molto simile anche a quella del nostro paese, rispecchiante l'universale tendenza di '"livellamento al centro", che bolla sistematicamente tutte le altre alternative come "estremiste" e che incita i media collusi a fare lo stesso.
Contemporaneamente alla sfiducia al leader di partito, si è assistito a dimissioni di massa dei ministri del governo ombra, nella continuazione di quello che è stato definito a tutti gli effetti come un "coup", un golpe.
Uno ad uno hanno lasciato il gabinetto, illuminati dai riflettori dei media mainstream, e ripetevano allo sfinimento lo stesso mantra degradante riferito a Corbyn: "ineleggibile", "vuole dividere il partito". Il paradosso sta proprio qui. Ineleggibile non perché non rappresenti la volontà popolare (anzi, ha il pieno sostegno della base!); bensì perché non rappresenta i parlamentari Labour, la maggior parte dei quali, ripeto, sono fedeli alle politiche di Tony Blair. E suona stridente - per non dire ipocrita - come gli stessi parlamentari in ammutinamento, che hanno creato la spaccatura in seno al partito, abbiano accusato ed accusino altri di essere responsabili della divisione.
Le dichiarazioni degli ammutinati fioccavano ad ogni ora. Addirittura un parlamentare dichiarava alla stampa di sapere che Jeremy Corbyn ha votato in realtà per Brexit. Livelli alti di disperazione.
Potrebbe anche essere una barzelletta spiritosa se il tutto si fosse fermato qui.
Ma questo è solo l'inizio.
I fedeli blairites hanno messo in moto la burocrazia: giocando su un'ambiguità nel regolamento interno, hanno messo in discussione il principio per cui il leader uscente sia automaticamente in ballottaggio in caso di prossime primarie. In questo caso avrebbe necessitato dell'appoggio di almeno 51 parlamentari e sarebbe stato quindi automaticamente escluso.
I blairites, Hilary Benn in testa, si sfregavano le mani: consapevoli dell'enorme consenso popolare di Jeremy Corbyn, cresciuto nei mesi successivi alla sua prima elezione, e consapevoli che a questo punto nessun altro è in grado di batterlo, già contemplavano l'esito positivo di una sua esclusione sfruttando un cavillo legale.
Il tutto veniva rimesso in mano al NEC, il comitato esecutivo del partito. Il quale, però, per l'enorme disappunto di Benn e soci, dichiarava che - dal punto di vista legale - Jeremy Corbyn è automaticamente in ballottaggio come candidato alle primarie.
Euforia popolare. Una moltitudine di persone già si apprestava a registrarsi al partito laburista per dare il proprio sostegno a Jeremy Corbyn ed alle sue politiche.
Ma non finisce qui.
Con un colpo di mano, la stessa sera, il NEC deliberava anche, in palese contraddizione con il contratto sottoscritto dai neo-membri Labour, che gli iscritti dopo il 12 gennaio 2016 non avrebbero potuto prendere parte alle primarie. A meno che non versino 25 sterline come sostenitori - al posto delle abituali 3 sterline - e solo in un periodo finestra di due giorni, dal 18 al 20 di luglio, data odierna.
Un vero e proprio gesto di arbitrarietà del potere.
Che esclude così di fatto una buona fetta di elettori: ovvero quella working class che il partito laburista dovrebbe rappresentare, e che difficilmente può permettersi £ 25 per un voto. La democrazia ridotta a fetta di mercato da comprare.
Mentre uno dei maggiori finanziatori del partito Labour, Michael Foster - ex agente dell'industria dello spettacolo che ha versato finora 400.000 sterline al partito e che probabilmente reclama qualcosa in cambio - minaccia azione legale contro la decisione dell'esecutivo laburista.
Nel frattempo nuovi potenziali sfidanti leader sono apparsi all'orizzonte: Angela Eagle, autopropostasi ancora prima della decisione del NEC, e Owen Smith. La prima - che ha abbondantemente cavalcato l'attuale tendenza che vuole donne al potere, non importa se guerrafondaie tanto quanto i loro colleghi uomini - si è ritirata da poche ore, lasciando il posto a l'unico sfidante, Owen Smith.
Si tratta di un candidato senza carisma alcuno, scelto all'ultimo istante dall'élite probabilmente perché ha votato contro la guerra in Iraq. Dettaglio che strizza l'occhio all'elettorato Labour scioccato dalle rivelazioni del Chilcot Report sulle menzogne di Blair (mentre la Eagle non solo votò a favore della guerra in Iraq, ma votò per ben tre volte contro un'inchiesta come il Chilcot). Eppure Smith votò, come la Eagle, a favore dell'intervento in Libia. Ha appoggiato la privatizzazione dell'NHS (servizio sanitario nazionale) attraverso il gruppo Pfizer ed il gruppo pro-Blair Progress, nonostante ora tenti di smentire.
Si astenne quando fu ora di votare contro i tagli al Welfare imposti dal governo Cameron, per quanto ora cerchi maldestramente di scusarsi. E ha votato appena due giorni fa - come la Eagle - a favore del rinnovo del Trident, il programma nucleare militare britannico.
Tutte cose a cui Jeremy Corbyn si è sempre fieramente opposto. E l'elettorato gliene sta rendendo conto.
Non si può interpretare la sfida di Mr Smith a Mr Corbyn se non come una mossa disperata dell'ultima ora da parte di una classe dirigente presa alla sprovvista.
L'unica cosa che apparentemente riesce a fare Smith è ripetere in tv che Corbyn ha sinora solo forgiato degli slogans, ma non riesce a fornire soluzioni. Interrogato su quali potrebbero essere le soluzioni, Mr Smith sostiene "l'austerity va bene" (l'austerity va bene? Ricordiamoci che a dirlo è un esponente che si definisce socialista, non un membro del FMI) "ma ora bisogna pensare a dare prosperità".
Ci si chiede come. Forse foraggiando un'altra guerra?
A proposito: è degno di nota che, mentre Jeremy Corbyn viene passato sotto i fuochi dei suoi parlamentari, della BBC e delle principali testate britanniche, Tony Blair sembra essere per ora uscito indenne dal Chilcot Report. La stampa non se ne occupa più ed i familiari dei soldati e soldatesse britannici, caduti nella guerra in Iraq, sono costretti a lanciare un crowdfunding per pagarsi le spese legali di un processo.
Tornando alle primarie: a discapito della somma di £ 25 da versare, in rete si colgono sempre più testimonianze di persone che hanno fatto sacrifici per mettere da parte questi soldi pur di avere voce nelle prossime primarie Labour e per sostenere, come molti riportano nei social media, un politico "che parla la nostra stessa lingua". E contrariamente all'«ineleggibilità» sbandierata da blairites e media mainstream, la popolarità di Corbyn, come dimostrano i sondaggi you.gov, sta schizzando su, soprattutto dopo il voto sul Trident e la ritirata della Eagle.
Pensate che sia tutto? Il NEC ha introdotto una nuova regola: membri e sostenitori verranno monitorati - udite udite - nei social media. Chiunque usi parole diffamanti, come "traditore" nei confronti dei parlamentari che hanno dato la sfiducia a Corbyn, sarà bannato dalle primarie.
Attenti a come vi esprimete online: il Grande Fratello Labour vi guarda.
No, non finisce qui. Le riunioni locali di partito sono state sospese fino alle elezioni.
Una mossa con un target preciso, visto che molte circoscrizioni elettorali, in disaccordo con i propri parlamentari che avevano sfiduciato Corbyn, intendevano sfiduciare a loro volta i propri rappresentanti in parlamento.
Insomma, censura a tappeto.
Quando il gioco si fa duro per le élites, anche le ultime vestigia democratiche vanno sacrificate.
Mentre scrivo, leggo che solo entro queste poche ore sono 55.000 i membri registratisi come sostenitori, e se ne prevedono almeno altre 10.000 entro le 17.00 di questo pomeriggio, in cui si chiudono ufficialmente le registrazioni per i sostenitori paganti. Chiaramente quasi tutti sostenitori di Corbyn.
Un'ondata democratica che non riescono più a fermare. E non se ne capacitano.
Per quale altro politico la working class inglese verserebbe £ 25 pur di votarlo? Per uno con lo stile di Tony Blair?
Se secondo le elites essere eleggibile vuol dire spendere le comparse televisive versando tonnellate di politically correct e vendere bene delle bugie su una guerra disastrosa, una buona fetta di elettorato britannico ha capito da tempo che l'unico segno reale di eleggibilità è l'integrità politica e la non collusione con i poteri forti.
Ci si aspettano altre sorprese, da qui al 24 settembre, giorno in cui si saprà se Corbyn rimarrà o meno alla guida del partito.
Bisogna intanto evidenziare come questa faccenda tutta britannica non faccia altro che rivelare ancora di più la vera faccia prepotente, anarco-repressiva del potere.
Un paese che ha fatto passare l'esito di un referendum consultivo, vinto per pochissimi punti in percentuale, come un "must" da perseguire legalmente, poiché "esprime la volontà popolare", e che recalcitra nel passare il tutto al vaglio del Parlamento - come peraltro da legge - decide che per molto meno, ovvero l'elezione del leader di un partito di opposizione, la volontà popolare non conta più. In questo caso sì che contano i parlamentari, ovvero quelli con le mani in pasta.
Evidentemente la posta in gioco è alta.
Eppure qualcosa sta sfuggendo di mano. Come osserva Giulietto Chiesa, attualmente in ambito geopolitico "perfino l'Imperatore non sa mettere ordine nel canile".
La vicenda locale dei Labour ha un risvolto globale: rispecchia anch'essa questa situazione planetaria di estrema confusione, in cui tutto ed il contrario di tutto potrebbe succedere. Senza contare che, comunque vada a finire, avrà forti ripercussioni nell'ambito dei movimenti politici europei. Basti ricordare che Yanis Varoufakis, ex ministro greco del governo Tsipras e promotore di un nuovo movimento europeo, è da tempo uno dei consulenti di Jeremy Corbyn e probabilmente un elemento chiave per possibili future alleanze.
Non è detto che l'esercizio di anarchia del potere funzioni, in questo caso.
Potrebbe anche succedere che i reiterati tentativi di golpe porteranno ad un boomerang, che è già in previsione, poiché a questo punto della partita sono in molti a sostenere che Jeremy Corbyn terrà testa a qualsiasi rivale. Il ché è una buona notizia, per chi ha a cuore principi come disarmo nucleare, giustizia sociale, lotta contro l'austerity e potrebbe incoraggiare un sussulto di speranza in molti popoli europei e non.
Ma, stando alle premesse, teniamoci anche pronti all'eventuale contrattacco.
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