Proprio in questi giorni ricorre l’80° anniversario dell’inizio della
guerra di Spagna, nella notte tra il 17 e il 18 luglio 1936 ebbe luogo
il pronunciamento golpista di Franco e dei suoi generali, si apriva così
una delle pagine più dure ed epocali della storia del Novecento. Ma
l’occasione per riparlare della Repubblica e della guerra civile è data
anche dalla ristampa di un vecchio classico, ai più sconosciuto, della
memorialistica comunista e repubblicana, il “Diario della guerra di
Spagna” edito recentemente da Pgreco, scritto dal giornalista,
corrispondente sovietico della Pravda, Michail Koltsov.
Certo non è l’unico e nemmeno tra i più famosi fra i testi della
memorialistica repubblicana, ma la sua ristampa in qualche modo è un
piccolo evento sia perché questo diario era caduto nel campo dei libri
dimenticati e scomparsi (l’unica edizione italiana risale agli anni
sessanta) sia per la sua profonda pregnanza politica, per la capacità di
narrare dalla linea di fuoco la posta in gioco, i valori, le pratiche,
le virtù e i vizi del campo repubblicano e antifascista. Leggendo questo
corposo diario viene da dire, tanto per non staccarsi dalla nostra
contemporaneità, quale distacco politico, etico e quasi antropologico si
percepisce tra il corrispondente sovietico e le narrazioni
giornalistiche del nostro circo massmediatico. Quello che colpisce a
pelle di questa narrazione è la descrizione del fronte repubblicano; si
rifugge da una lettura gloriosa, enfatica, anzi si espone anche
crudamente i grandi limiti soggettivi della Repubblica, la sua scomposta
e contraddittoria reazione al pronunciamento, la sua immanente
disorganizzazione, le divisioni ideologiche, politiche, organizzativi e
militari. Tutto ciò non toglie nulla alla potenza sociale che si vive
nella Spagna di quegli anni. La potenza sociale che vede protagoniste
le masse contadine e del proletariato urbano delle grandi città
spagnole. Non c’è nel novecento europeo una vicenda più schierante, che
distingue così nettamente il contenuto della contesa e il campo della
nemicità.
Progresso e reazione, Repubblica contro fascismo, mondo contadino e
operaio contro il vecchio potere monarchico, latifondista, clericale,
militare: la linea dei due campi è netta, verticale. L’insorgenza delle
masse incalza gli eventi, basti pensare al repentino assalto delle masse
alle caserme di Madrid e nelle altre città per armarsi contro il golpe
di Franco. Ma la difesa della Repubblica esce anche dai confini
nazionali, è vissuta dal mondo antifascista e internazionalista come il
primo banco di prova della lotta mondiale ai fascismi, di lì a poco la
Resistenza antifascista europea, con la seconda guerra mondiale potrà
mettere a frutto alcuni degli insegnamenti della guerra popolare di
Spagna. Da questo punto di vista la Resistenza jugoslava, spesso
dimenticata, contro gli occupanti italiani e tedeschi nel 1941-1945 ha
una grande analogia con la storia repubblicana: l’assoluta prevalenza
della guerra di popolo.
Nelle pagine, che si leggono con piacere e con
passione, è colto il punto di vista di un comunista sovietico,
attraverso dialoghi, interviste, commenti alle vicende politiche e
militari, schizzi dei vari leggendari personaggi che dirigono la
Repubblica, ed anche e soprattutto, la crudezza dello scontro e le
insidie della vita quotidiana, insomma un buon libro che ci racconta il
lato cattivo della storia. Siamo molto lontani dal cogliere la durezza e
la ferocia dello scontro in atto nel Novecento, veniamo da troppi anni,
non solo di narrazione tossica, secondo cui il secolo breve è stato
prevalentemente il secolo dell’odio e del totalitarismo, ma anche di
addomesticamento culturale e la Spagna e l’Italia, non a caso, sono
state sicuramente apripista nell’opera di rimozione, revisionismo e
“riconciliazione”. Sono i due paesi del campo occidentale in cui si sono
registrati i tentativi più interessanti di mobilitazione generale delle
masse popolari, guidati prevalentemente dal movimento comunista. Era
quindi necessaria un’opera profonda e sistematica di “riconciliazione”,
di deformazione della memoria e di oblio nel migliore dei casi. In
Spagna questo è avvenuto già negli anni dei governi socialisti post
Franco e qui, invece, con i vari trapassi del Pci dalla socialdemocrazia
moderata post togliattiana all’assunzione piena, attiva della
restaurazione neoliberale in politica e liberista in economia. Quante
pubblicazioni nel nostro paese sulla storia della Resistenza
antifascista e classici del movimento operaio giacciono dimenticate
negli archivi, e nelle biblioteche!
Allora la ripubblicazione di questo piccolo classico della
memorialistica va salutato come una buona operazione culturale che va
continuata, sorretta. Non può essere derubricata a senso nostalgico per
“l’età dell’oro”, ma nello stesso tempo non veniamo dal nulla, non
siamo i figli dell’eterno presente come la schiera di apologeti del
capitalismo si affannano a inculcare in ogni occasione. Abbiamo bisogno,
invece, di ridare lustro alla tradizione storica del movimento popolare
e operaio, alle sue vicende, ridare senso materiale alla nostra
tradizione di valori e pratiche, all’irriducibilità del pensiero e della
storia del movimento socialista. Non possiamo che salutare il
rinnovarsi di questo lavoro editoriale che recupera, attualizza il senso
della nostra lotta, l’appartenenza collettiva a un campo e a un mondo
che seppure ha visto tante sconfitte, è oggi più che mai necessario, per
non condannarsi alla storytelling dell’imperialismo.
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