di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Erdogan il sultano purga.
Purga esercito, polizia, magistratura. Nel breve periodo è il modo per
radicare un autoritarismo vecchio di 15 anni. Ma nel lungo un pericoloso
boomerang potrebbe tornare indietro. Ne è convinto Murat Cinar,
giornalista turco, che abbiamo raggiunto al telefono.
Hai parlato di golpe “anomalo”. Lo è anche per il momento:
perché proprio ora, con la campagna anti-Pkk che asseconda l’esercito e i
tentativi di uscire dall’isolamento regionale?
Innanzitutto in questo periodo il governo è nelle mani dell’esercito:
da mesi è in atto un’aggressiva operazione militare a sud est che sta
trascinando verso una guerra civile senza uscita dopo l’interruzione del
processo di pace con il Pkk. Il governo segue una linea suicida con
strategie intrecciate a quelle dello Stato profondo e di Gladio, a chi
cioè vuole mantenere alto il livello del conflitto. Il golpe arriva oggi
per mandare un messaggio ad Erdogan, per costringerlo a proseguire
sulla via della guerra e non quella del negoziato. Ocalan [il leader del
Pkk] lo aveva previsto, aveva avvertito del rischio di un golpe nel
momento in cui fosse fallito il processo di pace.
In secondo luogo siamo vicini all’anniversario del 30 agosto,
commemorazione della battaglia di Dumlupinar del 1922. Una data
importante in cui il presidente (e capo delle forze armate) decide quali
ufficiali dell’esercito mandare in pensione e quali promuovere. Pare
che nella mente di Erdogan ci fosse già l’idea di una pulizia generale.
In tal senso il golpe potrebbe essere stato una risposta anticipata a
quell’eventualità.
Il fatto che la popolazione (e non solo i sostenitori
dell’Akp) abbia reagito al putsch radicherà le politiche in atto? Non
solo repressione delle voci critiche e della stampa ma anche la riforma
presidenziale e le politiche neoliberiste a cui Gezi Park si oppose?
Il golpe è capitato al momento giusto. Secondo gli ultimi sondaggi la
popolazione non vede di buon occhio il sistema presidenziale perché sa
che servirà ad aumentare il potere del governo soprattutto nei confronti
della magistratura. A Istanbul e Ankara in piazza non ci sono le masse
ma sostenitori dell’Akp che bruciano immagini di Gulen e linciano
soldati semplici. Eppure con il colpo di Stato fallito Erdogan si è
garantito il controllo sia di una popolazione arrabbiata che di un
manipolo di pionieri, zoccolo duro del suo consenso. In più ha messo al
sicuro il modello neoliberista su cui ha fondato la sua strategia
politica e con cui ha legittimato privatizzazioni selvagge e oligopoli.
Tra gli effetti delle purghe ci sarà dunque il definitivo radicamento di un regime autoritario?
Sicuramente. Oggi in piazza ci sono dei cannibali e al potere un
governo che ripulirà a proprio vantaggio il sistema giuridico e quello
di sicurezza.
Chi sono queste migliaia di persone oggetto di epurazione?
C’è di tutto. Molti soldati semplici che non avevano nemmeno idea del
golpe e potrebbero essere liberati a breve. Ci sono membri e
sostenitori delle opposizioni, di ogni tipo. Ma anche personalità vicine
all’entourage dell’Akp. Ci sono giudici, tantissimi, l’ennesima ondata
di epurazione dentro la magistratura. E a breve seguiranno giornalisti,
avvocati, professori, insomma le voci critiche.
Erdogan però rischia molto: ha buttato in un contenitore
dell’immondizia 10mila persone tra impiegati, soldati, poliziotti. In
questo modo si rafforza solo nel breve periodo perché rischia di crearsi
un fronte di opposizione sempre più ampio. Nell’immediato può ottenere
risultati eccellenti, ma sul lungo periodo le purghe potrebbero
rivelarsi un boomerang. Governare con la paura non legittima il sistema
sociale, economico e politico che ha in mente l’Akp.
E fuori? Erdogan non ha avuto subito solidarietà dagli alleati occidentali. Il sintomo di un isolamento esterno?
A livello internazionale c’è dipendenza da Erdogan ma anche un forte
desiderio di trovare qualcuno altrettanto obbediente ma meno
destabilizzante. Ma dopotutto è un perfetto membro Nato, un perfetto
partner economico per l’Europa e la Russia, un perfetto sostenitore
delle politiche europee sulle migrazioni. Anche le tensioni con gli
Stati Uniti sono solo superficiali. Washington è alleato irrinunciabile,
ha basi militari nel territorio turco e ed è partner indispensabile
nella Nato. La Turchia si comporta con gli Stati Uniti come fa con
Israele, una finta politica di tensione.
Fonte
Punto di vista interessante anche se, personalmente, non del tutto condivisibile.
Non mi convince il fatto che il golpe nasca dall'intento dei congiurati di spingere Erdogan sulla via della guerra dal momento che la Turchia in guerra (asimmetrica con l'Isis e dichiarat con il PKK) c'è in pieno e non gli sta andando benissimo.
Non credo nemmeno che le tensioni con l'Occidente siano solo di facciata, insomma mi pare che il soggetto intervistato sottovaluti notevolmente le condizioni materiali in cui sono maturati e consumati i fatti del 15 luglio.
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