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20/07/2016

La scure di Erdogan su scuola e università, epurati a migliaia

Non si arrestano le purghe di massa da parte del regime turco dopo il fallito colpo di stato di venerdì scorso. Dopo esercito, magistratura, gendarmeria e amministrazione pubblica oggi nel mirino della vendetta di Erdogan sono finite scuola e università, sia sul versante pubblico che privato. Il Consiglio per l’alta educazione (Yok), organo costituzionale responsabile della supervisione delle università turche, ha “chiesto” le dimissioni di 1.577 rettori. Tra questi, 1.176 sono di università pubbliche e il resto di fondazioni universitarie. Sono inoltre stati sospesi con effetto immediato oltre 15.200 tra impiegati e funzionari del ministero della Pubblica Istruzione, mentre il ministero dell’Educazione ha revocato la licenza d’insegnamento a 21 mila docenti che lavorano in scuole private. Contro gli insegnanti epurati è stata anche aperta un’inchiesta, che potrebbe portare nei prossimi giorni a numerosi arresti con l’accusa di appartenenza ad organizzazione terroristica, quale è considerata la confraternita Hizmet guidata dall’imam/magnate Fethullah Gulen, che il regime considera l’ispiratore del fallito putsch. Già ieri erano stati sospesi dall’incarico novemila dipendenti del Ministero dell’Interno, per la maggior parte poliziotti, e anche tremila tra giudici e procuratori.

La direzione del Mit ha sospeso circa 100 membri dell’intelligence, per la maggior parte non più agenti attivi. La Presidenza turca per gli Affari religiosi (Diyanet), massima autorità islamica che dipende dallo Stato, ha informato oggi di aver allontanato 492 dipendenti – tra cui numerosi imam e docenti di religione – perché sospettati di legami con gli ambienti di Gulen. Epurati anche 200 funzionari dell’Ufficio del Primo Ministro.

Sempre oggi l’Alto Consiglio per la radio e televisione turco ha annunciato di aver ritirato le licenze di trasmissione a tutte le emittenti radiotelevisive vicine all’imam Fethullah Gulen, in totale 24 (alcuni media vicini a Hizmet erano già stati sequestrati o chiusi nei mesi scorsi).

Intanto oggi il totale delle persone arrestate con l’accusa di complicità nell’ammutinamento armato è salito a 9350. Tra questi anche un secondo consigliere militare di Recep Tayyip Erdogan, bloccato in un hotel a pochi chilometri da Antalya, rinomata località balneare sulla costa meridionale dell’Anatolia, dove l’uomo era andato fornendo generalità false. Il tenente colonnello Erkan Kivrak, esperto in questioni aeronautiche è accusato di essere personalmente coinvolto nel maldestro colpo di Stato del 15 luglio. Nella scala gerarchica dello staff consultivo del presidente della Turchia, Kivrak occupava il secondo posto per rango e prestigio, dietro soltanto al colonnello Ali Yazici, coordinatore del gruppo e in apparenza fedelissimo di Erdogan, investito dell’incarico nell’agosto 2015.

Stato maggiore: intelligence ci informò prima di golpe

L’agenzia di intelligence turca MIT aveva informato i vertici delle forze armate turche qualche ora prima dell’avvio del golpe militare del 15 luglio e il capo di stato maggiore, il generale Hulusi Akar, aveva valutato l’informazione e emesso tutti i necessari avvertimenti e ordini contro questo “disprezzabile e miserabile tentativo”. E’ quanto si legge in un comunicato sul sito dello Stato maggiore turco che afferma: “i traditori terroristi membri di una gang illegale, l’organizzazione terroristica fethullahista – FETÖ – (termine che designa nel linguaggio del regime di Ankara i seguaci di Fethullah Gulen), annidati nelle Forze armate sono stati soppressi in tutto il Paese a far data del 17 luglio alle ore 16”. Lo Stato Maggiore afferma anche che i golpisti non hanno alcun rapporto con la “stragrande maggioranza” dei membri delle forze armate, “che amano il popolo, la nazione, la bandiera” turchi. “Le informazioni fornite dal Mit intorno alle 16 del 15 luglio 2016, sono state valutate presso lo stato maggiore dal Capo di Stato maggiore generale Hulusi Akar, dal Capo di Stato maggiore dell’esercito generale Salih Zeki Çolak e dal vice Capo di Stato maggiore generale Yasar Güler” prosegue il comunicato che si dilunga sugli ordini di fermare i movimenti di tutti i veicoli militari. La nota aggiunge che Akar è stato minacciato e obbligato a firmare e leggere in tv un “documento del tradimento, la cosiddetta dichiarazione” e che il generale ha respinto la richiesta “fermamente, con parole che comprendevano insulti”.

Il comunicato non chiarisce perché la stragrande maggioranza delle forze armate, che pure era fedele al regime, non intervenne preventivamente per bloccare i reparti ribelli e stroncare il golpe sul nascere, evitando la perdita di molte vite e di mettere a rischio l’incolumità del presidente. L’unica spiegazione – ma questo il regime non lo ammetterà mai – è che i golpisti sono stati attirati in una trappola affinché Erdogan ed i suoi potessero trarne il massimo vantaggio.

2 elicotteri e 25 militari svaniti nel nulla

Due elicotteri, con 25 militari delle forze speciali a bordo, sono scomparsi il giorno del tentativo di colpo di stato in Turchia, il 15 luglio scorso, durante un tentato blitz contro la residenza estiva del presidente Recep Tayyp Erdogan, nella località turistica sull’Egeo di Marmaris. “Non è chiaro da dove i due elicotteri siano decollati volando attraverso un’area forestale a Marmaris. Ma il loro obiettivo è stato accertato. Gli elicotteri sono atterrati in una località sconosciuta e poi sono scomparsi”, ha scritto il giornalista di Hurriyet, Abdulkadir Selvi. Secondo il reporter, “i due elicotteri erano decollati per salvare 25 uomini delle forze speciali incaricati di un raid contro il presidente Erdogan, ma poi sono fuggiti in una zona boschiva dopo avere fallito”. “I due elicotteri e le 25 persone che si nascondevano nella zona boschiva non sono stati più ritrovati”, ha aggiunto Selvi.

Erdogan non rientra ad Ankara

Intanto è giallo sul motivo che spinge Erdogan a non rientrare nella capitale Ankara da quando, venerdì notte, intorno alle 2.00, è atterrato all’aeroporto Ataturk di Istanbul osannato da una folla festante per la sconfitta dei golpisti. Da quel momento il presidente non si è spostato dal suo principale feudo politico, Istanbul, città di cui è stato per quattro anni sindaco prima della scalata al potere a livello nazionale. La lontananza del capo dello stato da Ankara, duramente colpita dal tentato colpo di stato e sede delle istituzioni (alcune delle quali bombardate dai militari ribelli) è diventata subito ‘trend topic’ sui social network. “Il signor presidente si trova a Istanbul dal colpo di stato”, recita un tweet, “io questo non riesco a comprenderlo. La capitale non sarebbe sicura?”. E ancora un altro utente: “La capitale della Turchia, è Ankara. Perché il presidente annuncia da Istanbul che tutto è sotto controllo? Perché tutti questi soldati inviati a Istanbul?”. E’ stato infatti annunciato che 1.800 membri supplementari delle forze dell’ordine sono stati dispiegati nella prima città della Turchia per rafforzare la sicurezza nei luoghi strategici. “Il presidente segue l’evoluzione della situazione dalla sua residenza di Istanbul. Il primo ministro e i membri del governo si trovano ad Ankara”, ha dichiarato un responsabile sotto copertura di anonimato, “Il capo dello stato passa la maggior parte dei suoi fine settimana a Istanbul e non ha reputato necessario rientrare ad Ankara visto che già si trova lì il primo ministro. La situazione è sotto controllo, ma noi chiediamo alla gente di restare in allerta finché non saranno trovati tutti i complici”. Secondo il programma, Erdogan dovrebbe assistere domani ad Ankara a una riunione del Consiglio di Sicurezza nazionale, dopo la quale è attesa “un’importante decisione” non meglio specificata.

Niente funerali per i golpisti uccisi

Un tribunale di Ankara ha confermato ieri sera gli arresti di 26 generali accusati di aver ordito il fallito golpe. I generali sono ora in custodia cautelare in attesa del processo, per il quale non è stata fissata una data, e sono accusati di reati quali tentativo di rovesciamento dell’ordine costituzionale, guida di gruppo armato e tentativo di omicidio del presidente.

Tra i comandanti arrestati – che sono solo una parte dei 113 tra generali e ammiragli finiti in manette – c’è anche l’ex capo di stato maggiore dell’aeronautica Akin Ozturk, accusato da alcuni media di aver coordinato il golpe. Ma Akin ha negato davanti ai magistrati di aver avuto alcun ruolo nel putsch. “Non sono la persona che ha pianificato o guidato il golpe. Chi l’abbia fatto non so” ha detto, secondo l’agenzia Anadolu che ha pubblicato le foto di Ozturk e degli altri accusati sulle scale interne del tribunale, con lo sguardo perso e le mani legate dietro la schiena.

Intanto l’Agenzia per gli Affari religiosi (Diyanet), la più alta autorità islamica turca dipendente dallo Stato ha annunciato che i golpisti uccisi venerdì e sabato mattina saranno privati delle esequie religiose. “Le cerimonie religiose non saranno garantite” per le persone morte fra i ranghi ribelli, ha avvertito Diyanet in un comunicato. “Queste persone non hanno solo calpestato i diritti dei singoli ma dell’intero popolo e non si meritano le preghiere”. L’esercito sabato ha annunciato 104 ribelli uccisi nel golpe, cifra che poi non è stata più aggiornata. Il governo ha invece rivisto al rialzo il bilancio dei civili e dei membri delle forze di sicurezza uccisi fra i lealisti, fissandolo provvisoriamente a 204 persone. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan domenica aveva partecipato a diverse cerimonie funebri per queste vittime, ufficialmente qualificate come “martiri”.

Perquisizioni e arresti nella base di Incirlik

Sette militari sono stati arrestati nella base aerea di Incirlik, nel sud della Turchia, utilizzata dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti. In precedenza, procuratori e poliziotti avevano ordinato una perquisizione in questa base strategica della Nato, utilizzata da circa 2000 militari di Washington e di altri paesi alleati per lanciare i bombardamenti contro le postazioni dello Stato Islamico in Siria. Nei giorni scorsi le autorità turche avevano già arrestato un alto ufficiale dell’aviazione e una decina di militari operanti nella base e sospettati di aver aiutato i golpisti. Responsabili turchi hanno indicato di sospettare che la base, che si trova nel sud della Turchia, nei pressi della frontiera con la Siria, sia stata utilizzata per rifornire alcuni caccia guidati da militari ribelli. La chiusura dello spazio aereo ordinata da Ankara e la sospensione della somministrazione di energia elettrica alla base aveva provocato una sospensione dei raid aerei per circa 24 ore. Da parte loro, ieri, le autorità statunitensi hanno revocato le restrizioni di volo imposte tra gli Stati Uniti e la Turchia dopo il fallito tentativo di golpe contro il presidente Erdogan. Alle compagnie aeree statunitensi era stato vietato nella notte di venerdì di volare su Istanbul o Ankara. Tutte le compagnie aeree, di qualunque nazionalità, erano state interdette dal recarsi dalla Turchia agli Stati Uniti, con o senza scalo.

Continua il duello sull’estradizione di Gulen
Continua intanto il braccio di ferro sull’estradizione dell’imam/magnate accusato da Ankara di essere a capo di una rete ‘terroristica’ che negli ultimi anni ha tentato di destabilizzare la Turchia e che ha ispirato il golpe del 15 luglio. Il regime turco afferma di aver inviato a Washington diversi dossier per ottenere l’estradizione dell’imam, secondo quanto riferito al Parlamento dal premier Binali Yildirim in risposta a John Kerry che aveva accusato il governo di Ankara di aver proferito numerose accuse contro l’uomo ma mai corredate da prove. Dal canto suo, al sicuro dal suo esilio statunitense l’ex padrino di Erdogan trasformatosi in suo acerrimo rivale, ha liquidato come inconsistente il tentativo di estradizione che lo riguarda. “Già altre volte” ricorda Gulen, “hanno avanzato richieste simili ma le autorità non hanno dato seguito perché erano destituite di fondamento e illegali”. Riguardo al tentato golpe Gulen ha vantato un dubbio disinteresse per la situazione politica turca: “Non abbiamo più contatti e non disponiamo di strumenti di comunicazione. Sono qui da due anni e non ho mai lasciato l’edificio dove vivo”. Sul futuro prossimo Gulen ha però avvertito, in sintonia con quanto vanno affermando l’amministrazione Obama e Jens Stoltenberg, che “Se la Turchia dovesse uscire dalla Nato rischia di tagliarsi del tutto fuori dal resto del mondo. E rischia di crearsi ancora più problemi. A mio avviso il paese potrebbe subire in breve tempo un drammatico tracollo e questo sarebbe terribile per la Turchia”.

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