Il governo turco è pronto a lavorare con i principali partiti di
opposizione per scrivere una nuova costituzione. A riferirlo alla stampa
è stato ieri il premier turco Binali Yildirim dopo il vertice
tra il presidente Erdogan e i leader del partito repubblicano (Chp) e
quello nazionalista (Mhp). Nel frattempo, ha però spiegato, “ci sarà un piccolo cambiamento per rimuovere gli ostacoli [presenti] nel testo”.
La modifica dell’attuale costituzione (che risale al 1980 dopo il
golpe militare) è da tempo il principale obiettivo di Erdogan che vuole
trasformare il Paese in una repubblica presidenziale dove il capo dello
Stato potrà godere di molti più poteri di quelli che ha attualmente.
L’incontro di ieri tra Erdogan, il Chp e l'Mhp è stato
giudicato “produttivo e storico” dal premier: i tre avrebbero concordato
su alcuni “modifiche” da fare soprattutto per ciò che concerne la parte
giudiziaria. “Abbiamo visto che la pensiamo in modo simile per
ciò che concerne le misure necessarie da prendere a breve termine [per
evitare un futuro golpe] e [in futuro] per una nuova costituzione” ha
detto alla stampa Yildirim. “In particolare – ha aggiunto – un
emendamento in piccola scala del testo costituzionale potrà avvenire
attraverso un accordo reciproco così da rimuovere le conseguenze
negative derivanti dal collasso del sistema”.
Il premier ha aperto anche al partito di sinistra filo curdo
(Hdp): “Non c’è alcun limite, possono partecipare ai lavori”. Eppure
ieri il suo leader Selahattin Dermitas non è stato invitato a prendere
parte all’incontro con Erdogan. “Continuare ad escluderci dalle
politiche turche, specialmente dopo il tentato golpe, è insensato”
aveva lamentato Dermitas intervistato dal quotidiano turco Cumhuryet .
“L’Akp [il partito di Erdogan, ndr] – ha spiegato – è arrabbiata
personalmente contro di noi perché, in definitiva, siamo l’unica forza
di opposizione che ostacola il suo potere. Ecco perché prova ad
associarci alla violenza”.
Mentre il processo politico muove i suoi primi passi, continuano le purghe di Ankara.
Ieri le autorità turche hanno fermato altri 40 militari ed emesso un
mandato di arresto nei confronti di 42 giornalisti. Secondo quanto
riferisce la Cnn Turk, anche quest’ultimi infatti sarebbero sospettati
di essere coinvolti nel golpe. Oggi, invece, a finire in manette sono
stati l’ex governatore di Istanbul ai tempi di Gezi Park, Huseyn Avni
Mutlu, ma soprattutto il General Maggiore Mehmet Cahit Bakir e il
Brigadier generale Sener Topuc. I due, fermati a Dubai dai servizi di
sicurezza emiratini, sono stati deportati in Turchia per essere
interrogati. Bakir e Topuc, due importanti figure dell’esercito che
operavano in Afghanistan, si aggiungono alla lista delle oltre 13.000
persone arrestate da quando è stato sventato il golpe (tra questi vi
sono 100 generali).
La campagna mediatica di Ankara contro il religioso Fetullah Gulen – ritenuto da Erdogan la mente del colpo di stato del 15 luglio e capo di uno “stato parallelo” – sembra convincere la maggior parte dei turchi. In uno studio effettuato del sondaggista Andy-Ar, infatti,
i due terzi della popolazione turca (64,4%) credono che sia stato
proprio il religioso in esilio negli Usa ad aver pianificato il putsch.
Solo il 3,8% e il 3,6% ritiene che ad aver organizzato il golpe siano
stati rispettivamente gli Stati Uniti e non meglio precisate “forze
straniere”. Dalle pagine del New York Times, Gulen prova a difendersi attaccando Erdogan.
Dopo aver ribadito la sua condanna “verso tutte le minacce alla
democrazia” e di aver sempre “denunciato pubblicamente e privatamente
gli interventi militari nelle politiche interne” degli stati, il
predicatore ha attaccato il presidente per il suo tentativo “sistematico
e pericoloso” di portare il paese ad un governo “di un solo uomo al
comando”. “In Turchia – ha scritto Gulen – lo spostamento del
governo di Erdogan verso la dittatura sta polarizzando la popolazione
lungo linee settarie, politiche, religiose ed etniche fomentando così i
fanatici”.
Ma Erdogan, forte dei sondaggi e legittimato dal sostegno di forze
(teoricamente) di opposizione come il Chp e il Mhp, tira dritto per la
sua strada e, dagli schermi televisivi della rete tedesca Ard, ha
attaccato ieri l’Unione Europea perché avrebbe trasferito solo 2 milioni
dei 3 previsti dall’accordo sui rifugiati. Il presidente è stato
irriverente quando ha ribadito la possibile reintroduzione della pena di
morte perché “se siamo in uno stato democratico, allora deciderà il
popolo”. Ma il sultano lavora anche per ripristinare i suoi legami con
Mosca dopo la rottura di novembre 2015 in seguito all’abbattimento turco in
Siria di un jet russo: il prossimo 9 agosto volerà a Mosca dove
incontrerà il suo pari russo Vladimir Putin.
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