di Michele Paris
Il giorno
dell’assegnazione ufficiale della nomination alla convention Democratica
di Philadelphia è stato contrassegnato dal tentativo di definire la
candidatura di Hillary Clinton come una sorta di successo di portata
storica per il solo fatto che una donna correrà per la prima volta alla
presidenza degli Stati Uniti per uno dei due principali partiti
americani. Le stesse personalità politiche e – tristemente – dello
spettacolo che hanno parlato ai delegati Democratici sono state in larga
misura donne o di colore, al preciso scopo di promuovere le consuete
politiche di genere che servono a nascondere la vera natura di un
partito, e di una candidata, ancorati agli interessi del business e
dell’industria militare americana.
Nonostante la presenza di
sostenitori animati probabilmente da un genuino spirito progressista, lo
spettacolo organizzato a Philadelphia ha avuto per certi versi un
carattere ancora più sinistro rispetto alla convention del Partito
Repubblicano. La sfilata di nomi che hanno animato quella Democratica,
così come il dibattito che l’ha preceduta e le deliberazioni dei vertici
del partito, hanno lasciato infatti un’impressione inequivocabile di
disonestà e cinismo.
Questo perché, mentre il Partito
Repubblicano ha in gran parte abbandonato anche la pretesa esteriore di
battersi per gli americani comuni e consente quasi sempre ai propri
esponenti di dare sfogo alle tendenze più retrograde che lo
caratterizzano, quello Democratico continua a mascherare l’orientamento
reazionario con una messinscena e una retorica da baluardo dei valori
“liberal”.
Tanto più il Partito Democratico si sposta a destra,
maggiori devono essere gli sforzi per cercare di conservare la sua
tradizionale base elettorale, infinitamente più a sinistra dei vertici, a
rischio però di fare esplodere in maniera clamorosa tensioni e
divisioni che, vista anche la profondissima crisi economica e sociale
che attraversa l’America, sempre più difficilmente possono essere
contenute all’interno dell’attuale sistema politico.
Ai primi
segnali di un’esplosione di questo genere si è forse assistito questa
settimana a Philadelphia, dove, dietro alla celebrazione delle
fallimentari politiche identitarie del finto progressismo americano, una
parte dei delegati Democratici ha clamorosamente respinto la nomination
di Hillary Clinton.
Più di un centinaio di sostenitori di Bernie
Sanders ha lasciato la convention dopo la proclamazione dell’ex
segretario di Stato a candidata alla presidenza nella giornata di
martedì. In maniera ancora più significativa, i delegati fedeli a
Sanders hanno protestato contro la scelta di Hillary malgrado il
senatore del Vermont li avesse implorati in più occasioni di adeguarsi
alla decisione del partito. Nella prima giornata della convention,
Sanders aveva espresso il proprio “endorsement” ufficiale alla ex
rivale, ricevendo fischi da una parte della platea, mentre martedì ne ha
proposto addirittura la nomina per acclamazione.
I
suoi sostenitori hanno evidentemente preso atto della decisione di
Sanders di appoggiare una candidata che rappresenta tutto ciò contro cui
egli stesso si era scagliato durante le primarie, consentendogli di
creare un vero e proprio “movimento”, dirottato ora invece nel vicolo
cieco del Partito Democratico.
L’entusiasmo propagandato dai
media per la nomination di Hillary, esemplificato dalla patetica
immagine della rottura del “soffitto di vetro”, per spiegare che mai una
donna è stata così vicina alla Casa Bianca, implica in sostanza il
silenzio su ciò che rappresenta realmente la ex first lady.
Il
fatto di avere una donna alla guida degli Stati Uniti dovrebbe essere
cioè una conquista più importante rispetto al fatto che la candidata e
la sua famiglia hanno un rapporto simbiotico con i super-ricchi
d’America e in particolare con le grandi banche di Wall Street, grazie
alle quali Bill e Hillary hanno incassato decine di milioni di dollari
come compenso per i servizi resi durante la loro carriera politica.
Proprio
il discorso dell’ex presidente Democratico è risultato centrale nel
promuovere la consorte come l’unica tra i due candidati alla presidenza
in grado di battersi per gli americani più deboli. La presentazione di
Hillary in questa luce ha obbligato naturalmente Bill Clinton a
tralasciare svariati dettagli del passato di entrambi, come il fatto che
durante la presidenza di quest’ultimo erano stati adottati
provvedimenti che, da un lato, hanno distrutto il welfare americano e,
dall’altro, hanno spazzato via le rimanenti regolamentazioni
dell’industria finanziaria.
Il momento più nauseante della
giornata che ha visto l’incoronazione di Hillary è coinciso tuttavia con
lo sfruttamento da parte del Partito Democratico delle tragedie dei
famigliari di alcune vittime di colore della violenza della polizia,
invitati sul palco di Philadelphia. Le storie delle madri degli
assassinati per mano di agenti di polizia sono state usate per
ingigantire ancora una volta la questione razziale negli Stati Uniti,
come se essa fosse disgiunta dalle problematiche sociali e,
fondamentalmente, di classe che sono alla base delle violenze delle
forze dell’ordine.
La promozione di politiche identitarie da
parte dei partiti di orientamento “liberal”, negli USA come altrove,
riflettono d’altra parte il tentativo di raccogliere consensi elettorali
per un’azione politica che, in realtà, è caratterizzata principalmente
dal rigore e dalla guerra. Allo stesso tempo, la fissazione sulle
questioni di razza o di genere produce divisioni e impedisce una
mobilitazione dal basso fondata su rivendicazioni di natura economica e
sociale, al di là del sesso e del colore della pelle.
Fuori da
ogni discussione alla convention, come anche durante le primarie, è
rimasta poi la politica estera, sia quella perseguita
dall’amministrazione Obama sia quella dell’eventuale amministrazione
Clinton. Hillary è considerata universalmente la candidata con le
maggiori credenziali in ambito militare, conquistate grazie
all’instancabile promozione della forza nella difesa degli interessi
americani durante gli anni trascorsi alla guida del Dipartimento di
Stato.
Proprio il ruolo da protagonista svolto nella distruzione
di un paese come la Libia o le pressioni sulla Casa Bianca per
intensificare l’impegno militare in Siria è valso a Hillary il sostegno
di numerosi “falchi” e “neo-con” Repubblicani, alcuni dei quali
potenziali criminali di guerra, preoccupati per le tendenze
isolazioniste di Donald Trump.
Il pedigree guerrafondaio della
candidata Democratica o i preparativi già in atto per lanciare nuove
guerre dopo le elezioni non sono stati però toccati durante la
convention, tantomeno da un Bernie Sanders impegnato a soffocare in
tutti i modi la “rivoluzione” da lui stesso alimentata e poi cavalcata
nei mesi scorsi.
Lo
stesso Sanders ha ritenuto di non dover sollevare nemmeno le questioni
emerse dopo la pubblicazione settimana scorsa da parte di WikiLeaks di
migliaia di e-mail del Comitato Nazionale Democratico (DNC). Questi
documenti hanno evidenziato le manovre dell’establishment del partito
per fare in modo che Sanders non avesse alcuna possibilità di
conquistare la nomination. Le rivelazioni, che chiaramente hanno
moltiplicato le frustrazioni dei sostenitori del senatore, non hanno
scalfito la sua determinazione nel cercare di convincerli ad appoggiare
Hillary Clinton.
Le e-mail del DNC hanno anche fatto luce sulle
pratiche discutibili, se non palesemente illegali, adottate per
raccogliere fondi elettorali. Il partito ha ad esempio convogliato
ingenti donazioni verso l’organizzazione che gestisce la campagna
elettorale di Hillary, aggirando la legge americana che limita
rigorosamente il finanziamento diretto dei singoli candidati.
Inoltre,
i documenti hanno mostrato le modalità con cui gli uomini del DNC
sollecitano donazioni ai ricchi sostenitori del partito, ai quali
offrono spesso incentivi in cambio del loro denaro, come ad esempio la
possibilità di partecipare a eventi esclusivi con accesso diretto
talvolta anche al presidente Obama e al vice-presidente Biden.
Anche
queste pratiche sono ovviamente passate sotto silenzio alla convention
di Philadelphia. Esse hanno però contribuito a delineare ancora una
volta la natura e i punti di riferimento del Partito Democratico,
intento a celebrare, con la stretta collaborazione dei media ufficiali,
la presunta storica conquista della prima donna seriamente candidata
alla Casa Bianca nella storia degli Stati Uniti.
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