Ieri il parlamento di Parigi, in ossequio alla lotta contro il salario
sui cui si fonda l’Unione Europea, ha definitivamente approvato la “Loi
Travail”. Almeno per il momento dunque le esigenze delle borghesia
europea di veder compressi i propri costi per mantenere competitive sul
mercato mondiale le proprie merci (e intatti i propri profitti)
sembrerebbero aver prevalso sulle pur generose lotte che hanno
riscaldato la primavera francese. Il premier Manuel Valls ha così commentato soddisfatto: un
grande passo per la riforma del nostro Paese; più diritti per i nostri
lavoratori, più visibilità per le nostre piccole e medie imprese, più
posti di lavoro, recitando alla perfezione lo stesso mantra con cui
il nostro Renzi accompagnò l’introduzione del Jobs Act, tanto che ci
viene il dubbio che a Bruxelles tengano degli appositi corsi di
“storytelling liberista”.
Nonostante la spaccatura provocata nel Paese,
la “riforma” del codice del lavoro avanzata dalla ministra El Khomri è
stata dunque approvata senza sostanziali modifiche. D’ora in poi sarà
sufficiente un calo dei ricavi per un solo trimestre per poter procedere
ai licenziamenti per ragioni economiche nelle aziende con meno di 11
dipendenti, per due trimestri consecutivi per le aziende da 11 a 50
dipendenti, di tre per quelle da 50 a 300 e di quattro per quelle con
oltre 300 addetti. Si dovrà passare per un accordo sindacale e l’azienda
potrà indire un referendum nel caso l’accordo venga comunque
sottoscritto da un sindacato che ha il 30% dei consensi. In caso di
vittoria dei “Si” l’accordo verrà comunque applicato e chi si oppone
potrà essere licenziato. La nuova legge introduce anche la possibilità
per le imprese di “concordare” la flessibilità dell’orario per far
fronte ad un aumento della domanda, ovviamente senza che questo comporti
un aumento del salario. Anche in questo caso chi si rifiuta potrà
essere licenziato per ragioni economiche. Viene inoltre ribadita la
prevalenza della contrattazione aziendale rispetto a quella nazionale in merito ad orari e straordinari.
Insomma, non c'è che dire, una vera
riforma “di sinistra” fortemente voluta dal socialista Hollande che,
nonostante il baratro di consensi in cui è caduto, ha sentito l’esigenza
di portare a compimento il proprio mandato. Rimane in ultimo il
paradosso a cui rischiamo di essere costretti ancora una volta ad
assistere il prossimo anno in occasione delle elezioni presidenziali
quando, a fronte delle lotte sociali e di classe che dal basso e da
sinistra hanno animato questa stagione politica, chi passerà all’incasso
sarà probabilmente la destra reazionaria del Front National... ma del
resto si sa, in politica gli spazi lasciati vuoti prima o poi vengono
sempre occupati, e quasi mai da chi vorremmo noi.
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