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21/07/2016

Trump e i media, la storia si ripete in farsa

Ricordate la battuta di Marx su Napoleone III? La storia si ripete sempre due volte, scriveva il genio di Treviri, la seconda in forma di farsa. Di recente la storia ha preso il vizio di ripetersi più di due volte, ma la battuta funziona ancora, solo che, a ogni replica, l’elemento farsesco si acuisce, fino al grottesco. La colpa è dei media, i quali, nel raccontarci il mondo contemporaneo, ripropongono ossessivamente gli stessi schemi, che suonano ogni volta più ridicoli e stantii. Un esempio? Guardate come ci stanno raccontando la resistibile ascesa di Donald Trump, fino alla sua intronazione a candidato repubblicano alle imminenti elezioni presidenziali americane – evento che si è appena celebrato in quel di Cleveland.

Ogni volta che leggo un articolo sul New York Times, sull’Economist, sul Guardian o sul nostro Corriere della Sera, mi scattano ricordi su come, qualche decennio fa, furono raccontate le fortune politiche di personaggi come Ronald Reagan o Silvio Berlusconi: il primo dipinto come un vecchio, patetico attore di western, un ridicolo parvenu che, se fosse riuscito a farsi eleggere, avrebbe sicuramente combinato pasticci; il secondo come un volgare arricchito, digiuno di ogni più elementare nozione e competenza politica, destinato a ottenere, tuttalpiù, una breve parentesi di notorietà come Guglielmo Giannini e il suo Uomo Qualunque. Sappiamo come sono andate le cose: Reagan ha inaugurato la controrivoluzione liberista e contribuito ad affossare l’impero sovietico, Berlusconi si è trasformato nell’eroe di un ventennio che ha rivoltato come un calzino il nostro sistema politico. Ed entrambi sono stati servilmente celebrati come straordinari innovatori dai media che li avevano presi in giro.

Ora tocca a Trump. La grande stampa americana non riesce a digerire il fatto che un outsider si sia fatto beffe dell’establishment repubblicano e delle lobby che lo sostengono, per cui, scongiurato il pericolo di una candidatura Sanders in campo democratico, si stanno scatenando, sia attaccandone da sinistra (parola che suscita ilarità ove si considerino i pulpiti da cui provengono gli attacchi) le dichiarazioni razziste, sessiste e xenofobe, sia cercando di metterne in ridicolo i gesti, l’aspetto fisico e il linguaggio.

Il Corriere del 19 luglio scorso si è allineato a tale strategia, pubblicando un articolo dello scrittore Richard Ford in cui leggiamo frasi come non potrei cenare da solo con Trump nel mio ristorante preferito di Parigi. Rovinerebbe la cena; oppure sono certo che non potrei discutere con lui di un grande romanzo appena letto; mentre, nella pagina a fianco, compare un trafiletto sulla odissea tricologica del tycoon (accompagnato da immagini che ritraggono Trump nelle varie fasi della metamorfosi subita dalla sua improbabile chioma). Sorvolando sui tempi in cui il Corriere sviolinava Berlusconi (dimostrandosi assai più indulgente con le di lui chiome), è chiara l’intenzione di mettere alla gogna questo villano rifatto. Al pari di sua moglie, sbeffeggiata in un altro articolo di Maria Laura Rodotà, nel quale ci si chiede come potrebbe questa ex modella di biancheria intima diventare First Lady.

Essendo cinico e maligno, penso che a nessuno di questi giornali importi qualcosa se alla Casa Bianca dovesse approdare un cafone (non sarebbe certo il primo). Ciò che spaventa non è il candidato sporco, brutto e cattivo: sono gli elettori sporchi brutti e cattivi, cioè quel proletariato bianco impoverito e incazzato che sostiene Trump allo stesso modo in cui si è permesso di votare Brexit. Così come spaventano le sparate di Trump contro il free trade, le promesse di abbandonare l’Europa al proprio destino (si paghi da sola le sue avventure neocoloniali), le minacce contro Wall Street e i super ricchi e altre cosette di sinistra che sembra aver rubato al populista di sinistra Bernie Sanders.

Vorrei rassicurare lor signori: non credo che Trump possa vincere, visto che la macchina politica – ormai trasversale – e le super lobby che appoggiano la Clinton le regaleranno quasi certamente la vittoria (benché la maggioranza del popolo americano la odi cordialmente – e con buone ragioni). Ma quand’anche vincesse, vedrete che la sua demagogia antisistema sparirà come d’incanto, e lui farà esattamente quello che l’establishment si attende da un buon presidente. Dopodiché New York Times, Economist, Corriere e compagnia cantante inizieranno a sviolinarlo così come hanno sviolinato Reagan e Berlusconi. Un’altra replica un’altra farsa.

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