Leggiamo dalle pagine della Stampa (l’articolo è al fondo) la presa di parola, tutta politica, da parte dei 3 big della procura torinese: Francesco Saluzzo (Procuratore Generale), Armando Spataro (Procuratore della Repubblica) e Alberto Perduca (Procuratore Aggiunto). Una presa di posizione che ci aspettavamo (che anche l’ex procuratore Caselli ha fatto in più occasioni), alla luce dei numerosi e recenti passi falsi fatti dai loro uffici e dal fatto che stanno diventando di dominio pubblico una serie di fatti, non opinioni, che chiaramente delineano una strategia repressiva persecutoria nei confronti del movimento No Tav.
Anche noi decidiamo di procedere secondo un principio di sobrietà, andando per ordine, per dimostrare che ciò che dicono è sì una difesa politica argomentata ma purtroppo fallace sotto molti punti di vista.
Questione firme. I noti procuratori partendo dall’appello pubblicato dal sito Effimera e sottoscritto da moltissimi docenti e ricercatori in Italia in cui si denuncia la grave violazione della libertà accademica da parte di giudici che hanno deciso di condannare una ricercatrice perché ha scritto una tesi sul movimento notav alla prima persona plurale. Si appigliano al fatto che tale appello sia stato reso noto prima della pubblicazione delle motivazioni della sentenza di condanna nei confronti di Roberta Chiroli, 29 anni, ex studentessa all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Peccato che basti leggere poche pagine più in là, nella cronaca locale dello stesso quotidiano, per sapere che la studentessa è stata condannata proprio per i motivi denunciati dalla lettera di Effimera. Citiamo a p. 48: “Seguendo le argomentazioni dell’accusa, il giudice ha ricavato la sua responsabilità dalle frasi impostate con il pronome «noi», quasi «autoaccusatorie», a dimostrazione di un suo «ruolo attivo»”. Un fatto che i nostri procuratori fanno finta di ignorare...
Un atteggiamento molto severo quello del pm prima e del giudice poi, che potrebbe essere considerato un’eccezione se precedentemente la stessa procura torinese non avesse istruito processi ai danni di Davide Falcioni (giornalista che aveva raccontato di un’altra iniziativa No Tav e che poi è stato incriminato in concorso di reato) e a quelli di un’altra giornalista poi condannata anche in Cassazione, Flavia Mosca di Radio Popolare, per aver registrato una succinta cronaca di un’iniziativa No Tav nel dicembre 2011. Non parliamo poi di Erri De Luca, poiché si sono spese già molte parole in merito. Questo insieme di fatti ci restituisce, quindi, una particolare attenzione da parte della procura verso chi, svolgendo il proprio mestiere (sia esso ricercatore, scrittore o giornalista), si assume la responsabilità di raccontare o parlare del movimento No Tav, attraverso l’osservazione diretta e non per conto terzi, o meglio per conto delle veline della questura cittadina. La lettura delle motivazioni di condanna della giovane ricercatrice veneziana ci restituisce quindi unicamente l’interpretazione legale data dal giudice per poterla condannare, non giustifica invece un approccio così severo e percepito da molti come intimidatorio. La storia, si sa, trova nelle sentenze di tribunale la narrazione delle azioni istituzionali a fronte dei fenomeni sociali e talvolta di massa che da esse vengono giudicate nel tentativo, spesso politico, di normarle. Che la procura e i tribunali abbiano tentato più volte in questi anni di “riscrivere” la storia del movimento No Tav e modificarne la condotta è fatto oramai noto, che tentino di farlo anche nei confronti di chi, pur non essendo parte integrante del movimento prova però a narrarne le forme e le azioni, è altra cosa, e i processi a danni di giornalisti, scrittori, ricercatori ecc... ne sono il più concreto esempio.
I procuratori attaccano poi un intervento del giudice Livio Pepino che, dalle pagine de Il Manifesto, raccontava dati alla mano dei due pesi della magistratura torinese: corsia preferenziale per i processi ai No Tav, mentre i reati da essi denunciati vengono trattati con tempi compatibili con la prescrizione. In particolare ciò che urta i tre procuratori è vedere nero su bianco la proporzione di persone indagate. Scrive Livio Pepino che “Da oltre dieci anni i cittadini e le cittadine della Val Susa che si oppongono alla realizzazione del Tav sono oggetto di interventi repressivi di crescente gravità […]. Sono attualmente indagate in valle circa 1000 persone, di età compresa tra i 18 e gli 80 anni, per i reati più vari” Questo dato sul decennale bilancio repressivo del movimento corrisponde inequivocabilmente al vero e fa sorridere la goffa operazione dei mitici tre che, facendo finta di nulla, decidono per una conta diversa, che parte dal 1 luglio 2015 e arriva al 30 giugno 2016 e consiste in “appena” 183 indagati notav (certo, andato via Caselli i nuovi procuratori avevano annunciato un nuovo corso della procura torinese...).
Peccato che, a meno che qualcuno si prenda la responsabilità di archiviare tutte le precedenti indagini, queste rimangono attive, infatti proroghe, nuovi rinvii a giudizio ecc. continuano ad essere notificate per procedimenti antecedenti al 1 luglio 2015. Ci sono inoltre tutta una serie di indagini, per così dire “secretate” e non rese ancora note, di cui siamo sicuri avremo prima o poi contezza.
Non crediamo che la procura soffra di dissociazione mentale, quindi li invitiamo ad aggiornare correttamente La Stampa rispetto ai numeri e quindi alla reale posta in palio, sennò restituiscono una conta parziale, non veritiera e soprattutto estrapolata dal contesto generale... un po’ facile così, che dite? Inoltre, la strategia di persecuzione e di intimidazione cui si fa riferimento comprende anche l’utilizzo massiccio di forme cautelari in maniera preventiva (quindi prima che venga svolto il processo), fogli di Via, sanzioni amministrative ecc... Il tutto, con la clausola del pericolo di reiterazione del reato o pericolo di fuga. Ancora una volta i tre procuratori giocano ai finti tonti quando dicono “non sosteniamo affatto che le tesi dell’accusa debbano essere da tutti condivise... prima che i giudici le confrontino e le pesino sulla bilancia, non a caso simbolo della giustizia”.
Se sei notav in carcere o agli arresti domiciliari ci finisci prima di essere pesato su qualsiasi bilancia, prima del primo grado di giudizio, prima anche del processo: ci sono tanti attivisti, infatti, che hanno passato anche un anno sottoposti a misure cautelari in attesa dell’inizio del processo. Tutto ciò, non è garantista né equilibrato, ma siamo sicuri che i nostri procuratori lo sanno fin troppo bene.
Rispetto alle querele di parte archiviate in merito agli abusi e alle violenze della polizia ci sarebbero pagine e pagine da scrivere poiché esse sono davvero tante. Sappiamo di pochissimi casi in cui si è proceduto con un rinvio a giudizio a danno di chi aveva perpetuato ingiustificabili violenze, sono invece decine le querele, denunce ed esposti che non hanno mai raggiunto il vaglio di un processo. In certi casi, vedi Marta la giovane donna No Tav molestata dalle forze dell’ordine in stato di fermo all’interno del cantiere, nonostante ella avesse riconosciuto e dato un nome a chi le aveva fatto violenza, il procedimento è stato archiviato. A condurre gli interrogatori e a gestire la pratica gli stessi pm che conducevano l’indagine su di lei. Nel video-documentario “Archiviato” si sentono altresì i pm Rinaudo e Padalino che durante l’interrogatorio, in presenza delle persone da lei indicate come responsabili, le urlano contro intimandole di non fare la “vittima”. Eh si procuratori, proprio una condotta modello! Molte volte le querele di parte i relativi fascicoli non sono mai arrivati nelle mani di giudici terzi e questo è il segreto. Oltre che la verità.
Arriviamo infine alla parte dedicata a “un uomo di cultura” e il riferimento alla lettera del noto regista Virzì indirizzata ad Edgarda, giovanissima No Tav attualmente “uccel di bosco” con buona pace della questura torinese. I procuratori fanno appello ad un generico “bisogna avere fiducia nella giustizia”, poiché Edgarda era stata antecedentemente sanzionata per due manifestazioni universitarie, la prima di contestazione ad un gruppuscolo fascista che provocava all’interno della sua università, un'altra perché la digos (personale della questura) aveva impedito ad alcune studentesse universitarie, tra cui Edgarda, di entrare ad una conferenza in cui era presente il rettore. Il rettore stesso aveva poi fatto entrare le ragazze, dopo che queste erano state fisicamente strattonate dalla polizia, ed Edgarda aveva anche fatto un intervento inerente la condizione universitaria e la “militarizzazione” dei luoghi di studio. Le due misure cautelari inflitte ad Edgarda precedentemente riguardavano i fatti sopra descritti, l’ultima invece è stata prevista con l’operazione contro il movimento No Tav in cui 20 attivisti sono stati arrestati e altrimenti cautelati per i fatti del 28 giugno scorso. La natura dell’operazione è chiara a tutti e ci rimarrà per sempre nella memoria la foto di Marisa che con stampella e maglietta No Tav va a firmare dai carabinieri di Susa.
Concludono i signori procuratori con un appello agli attivisti del movimento, di smettere con le violenze e di isolare chi ai loro occhi si macchia di tali gravi reati. Questa frase, la ricordiamo bene, è un’eredità del buon Caselli che anni orsono predicava ed auspicava la divisione del movimento tra buoni e cattivi e chiedeva di isolare e denunciare i violenti.
Da allora come movimento abbiamo fatto tanta esperienza, sperimentando sulla nostra pelle quale sia la vera violenza, quella che lo Stato ha su di noi riversato con la massima forza nei modi più variegati, in primis nelle aule di tribunale e attraverso l’azione della procura.
Ci fa specie come nella lettera si omettano molte cose, tra cui il clima dei processi, (blindati, con forze di polizia in numero spropositato in aula e una “preparazione giornalistica” tutt’altro che garantista), l’uso del concorso morale, l’utilizzo di reati come stalking o altri solo per poter disporre di perquisizioni e intercettazioni (per poi ritornare ai reati originali perchè palesemente incompatibili), o la scelta di determinati Gip, particolarmente in sintonia con i pm, per le inchieste.
Abbiamo anche capito che solo rimanendo uniti possiamo continuare la nostra Resistenza, che si basa su valide ragioni e che i recenti passi indietro del governo rispetto il progetto definitivo ci confermano, anzi, confermano al tutto paese.
Mentre in Puglia si muore su un treno perché viaggia ancora su binario unico regolato con i fonogrammi e le palette, qui forti poteri vogliono continuare a sperperare denaro ed assoggettare una popolazione intera con la violenza. Questa verità molto semplice non è oggetto di dibattimento in tribunale, ma è attualità e sotto gli occhi di tutti.
Peccato infine che in tutta la ricostruzione fatta, si salti a piè pari l’enorme anomalia rappresentata dal reato di terrorismo che proprio questa procura, ha voluto portare in tutti i gradi di giudizio nonostante le bocciature in ogni sede. Ricordiamo come l’uscente procuratore generale Maddalena si sia persino rimesso la toga per portare a casa uno squallido risultato, poi per fortuna abortito.
Pensiamo che la presa di posizione dei sommi procuratori sulla pagine de La Stampa sia un importante segno di debolezza da parte loro, consapevoli di un’opinione pubblica e di un elettorato che gradualmente sta cambiando segno e che ha osservato e giudicato tutte le forzature (vedi terrorismo) ed operazioni ridicole che sono state messe in piedi negli ultimi anni.
Pensiamo anche che l’insubordinazione dei notav, che hanno rifiutato le firme giornaliere, gli obblighi di comunicazione ai domiciliari, i domiciliari stessi ed essersi sottratti alla cattura, stia creando qualche problema di non poco conto, a loro e ai pm con l’elmetto mandati avanti.
Quindi vi diciamo, accogliendo l’appello ad essere sereni che ci avete rivolto, che il Re è quasi nudo e noi di sicuro non collaboreremo con voi a rivestirlo.
Avanti No Tav!
Liberi tutti e tutte!
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