“E’ un terrorista indubbiamente legato all’Islam radicale”, ha detto il premier francese, Manuel Valls. Ma le notizie che trapelano non sembrano confermare lo schema classico e in un certo senso “rassicurante” per individuare il “nemico” da cui difendersi.
Secondo fonti tunisine Bouhlel, l’attentatore di Nizza, sarebbe un tunisino emigrato con il padre estremista islamico. Era depresso per il divorzio. Proprio il padre, intervistato dai media francesi ha affermato che il figlio: “Ha passato dei periodi difficili, l’ho portato da uno psichiatra. Ha fatto dei trattamenti (mostrando documenti del 2004) e il medico ci disse che era affetto da una malattia grave”. Ha aggiunto che il figlio a volte era “instabile, perfino violento”. I contatti tra il 31enne tunisino e il padre si erano rarefatti da quando si era trasferito in Francia.
Noto alla polizia per violenze domestiche e private, Bouhlel era stato in libertà vigilata. I media francesi riferiscono che sarebbe ancora in stato di fermo la moglie (separata dal 2012 da Bohulel) ma che nella casa dell’attentatore non sono state trovate né armi né esplosivi né materiale riconducibile agli jihadisti. l’emittente Europe 1 ha reso noto che la polizia francese ha arrestato 5 persone. I fermi sono stati effettuati, hanno riferito fonti della polizia, tra le persone della “stretta cerchia” di conoscenze dell’attentatore. Sempre secondo i media francesi il killer avrebbe beffato i servizi di sicurezza della Promenade des Anglais fingendosi un fornitore di gelati.
La rivendicazione dell’attentato da parte dell’Isis è giunta attraverso Amaq, l’agenzia di stampa del Califfato: “L’autore dell’operazione di Nizza in Francia è uno dei soldati dello Stato islamico. Ha condotto questa operazione in risposta agli appelli a colpire la popolazione degli Stati della coalizione che combatte lo Stato islamico”. Tuttavia, secondo fonti citate dal quotidiano Le Figaro, gli inquirenti non hanno per ora trovato alcuna prova concreta che l’attentatore abbia dichiarato la sua adesione o giurato fedeltà all’Isis, come di solito fanno i terroristi prima di morire da martiri.
“Siamo di fronte a persone che sono sensibili ai messaggi di Daesh (l’acronimo arabo di “organizzazione Stato Islamico) che si impegnano in azioni violente senza necessariamente aver partecipato ai combattimenti, senza necessariamente essere addestrati” ha dichiarato il ministro degli interni francese Cazenueve.
Ricostruire la dinamica della strage di Nizza dunque appare tutt’altro che lineare. Gli scenari in bianco e nero, con un nemico definito e definibile – e dunque individuabile e attaccabile sul piano militare – non appartengono più al mondo di una guerra completamente asimmetrica. L’Isis rivendica tutto ciò che ritiene possa accrescere la propria immagine di potenza, anche quando magari non è frutto dei propri miliziani – organizzati in gruppi o lupi solitari che siano. Rivendicazioni postume che non presuppongono pianificazioni o centralizzazione degli attacchi. Una sorta di terrore in franchising che fa circolare un brand adattabile ad ogni situazione e che produce senso di insicurezza e minaccia nei paesi in cui avvengono gli attentati e le stragi. L’indefinibilità del nemico rende più isterici e brutali gli apparati e le misure di sicurezza che vengono adottate dalle potenze occidentali autoproclamatesi “esportatrici di democrazia” – e la Francia è tra queste – tramite i bombardamenti seminati a piene mani in questi anni in Medio Oriente o in Africa. Una storia che restituisce il terrore diffuso spesso su popolazioni inermi, reso ancora più cinico e odioso dal doppio standard con cui vengono pesate le vittime nelle strade delle città europee e quelle nei paesi mediorientali, africani, asiatici. E’ un tunnel dell’orrore di cui diventa difficilissimo individuare la fine.
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