Dopo la strage di Nizza e soprattutto dopo le reazioni alla strage, possiamo, anzi dobbiamo tirare una conclusione orribile ma logica: il terrorismo ha vinto. Dobbiamo dircelo proprio mentre diventa sempre più probabile che il gesto di Mohamed Bouhlel, il francese di origine tunisina che ha ucciso 84 persone sul lungomare della Costa Azzurra investendole con un Tir, in realtà con il terrorismo abbia poco o nulla a che fare e sia invece legato alle vicende personali dell’assassino (padre di tre figli, stava divorziando) e alla sua instabilità psichica. Possiamo anche aggiungere che la dinamica della strage sin dal primo momento ha mostrato di essere ben lontana da quella dei tipici atti terroristici dell’Isis e dei suoi simili: nessun commando, nessun kamikaze, niente kalashnikov e niente esplosivi. E ci dovremo prima o poi domandare come sia successo che un simile mezzo sia potuto entrare in un’area pedonalizzata, nel giorno della festa nazionale francese che era comunque considerata un appuntamento a rischio per l’ordine pubblico, solo perché l’autista-assassino ha detto di dover consegnare gelati.
Conta di più, però, un’altra cosa: che la strage di Nizza abbia subito spinto i giornali a parlare di attacco all’Europa, guerra di religione, strategia di guerra civile in Francia, piani dell’Isis, mostrando quanto fragili siano i nostri nervi e debole la nostra capacità di risposta collettiva. E’ vero, il terrorismo islamista ha colpito in Europa (e in Francia in particolare) un numero sufficiente di volte e con crudeltà bastante a farci vivere con i nervi perennemente tesi. Ma il caso del nizzardo Bouhlel somiglia drammaticamente a quello di Omar Mateen, il cittadino americano di origine afghana che nel giugno scorso ha ucciso 49 persone in un club gay di Orlando (Florida). Anche allora, dopo la più grave strage urbana della storia degli Usa, si scatenarono interpretazioni simili: il Califfato ordina di colpire, attacco all’America e così via. Quando si scoprì che Mateen era a sua volta un gay, ma con la mente disturbata, si smise di colpo di parlare del fatto. Anche a costo di dimenticare un fatto fondamentale se davvero ci fosse interessato il terrorismo: Mateen era stato indagato per sospetta collaborazione con il terrorismo ed era finito sulla “lista nera” dell’Fbi. Nonostante questo, era riuscito a procurarsi un fucile semiautomatico, in pratica un’arma da guerra. Tutto questo ci dice che siamo ancora impantanati in una visione del terrorismo islamico da “scontro di civiltà”. Quelli sono brutti, sporchi e cattivi e leggono il Corano, noi siamo buoni. Per questo sospettiamo che tra i migranti s’infiltrino i terroristi (anche se autorità e investigatori ci dicono che non è vero). Per questo qualunque crimine commesso da persone originarie di Paesi islamici è un atto di terrorismo, anzi: un attacco all’Europa, alla nostra civiltà. Finché non usciremo da questo vicolo cieco, abbiamo poche speranze di riuscire a battere il terrorismo. E infatti i dati ci dicono che dal 2000 a oggi, le vittime per atti di terrorismo sono andate sempre crescendo, fino ad aumentare di nove volte. Dobbiamo togliere al terrorismo islamico lo status privilegiato di fenomeno culturale che la teoria dello scontro di civiltà gli ha stupidamente regalato per riportarlo sulla terra, tra le dinamiche della speculazione politica ed economica cui appartiene. Sappiamo chi lo finanzia, sappiamo quali sono i suoi fini. Questo è il vero campo di battaglia. Convincere un miliardo di musulmani a non leggere più il Corano, ammesso che avesse senso, è un’impresa impossibile. Smetterla di inchinarsi ai Paesi del Golfo Persico che finanziano i miliziani sarebbe molto più semplice e più utile. Altrimenti continueremo a prendere lucciole per lanterne. E a scambiare i dementi assassini per strateghi dello scontro di civiltà.
Fulvio Scaglione - Famiglia Cristina
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