In Bahrein nuova ondata repressiva e pugno duro contro l’opposizione sciita. L’Alta Corte del piccolo Stato-isola del Golfo ha definitivamente sciolto il partito al Wefaq, principale movimento che si oppone alla monarchia sunnita, e imposto la liquidazione dei fondi dell’organizzazione che saranno sequestrati dalla tesoreria dello Stato. La decisione rientra nel giro di vite di Manama contro il movimento sciita accusato di avere legami con l’Iran e di “promuovere il terrorismo”, accusa palesemente falsa ma ampiamente utilizzata da tutte le petromonarchie che costituiscono il blocco sunnita guidato dall’Arabia Saudita.
Già nel giugno scorso le autorità del Bahrein avevano revocato la cittadinanza alla guida spirituale sciita Sheikh Isa Qassim. Secondo gli analisti, la repressione anti-sciiti e la crescente influenza dei Fratelli musulmani e delle correnti sunnite più estremiste, potrebbero riaccendere gli scontri settari nel piccolo e strategico Stato, che è anche sede della Quinta flotta navale degli Stati Uniti.
Le misure prese contro Qassim sono state estese anche ad altri membri della comunità sciita. Lo scorso 27 giugno un tribunale ha condannato a diversi anni di carcere ed ha revocato la cittadinanza a cinque persone legate a gruppi politici sciiti che da tempo chiedono una democratizzazione delle istituzioni e la fine della discriminazione nei confronti della consistente componente della popolazione di fede sciita.
Secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa locale “Bna” due persone sono state condannate rispettivamente a tre e dieci anni di carcere per attività legate al partito al Wefaq, accusato di complottare contro la monarchia sunnita al potere nel piccolo regno a maggioranza sciita. Altre persone sono state condannate invece a 15 anni di carcere per avere avuto legami con un altro gruppo radicale sciita noto come Brigata Mukthar.
Il 20 giugno le autorità del Bahrein hanno poi revocato la cittadinanza al religioso sciita Qassim, considerato il capo spirituale della maggioranza della popolazione del regno (dove gli sciiti rappresentano il 70% del totale) governato dalla minoranza sunnita. In una nota il ministero dell’Interno di Manama ha incredibilmente accusato Qassim di fomentare le divisioni settarie e di sfruttare il suo ruolo per “servire gli interessi stranieri ed incoraggiare il settarismo e la violenza”. Qassim è anche accusato di aver ricevuto fondi senza averli rendicontati, come previsto dalla legge. Secondo le accuse in numerose occasioni il leader religioso avrebbe “violato la supremazia della legge” promulgando delle fatwa (pareri giuridici emessi dalle autorità islamiche) che avrebbero influenzato il processo elettorale nel paese.
Sulla situazione del Bahrein si è espresso anche il Parlamento europeo che lo scorso 8 luglio ha approvato una risoluzione che esprime “profonda preoccupazione per la campagna di repressione” in corso nella piccola petromonarchia a maggioranza sciita ma governato da una monarchia settaria sunnita. Gli eurodeputati hanno votato a maggioranza schiacciante per condannare le dure misure prese dal regime contro alcuni attivisti dei diritti umani e oppositori politici. Il testo della risoluzione chiede in particolare il rilascio immediato dell’attivista Nabeel Rajab e dello sceicco Ali Salman, capo del partito di opposizione al Wefaq. L’Europarlamento, inoltre, chiede il rilascio di tutti i prigionieri detenuti arbitrariamente e di mettere fine alla pratica della revoca della cittadinanza ai dissidenti.
Ma l’Unione Europea e i singoli stati aderenti – e l’Italia, oltre alla Francia, è in prima fila nella vendita di armi – continuano a considerare il Bahrein e le altre petromonarchie sunnite degli alleati di ferro nella regione, nonostante il sostegno del blocco guidato dall’Arabia Saudita all’estremismo jihadista e ai piani di destabilizzazione dei paesi dell’asse sciita. La repressione del regime sunnita di Manama contro la popolazione sciita ha provocato negli ultimi sei anni centinaia di morti, e migliaia di persone sono state imprigionate o costrette all’esilio. Nella primavera del 2011 il regime, in difficoltà di fronte alle massicce proteste dei movimenti di opposizione, chiese l’aiuto delle altre petromonarchie. L’Arabia Saudita e altri membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo inviarono nel piccolo ma strategico paese una missione composta da centinaia di soldati e poliziotti che soffocarono con la violenza la ribellione della maggioranza sciita.
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