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Il primo ministro turco Binali Yildirim ha denunciato intorno alle 22 di stasera che nel paese è in atto un tentativo di golpe militare. «Un gruppo all’interno dell’esercito sta tentando un colpo di Stato» ha affermato il premier. «I responsabili pagheranno il prezzo più alto», ha minacciato Yildirim, da poco nominato dal presidente Erdogan. Da parte loro i golpisti hanno emesso un comunicato in cui affermano di avere preso il controllo del paese e di aver imposto il coprifuoco.
Sulla sorte del presidente Erdogan si sono susseguite a lungo notizie contraddittorie – secondo alcune fonti era al sicuro, secondo altre tentava la fuga – finché alle 23.30 il presidente è intervenuto tramite la Cnn Turk parlando però attraverso uno smartphone e incitando i suoi sostenitori a scendere nelle strade e ad opporsi ai militari. Dopo la precaria e brevissima diretta però fonti di intelligence di vari paesi hanno affermato che Erdogan fosse a bordo di un volo diretto in Germania. Dopo il rifiuto da parte del governo tedesco di accogliere la sua richiesta di asilo il presidente turco avrebbe quindi cominciato a trattare con le autorità di diversi paesi: si è parlato prima di Roma, poi di Londra e poi ancora del Qatar. Ma poi, poco prima delle 02.30 ora italiana, è arrivata la conferma dell’atterraggio a Istanbul dell’uomo forte di Ankara.
Combattimenti sono scoppiati in numerose zone della capitale in altre città del paese, mentre jet militari ed elicotteri da guerra hanno sorvolato a bassa quota la capitale della Turchia. A Istanbul l’esercito ha chiuso due ponti sul Bosforo separando completamente le due parti della metropoli sul Bosforo. Ovunque nelle strade sono scesi i carri armati e la truppa, in alcuni casi applauditi dai passanti in festa, in molti altri osteggiati.
Secondo le notizie a disposizione numerose pattuglie della polizia sarebbero state bloccate e disarmate e ci sarebbero anche state numerose sparatorie tra militari e agenti in diverse zone del paese. Sedi dei servizi di intelligence e della polizia sarebbero stati bombardati e il Capo di Stato Maggiore preso in ostaggio. Reparti dell’esercito hanno per circa due ore preso il controllo degli aeroporti internazionali di Istanbul e Ankara. Tutti i voli previsti negli scali turchi sono stati cancellati e le frontiere del paese chiuse in entrata e in uscita. A Istanbul è stata paralizzata la metropolitana e il trasporto pubblico, il sindaco dell’Akp ha fatto appello ai cittadini a scendere in strada per difendere le istituzioni. Una gran folla si è riunita in Piazza Taksim sventolando bandiere turche, e molta gente è scesa in strada a difesa del regime in numerose città.
Diverse sedi istituzionali e la sede nazionale del Partito Giustizia e Sviluppo sono stati presi d’assalto dai soldati e anche la televisione di stato è stata obbligata a sospendere le trasmissioni così come altri canali televisivi e radiofonici. I social network sono stati bloccati e in molte zone i collegamenti telefonici funzionano a singhiozzo.
Per ora non è chiaro a quale schieramento politico appartengano i militari golpisti e quale sia la loro consistenza, se saranno quindi in grado di prendere realmente il controllo totale del paese (dalle notizie che arrivano sembra proprio di no).
L’esercito, schierato tradizionalmente su posizioni laiciste ma di estrema destra e ultranazionaliste, ha nei decenni scorsi per ben quattro volte preso il potere esautorando con la violenza o semplicemente con una minaccia di golpe regimi politici sgraditi. L’ultima volta era toccato proprio agli islamisti essere bloccati nonostante una chiara vittoria elettorale.
Per questo dopo la sua ascesa al potere all’inizio degli anni 2000 le forze armate erano state ampiamente depurate dal partito liberista e islamista – poi evoluto anch’esso verso posizioni ultranazionaliste – di Recep Tayyip Erdogan, che ha esautorato migliaia di ufficiali nazionalisti accusati di tradimento o di ordire complotti contro il nuovo potere, per lo più attraverso maxiprocessi che hanno decapitato l’esercito.
Nei mesi scorsi la vittoria schiacciante ottenuta dall’Akp e da Erdogan personalmente tramite elezioni ampiamente condizionate dalla repressione e da una strategia della tensione orchestrata ad arte – un vero e proprio autogolpe – sembrava aver consegnato ai vertici del partito islamista il pieno controllo della situazione, dopo il lancio di una massiccia campagna militare senza precedenti contro la guerriglia curda e le città a maggioranza curda del sud est che ha provocato finora molte centinaia di morti.
Ma nelle ultime settimane, dopo i sanguinosi attentati jihadisti sferrati sul suolo turco, appariva più che evidente che la strategia perseguita negli ultimi anni dai vertici dell’Akp aveva ormai fallito completamente.
Le organizzazioni jihadiste, e in particolare lo Stato Islamico, foraggiate, sostenute e armate dal regime erdoganiano con l’obiettivo di destabilizzare la Siria e colpire i curdi, dopo aver fatto strage in una prima fase dei nemici di Erdogan rafforzandone il potere, hanno cominciato a colpire pesantemente l’industria turistica e la credibilità del regime con attacchi indiscriminati ad Istanbul ed Ankara.
Erdogan ha avvertito così pesantemente il rischio che il suo potere potesse sfaldarsi che nei giorni scorsi ha ordinato all’esercito di colpire le postazioni di Daesh oltreconfine, ha accelerato il processo di pacificazione con la Russia – le relazioni si erano rotte dopo l’abbattimento di un jet di Mosca in territorio siriano ad opera di un caccia turco – ed ha addirittura, a sorpresa, annunciato il riavvio di normali relazioni diplomatiche con il governo di Damasco, tanto da meritarsi gli strali del regime saudita che ha tacciato Ankara di tradimento nei confronti dei ribelli siriani.
Già nei mesi scorsi erano corse più volte voci di colpo di stato, e questa volta una parte dell’esercito è passato dalle minacce all’azione. Potrebbe trattarsi degli ambienti controllati da Fethullah Gulen, il predicatore/imprenditore che ha a lungo patrocinato l’ascesa al potere di Erdogan per poi diventarne, negli ultimi anni, un acerrimo nemico.
Potrebbe trattarsi anche della frazione residua delle forze armate fedeli agli ambienti nazionalisti e atlantisti, quelli più duramente colpiti dalle epurazioni degli ultimi anni anche se sia i nazionalisti di destra dell’Mhp che i nazionalisti kemalisti di centrosinistra del Chp (sponsor su posizioni opposte dei settori laicisti dell’esercito) si sono dichiarati quasi immediatamente contrari al putsch.
Le fazioni golpiste potrebbero però godere di un certo appoggio tanto da parte degli Stati Uniti che dell’Unione Europea. Da alleato di ferro del fronte occidentale, da bastione fedele della Nato in Medio Oriente, la Turchia è stata condotta al punto di rottura con i tradizionali padrini da una strategia che ha perseguito la trasformazione del paese in potenza regionale egemone in Medio Oriente, in Nord Africa e nelle repubbliche turcofone dell’ex Unione Sovietica. Da tempo ormai i rapporti tra Ankara e Washington sono al minimo e non sono mancate le frizioni sulla strategia da adottare nei confronti della Siria e della questione curda. Anche a Mosca, ovviamente, vedrebbero di buon occhio un eventuale cambio della guardia ad Ankara, così come l’UE che pure ha trattato l’intrattabile con Erdogan ottenendo però finora scarsi risultati. Ufficialmente l’amministrazione statunitense, ma solo quando hanno cominciato ad arrivare notizie che indicavano che l’Akp stava recuperando le redini del potere, ha preso le distanze dai militari che tentano di impossessarsi del potere. Obama ha incitato “tutti i partiti turchi a sostenere le istituzioni elette democraticamente”.
Non è da escludere, in ultima analisi, neanche che il tentativo di golpe rappresenti una ‘messa in scena’ organizzata dallo stesso regime dell’Akp per tentare di recuperare il controllo della situazione e sbarazzarsi, dopo aver ripreso in mano la situazione, degli oppositori e dei competitori all’interno dell’establishment, giustificando un ulteriore giro di vite sul Parlamento, sulla stampa e su ciò che resta della società civile. Un cruento secondo tempo dell’autogolpe dello scorso anno che trasformerebbe la Turchia in una dittatura piena, dichiarata e ancora più feroce. Uno scenario che potrebbe comunque verificarsi anche se Erdogan e il suo regime dovessero avere la meglio su una parte dell’esercito che ha tentato realmente la via della presa del potere violenta.
In vari messaggi diffusi sul web i golpisti – che si sono ribattezzati ‘Consiglio della Pace – indicherebbero il mantenimento dello stato di diritto e delle alleanze internazionali del paese come una loro priorità, insieme alla proclamazione di una nuova Costituzione.
Dalle città turche giungono le immagini di scontri armati, e le notizie di morti e feriti si moltiplicano. Il parlamento, all’interno del quale sono asserragliati molti deputati e alcuni membri del governo, è stato a lungo assediato da un certo numero di carri armati.
Il paese è sembrato essere sull’orlo di una sanguinosa guerra civile ma mentre scriviamo in molte zone i militari si stanno ritirando dalle postazioni occupate precedentemente, soldati e ufficiali golpisti vengono arrestati dalla polizia e fonti del governo e di alcune intelligence straniere affermano che ‘il golpe è fallito’.
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