Le classi dirigenti non accettano di buon grado di riconoscere i propri errori e cambiar strada.
La musica è sempre la stessa: “chi lascia la vecchia strada per la
nuova, sa quel che lascia e non sa quel che trova”. Il che, come tutti i
proverbi popolari ha una sua ragionevolezza elementare, spesso, però,
assai ingannevole.
Con questo criterio saremmo ancora all’età della pietra, perché in
questo modo non ci sarebbe mai mutamento. Ma dietro il buon senso da
quattro soldi che sconsiglia di tentare nuovi percorsi, c’è
l’indisponibilità a rivedere assetti di potere che potrebbero costare la
cadrega a più di uno degli uomini di potere. E questo non fa piacere a
nessuno: le classi dirigenti badano soprattutto a conservare gli assetti
di potere consolidati.
Questo è sempre stato vero e, nei casi di maggiore ostinazione, ha
regolarmente preceduto il “grande crollo”: fu l’incapacità di auto
riformarsi a condannare l’impero romano ed altri ancora. Mi sembra che
siamo in uno di quei momenti e la cosa investe aspetti grandi e piccoli,
a conferma del fatto che si tratta di un modo di sentire molto diffuso
ai vari livelli delle gerarchi di potere.
Prendiamo due esempi distanti fra loro per ordine di
importanza, ma, proprio per questo significativi della pervasività di
questo stato d’animo: la crisi dell’Unione Europea e quella del Pd (si
parva licet...).
L’Unione europea, per come è stata formata, in
particolare dopo il 1992, è chiaramente fallita: non ha prodotto alcuna
unificazione politica, dopo un quarto di secolo, non ha prodotto quella
convergenza economica che l’Euro prometteva, non ha giocato alcun ruolo
politicamente significativo sulla scena mondiale del dopo bipolarismo,
ha aggravato il debito dei più deboli con il gioco perfido degli
interessi ed attraverso la vampirizzazione delle entrate fiscali, non ha
neppure attuato alcuna convergenza politica e culturale fra i suoi
popoli che si detestano come non mai. Però, non si deve neppure aprire
una discussione sul modello politico-organizzativo adottato che, per
definizione, è benefico e non ha alternative.
Ora, viene la Merkel a proporre l’Europa a due velocità
che era una proposta che avrebbe potuto essere spesa, con qualche
flebile probabilità di successo, sino al 2009-10 ma che ora è come fare
gli impacchi ad una salma. Il progetto Ue, non il progetto unità
europea, ma la sua forma elitaria e tecnocratica, erede del pensiero di Coudenhove-Kalergi e di Jean Monnet,
è ormai fallito irreversibilmente (e qui ci sta questo termine). Ormai
la Ue è un cadavere destinato a decomporsi con effetti sempre più
tossici per l’ambiente, ma le classi politiche europee lo tengono
intubato in rianimazione, rifiutando di prendere in considerazione
l’idea di inumarlo. Appunto: accanimento terapeutico.
Il punto non è quello di tornare allo statu quo ante degli
stati nazionali precedenti, ma riflettere sul fallimento consumato,
traendo le indicazioni per un nuovo ordine europeo. Ma le incrostazioni di potere sono troppo forti e paralizzano ogni decisione. Aspettiamo il crollo finale.
E veniamo al Pd, nel quale, di fatto, ci sono
(almeno) due partiti che non hanno niente in comune fra loro. Insomma,
quando si arriva ad uno scontro pubblico e frontale, addirittura in un
referendum, su una cosa centralissima come la concezione costituzionale,
sapete dirmi cosa può più tenere ancora uniti nello stesso partito
correnti così divaricanti? Ma tutto quello che la minoranza riesce ad
immaginare è un congresso di rivincita che, seppure riuscisse, non
farebbe che porre lo stesso problema della scissione a parti invertite
fra chi esce e chi resta, perché difficilmente i renziani si
adatterebbero a restare in minoranza. Già un paio di mesi di astinenza
da Palazzo Chigi hanno messo in crisi il loro capo, figuriamoci una
prospettiva di anni di minoranza!
Ma anche i “pontieri” di Franceschini, Cuperlo, Orlando non sanno
proporre niente di meglio di un congresso, facendo balenare il fantasma
di una possibile candidatura Orlando alla segreteria (sai che
soluzione!!!). Più che altro è evidente che non ci sono le condizioni
minime per fare un congresso che non sia una gara di Kung Fu. Mi è
bastato vedere, in trasmissione, come Rondolino ha trattato Gotor. Roba
da chiodi!
Ma lo stesso Renzi, nonostante abbia visto naufragare il suo progetto
di partito della Nazione, continua a muoversi su quella rotta, come se
nulla fosse accaduto. E tutto quello che riesce ad immaginare è un blitz
per disfarsi di quelle mosche noiose della minoranza, fare un gruppo
parlamentare compatto come la falange tebana, per allearsi a Forza
Italia e, forse, riproporre la riforma costituzionale. Che fantasia!
Anche qui siamo di fronte ad una paralisi cerebrale che non riesce a fare altro che riproporre sempre lo stesso schema.
Ma d’altra parte, che pretendete da un ordine politico inaugurato dalla Thatcher con la frase there is no alternative?
Il neo liberismo, prima ancora che un ordinamento, è un modo di pensare
regressivo e, come tale, non immagina alternative a sé stesso ed è per
questo che è condannato a durare meno degli ordinamenti che l’hanno
preceduto.
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