Non è un tema entusiasmante ma incombe. Elezioni anticipate o scadenza naturale del mandato? Su questo nell'arcipelago politico del paese si è scatenato un vespaio dove agiscono alleanze trasversali di scopo intorno all'una o all'altra soluzione.
In primo luogo la sentenza della Corte Costituzionale sull'Italicum non ha avuto – né poteva avere vista la inquietante presenza di Giuliano Amato tra i giudici – l'effetto salvifico in cui molti speravano. Dalla sentenza è emerso quello che la Costituzione prevede come unico sistema elettorale rappresentativo (il proporzionale) con un assist ai diktat sulla governabilità (soglia per accedere al premio di maggioranza). Ma se la soglia per avere una maggioranza blindata in Parlamento è del 40%, è chiaro che in uno scenario politico diventato “tripolare” per l'irruzione della variabile M5S, nessun partito è in grado di raggiungerla. Ne deriva che i governi che usciranno dalle urne con questo sistema elettorale non potranno che essere di coalizione tra forze che hanno corso nelle elezioni ognuna per conto proprio. Non solo. Con il proporzionale ha ragione D'Alema quando afferma che “due partiti portano più voti di uno solo”, indicando che la scissione del Pd potrebbe avere un effetto benefico sugli assetti politici nel dopo voto.
Ma il problema intorno a cui si stanno azzuffando alleanze trasversali tra i partiti è: elezioni subito o il prossimo anno cioè alla fine del mandato naturale?
Sulla prima ipotesi convergono, niente affatto paradossalmente, quelli che si sentono meglio equipaggiati e ritengono di poter guadagnare percentuali di voto se alle urne ci si va con questa situazione, quindi: Renzi e il “suo” Pd, M5S, Lega, destra varia. Si parla addirittura di una convergenza di scopo tra queste forze per arrivare entro marzo ad una nuova legge elettorale.
Sulla seconda ipotesi (no alle elezioni subito), si sono schierati quelli che hanno bisogno di tempo per rimettere insieme progetti e soggetti politici in costruzione o sfilacciati dai contrasti interni, quindi: Forza Italia, Sinistra Italiana, scissionisti del Pd, Nuovo Centro Destra. A benedire quest'ultima alleanza è tornato in scena anche uno dei maggiori responsabili della s/democratizzazione del paese, ossia Giorgio Napolitano. Detestiamo ogni singola parola di quello che dice Salvini, ma forse sulle responsabilità di Napolitano non ha tutti i torti.
Sull'allontamanento dello spettro di elezioni anticipate convergono però anche Confindustria ed Unione Europea. Ci sono troppe partite e impegni da giocare (dal braccio di ferro con la Ue al primo vertice del G7 dell'era Trump) per mettere tutto in freezer con una crisi di governo e un ritorno alle urne pieno di incognite.
Da questo combinato disposto di interessi materiali e esigenze politiche, prendono vita le ulteriori sberle dirette a Renzi, già colpevole di aver voluto e perso il referendum costituzionale, e che adesso continua a giggionare sulle possibilità di vittoria del suo Pd in caso di elezioni anticipate.
Noi ovviamente non abbiamo di questi problemi. Se ci chiedete come la pensiamo, non possiamo che dire elezioni subito e messa in mora di un Parlamento di nominati e cooptati sulla base di una legge elettorale (il Porcellum) giudicata come incostituzionale. Inoltre non sentiamo come nostro il problema della governabilità e del rispetto del vincolo esterno in nome dei quali, da venticinque anni come ricorda oggi Polito sul Corriere della Sera, sono stati massacrati gli assetti democratici e le conquiste sociali nel nostro paese.
Parliamo piuttosto di rottura – con il vincolo esterno innanzitutto – e rappresentanza politica organizzata dei settori popolari che hanno interesse ad un vero cambiamento politico e sociale. Con una opportunità diversa rispetto al passato. Le ultime scadenze elettorali (amministrative, referendum), hanno visto i settori sociali che ci interessano manifestare nelle urne con “il voto per vendetta”, piuttosto che con il conflitto sociale, la loro rabbia contro i ricchi, contro “quelli di sopra”, i padroni, le classi dominanti. E' una mutazione di comportamento che declina la coscienza “di per sè” in modo inedito. Coniugare questa rabbia sociale, le forme con cui si esprime e gli obiettivi progressisti e non regressivi su cui convogliarla, non è affatto facile ma non è impossibile. Il passaggio inevitabile e necessario torna ad essere quello dell'organizzazione. Occorre lavorare per mettere in campo un movimento politico e di massa che abbia nelle corde questi obiettivi e le gambe sociali per realizzarli. Le elezioni sono solo un aspetto – e non sempre quello principale – di questa spinta verso la rottura.
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