I ragionamento politici dei vari partiti si basano tutti su un quadro
consolidato che vede queste forze politiche, questi poteri finanziari,
queste città, questa realtà sociale e così via. E, invece, una fitta serie di cambiamenti sta per precipitare su questo paese in tempi molto vicini.
Iniziamo dalla politica. La prima forza politica ad
entrare in crisi è sicuramente il Pd e per diversi motivi. Sarebbe fuori
della realtà pensare che una batosta come quella del referendum possa
passare senza conseguenze. E, infatti, i segnali già si vedono: gli
iscritti ridotti a meno della metà dell’anno scorso, i circoli chiusi,
il congresso rimandato sine die e con Renzi che ha tutte le intenzioni
di fare le liste da solo.
Nello stesso tempo, De Luca ha posto le premesse per un suo partito personale,
trasformando la sua lista civica in movimento politico cui ha aderito
anche un parlamentare di Scelta civica. Poi, non si sa se il congresso
si fa o no, ma ci sono già tre candidati segretari alternativi:
Speranza, Rossi ed Emiliano. A parte Speranza, che non ha speranze, e, al
massimo prende qualche rimasuglio della ditta Bersani, Rossi proviene
da quell’area ma morde anche in casa Renzi. Infine Emiliano, che nello
scorso congresso era con Renzi ed ora è il capofila dei malpancisti,
riscuotendo l’apprezzamento di De Luca che, per ora, forse resta nel Pd
ma forse no (già quasi un anno fa dicemmo che i defezionisti renziani
sarebbero stati Emiliano e De Luca), mentre D’Alema pare pronto a
mollare gli ormeggi. Dunque, il processo si è aperto ed è ben lontano
dal concludersi.
Renzi è ancora in campo, ma visibilmente azzoppato:
lui fa parte di quella categoria di uomini cui si perdona tutto. Tranne
che di perdere. Forse ce la farà ad arrivare alle elezioni scegliendosi i
deputati e i senatori, ma il partito che uscirebbe dalla prova non
sarebbe più il Pd che abbiamo conosciuto, ma una cosa molto diversa, più
simile ad un Partito della Nazione in piccolo, che al lontano e
degenerato erede del Pci e della sinistra Dc che fu il Pd. D’altra
parte, il Pds-Ds-Pd è stato il peggior nemico della democrazia in questo
paese: non lo rimpiangeremo.
Né i cambiamenti riguardano il solo Pd: il polo di
destra, almeno per ora, sembra definitivamente squagliato fra l’area
Berlusconi e il polo Lega-FdI. A Berlusconi, forse, si ricongiungeranno
Alfano, Verdini, Casini, ma non è detto, così come non è detto che, alla
fine, il Cavaliere e Salvini non si vedano costretti ad una luttuosa
alleanza. Forse Fi rivivrà grazie al proporzionale, ma si tratterebbe
comunque di cosa effimera destinata a declinare o sciogliersi in chissà
quale nuova aggregazione.
E qui viene un punto che incrocia le dinamiche politiche con quelle degli assetti finanziari. L’assalto della Vivendi di Bollorè è tutt’altro che concluso o deciso.
Anzi, guarda un po’, sorge il dubbio che possa trattarsi solo di un
teatrino dietro cui ci sia già l’accordo fra i due grandi affaristi:
Silvio cede Fininvest all’amico Bollorè in cambio di una montagna di
quattrini ed una buona quota di Vivendi. Poi, magari, il Cavaliere vende
il blocco Mondadori-Rizzoli (debitamente ristrutturato) a qualche
editore, poniamo tedesco o australiano, e finisce vendendo il po’ che
gli resta (Mediolanum, Che banca! Ecc). Poi con una montagna di denaro
che non entrerebbe nemmeno nel deposito di Paperon de’ Paperoni,
sarebbe libero di investire dove gli pare in ogni angolo dell’Universo
Mondo o forse, più semplicemente, libero di suddividere la sua eredità
ai cinque figli riducendone la litigiosità. In ogni caso, se questo
accadesse, la mappa del potere finanziario italiano sarebbe
irrimediabilmente cambiata e segnerebbe un ulteriore spostamento del
baricentro finanziario italiano verso la Francia. E se ci si aggiungesse
un’ ulteriore avanzata in Assicurazioni Generali, questo potrebbe
significare la satellizzazione della finanza italiana verso Parigi.
Molto dipenderà anche da come si concluderà la battaglia delle banche e
non penso a Mps, che ormai è andata, quanto alla partita di Unicredit,
dove potremmo assistere ad ingressi che contrappeserebbero l’influenza
francese, ma solo per una ulteriore penetrazione straniera.
Altro avvenimento di rilievo che si sta preparando è
la possibile confluenza della City finanziaria londinese a Milano. Si
tratta di circa 10.000 operatori finanziari (e famiglie) che potrebbero
trasferirsi a Milano con effetti socioeconomici che trasformerebbero in
breve la città (avevo in animo di scriverne già da fine dicembre, spero
di tornare a parlarne nel giro di una decina di giorni). E se dovesse
aggiungersi anche l’agenzia europea del Farmaco (altri 20.000 operatori
a reddito piuttosto alto, anche se meno di quello degli operatori della
City), Milano diventerebbe un’altra città in pochissimo tempo. Non lo
dico con entusiasmo, ma ne riparleremo.
Dunque, tanto il quadro politico quanto quello economico hanno
consistenti probabilità di trasformazioni di ampia portata e concentrati
nel tempo, senza contare gli effetti delle spinte internazionali
(votazioni in Francia e Germania, esordio di Trump, crisi europea
ecc.). A questo punto, conta relativamente poco se voteremo nel 2018 o
nel 2017, perché, molto probabilmente, entro un paio di anni torneremo a
votare.
In questo quadro l’offerta politica è destinata a mutare molto rapidamente:
sorgeranno nuovi partiti, alcuni dalla fusione (o travestimento) di
vecchi, altri effettivamente nuovi, altri ancora per scissione di quel
che c’è.
E questo forse significherà la fine della rendita di posizione del
M5s, sin qui beneficiato dalla generale rivolta contro il sistema
politico esistente, per cui anche il M5s sarà costretto a cambiare o
perire: non più voto di protesta e di segno negativo, ma forza politica
con identità positiva chiara. Il che non è operazione facile o indolore,
ma che sarà determinata dalla forza dei fatti. Una corrente che
diventerà assai vorticosa nei prossimi mesi e di questo dobbiamo tenerne
conto tutti.
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