Non c'è che dire, questo fine settimana di metà marzo è stato estremamente produttivo quanto ad ascolti. Oggi come ieri, è tempo di un altro ripescaggio, questa volta decisamente immerso nelle nebbie.
Trattasi di Sound of White Noise, sesta fatica degli Anthrax dato alle stampe nel 1993 e spesso considerato come l'inizio della fine per il gruppo, cui il pubblico non ha comunque mai lesinato critiche anche aspre – è il caso del sottoscritto – causa un'attitudine identificata come troppo "scanzonatamente commerciale", che sarebbe venuta clamorosamente alla luce proprio con questo album.
I primi anni '90 trovano, infatti, la formazione newyorchese al centro di una rivoluzione di mercato che condusse la musica del decennio precedente – segnatamente heavy metal, e AOR/hair metal – a un repentino ridimensionamento quanto sostegno da parte delle major e quindi interesse di pubblico, in favore di hip-hop/rap – quello più depotenziato in cui la lettura antisistema è declinata in chiave "gangsta" – e in ambito rock del fenomeno grunge, per altro già prossimo al reflusso, quanto meno qualitativo.
A dispetto di quanto ci si poteva aspettare, gli Anthrax, seppur avvezzi a una notevole predisposizione "crossover" – Bring the noise sta li a dimostrarlo – vanno in pezzi sotto la pressione delle nuove contraddizioni di mercato perdendo Belladonna alla voce e, poco dopo la pubblicazione del disco in oggetto, anche Spitz alla chitarra solista.
La formazione riuscì comunque a fare quadrato intorno al trio Ian – Benante – Bello, riuscendo a campare fino ai giorni nostri ma è fuori di dubbio che i fasti vissuti fino a quel 1993, non si ripresentarono mai più.
Archiviata la necessaria introduzione biografica, com'è il disco? Inaspettatamente bello, al punto che il sottoscritto – al netto di non aver mai amato la formazione, lo ribadisco – lo considera come il migliore della carriera degli Anthrax perchè in un panorama hard & heavy in preda alla confusione riuscì a tagliarsi uno spazio di notevole originalità.
Infatti, a parere di chi scrive e in contraddizione con più blasonati e professionali critici, non considero Sound of White Noise troppo rock – tanto per capirci non siamo davanti a un Load/Reload in salsa east coast – e nemmeno all'ennesimo tentativo di copia dei Pantera del tempo, ma piuttosto a un album che miscela con encomiabile risultato groove, thrash un pizzico di hardcore (in alcune linee vocali del nuovo acquisto Bush) e le adeguate digressioni melodiche che creano una trama più accostabile ai Soundgarden di Badmotorfinger e agli Alice in Chins di Facelift/Dirt che a qualsiasi cosa scritta dagli Anthrax prima e pure dopo il 1993.
Quasi certamente furono proprio queste coordinate, unite a un taglio lirico che metteva sul piatto una bella fetta delle criticità sociali USA di quegli anni, a decretare un clamoroso flop di vendite ai newyorchesi – in particolare tra il proprio pubblico di riferimento – e quindi l'ingresso in un viatico che li relegherà a formazione di serie B per quasi vent'anni filati, fino alla venuta di un parziale ritorno a sonorità thrash metal "classico" in tempi recenti.
Alla luce della carriera della formazione è più che sensato, dunque, parlare di piccola gemma e, per quanto mi riguarda, anche in riferimento a un periodo storico che dal punto di vista sociale e culturale andrebbe indagato molto più a fondo per cogliere sviluppi e contraddizioni che hanno dato forma al mondo attuale più di quanto si sia soliti pensare.
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