Gli articoli sul possibile interessamento, alla
costruzione della Darsena Europa, da parte di investitori cinesi hanno
causato un certo interesse. Prima di tutto verso gli investitori, ai
quali si cerca di vendere sia la Darsena Europa che qualche prodotto
tecnologico del territorio, poi marginalmente verso i cinesi in sé.
Soggetti che sono visti come portatori di capitali, quando li hanno, in
grado di comprare quello che i bianchi non riescono a vendere. Magari
senza capire che i cinesi tanti prodotti li hanno già e che, in caso di
finanziamento di qualche infrastruttura, sono ben dotati di idee chiare
su come far crescere i cantieri in un posto straniero. Idee che, magari,
non collimano certo con l’immaginazione, tutta italiana, su come fare
affari.
Ma il punto che qui interessa di più è parlare dei cinesi di cui non parla nessuno: quelli livornesi.
In modo da poter analizzare qualche cifra che riguarda sia il
fenomeno che la nostra città. Si tratta di una immigrazione silenziosa,
sia per le barriere linguistiche sia per la tendenza a lavorare tra
simili, meno avvertita dei fenomeni più tradizionalmente integrati in
città (quelli provenienti dal continente africano o sudamericano):
Eppure anche la nostra città, assieme alla ristorazione giapponese
grazie a qualche nota catena di sushi a prezzo fisso, si è sviluppata
l’immigrazione cinese. E lo si vede nel panorama urbano dalle scritte
sui negozi. Parrucchieri, negozianti di articoli di abbigliamento e di
elettronica, ristoratori, gestori di bar. Nell’ultimo caso c’è la
tendenza a fornire prodotti italiani, dal caffè al classicissimo ponce,
in altri casi si notano anche assunzioni di dipendenti livornesi.
Ma di che tipo di comunità stiamo parlando?
Di una comunità che nel 2013 vedeva, come persone che hanno spostato la
propria residenza all’estero, un incremento del 235% rispetto al 2007. Ed era
una tendenza molto più marcata rispetto al totale delle emigrazioni sia
di cittadini italiani che stranieri. In ogni caso la comunità cinese
è la terza in Italia per dimensioni dopo quelle albanese e marocchina
con 332 mila persone, che nel 2014 rappresentavano l’8,5% dei cittadini
non comunitari in Italia. Erano in diminuzione però i nuovi permessi di
soggiorno, 3000 in meno solo dal 2013 al 2014 per un totale di 17 mila
nel 2014, e fra questi la fetta più grossa era rappresentata non da chi
viene in Italia per lavorare, ma per chi cerca il ricongiungimento
familiare. In ogni caso, si tratta di una comunità stabile, a livello
nazionale, dove i ricongiungimenti fanno la parte del leone e c’è anche
una forte tendenza, quando possibile, all’uscita dall’Italia.
Se andiamo a vedere le caratteristiche dell’immigrazione cinese a Livorno i numeri sono in controtendenza.
Da dati ufficiali, negli ultimi sei anni, dal 2010 al 2016,
ufficialmente la comunità cinese a Livorno ha visto una crescita quasi
del 30% dei propri effettivi (da 333 a 472). E questo in una città, dati
del 2015, dove il saldo migratorio non compensa il rapporto nascite-morti (+900 di saldo migratorio a cui vanno sottratte oltre 2000 persone
“perse” dalla città nel saldo negativo nascite-morti ogni anno). Una
crescita quindi superiore al tasso, stabile, di crescita nazionale, non
solo legata al ricongiungimento naturale ma anche, basta guardare il
territorio, a nuove attività.
Ma come mai questa attenzione verso Livorno?
Basta avere un attimo un’idea, legata ai processi storici, dei flussi
migratori cinesi. Si tratta di una combinazione di due fattori. Da un
lato c’è una componente, diciamo così, genetica: i cinesi hanno da
sempre un “DNA” mercantile, che nel corso dei secoli li ha spinti ad
insediarsi lungo le coste. Le coste della Cina hanno favorito, infatti,
sia lo sviluppo portuale che quello mercantile. Senza questa tendenza
storica, di lungo periodo, non ci sarebbe stato l’inserimento della Cina
nella globalizzazione. Dall’altro c’è la componente storica più
recente: a partire dal 1978, con la “liberalizzazione” di Deng,
l’apertura dei mercati fece emergere velocemente imprese a conduzione
familiare. Il Boom economico degli anni ’80 e ’90, poi, spinse i cinesi a
considerare l’Europa e l’America come le nuove terre dell’oro, verso
cui emigrare per garantirsi un successo imprenditoriale.
Imprese a conduzione familiare in zone portuali.
Un “must” per le tendenze storiche dell’immigrazione cinese. Se
qualcuno vuol sviluppare i rapporti tra la nostra città e la Cina
dovrebbe coltivare questa comunità, come abbiamo visto, in crescita. Ma
Livorno non appare ancora matura per questi processi.
Redazione, 27 marzo 2017
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