La notte del 22 marzo 2017 nei pressi di Karkiv, in Ucraina è saltato in aria un grande deposito di armi, gli inquirenti seguono due piste, il sabotaggio e l'incidente. Ma ce ne potrebbe essere una terza che riguarda da vicino anche gli europei.
Il luogo dell'esplosione si trova ben lontano dalla linea del fronte, fuori dalla gittata dei missili della Repubbliche Popolari del Donbass e comunque in una zona in cui non sono mai arrivati ad operare i reparti speciali. In un primo momento si era parlato della presenza di un velivolo nei pressi del luogo dell'esplosione, ma non ci sono riscontri attendibili.
Un'incidente può sempre capitare quando si maneggiano esplosivi, questa ipotesi non può essere aprioristicamente scartata.
Ricostruire le dinamiche dell'accaduto potrebbe essere assai difficile e forse non si arriverà mai alla soluzione, ma ci si deve interrogare su una terza ipotesi, quella più oscura. L'esperienza insegna che quando salta in aria un'arsenale (soprattutto se, come in questo caso, non ci sono vittime benché gli sfollati siano 20mila) spesse volte si tratta di una messa inscena realizzata per coprire il furto di materiale militare: dopo l'esplosione è impossibile verificare se qualcosa fosse stato precedentemente sottratto dai magazzini.
A prescindere da quale delle tre ipotesi troverà conferma, questo episodio costringe ad affrontare un problema non più rinviabile: la pratica comune tra i militari ucraini di sottrarre armi per venderle al mercato nero. L'Ucraina vive una profonda crisi economica e molti militari senza scrupoli cercano di trarre profitto dalla loro posizione, la pratica è molto diffusa: si stima che le armi leggere trafugate siano 5 milioni, mentre è impossibile fare stime sul quantitativo d'esplosivo sparito.
Una vicenda che riguarda da vicino tutti gli europei. Infatti queste armi prendono essenzialmente due canali, uno politico e l'altro criminal-terroristico.
I battaglioni paramilitari formati da organizzazioni neo-naziste ucraine sono in stretto contatto con gruppi di estrema destra in giro per il mondo, soprattutto in Europa. Nella prima fase del conflitto il traffico muoveva dall'Ucraina all'Unione Europea attraverso la frontiera polacca. Nella parte di Ucraina a ridosso della Polonia si trova il centro del nazionalismo ucraino che metteva a disposizione dei camerati europei la propria logistica. Questa "via" venne chiusa dopo l'intercettazione di alcuni carichi da parte delle forze di polizia. In una di queste operazioni venne anche arrestato un noto neo-nazista francese. A quel punto i controlli sulla frontiera polacca vennero intensificati e il traffico d'armi prese a svolgersi con la Romania, che ha due punti della frontiera praticamente incontrollabili, la parte montuosa dei Carpazi e quella paludosa del Delta del Danubio. Una volta giunte in Romania le armi si trovano nell'Unione Europea e quindi si possono movimentare molto facilmente (non devono più attraversare posti di controllo di frontiera).
Il secondo canale è quello criminal-terroristico. Anche questo si muove sulla "via" rumena, ma solo per i carichi di armi leggere, in quanto la cronaca più recente ha dimostrato che la mafia commercia anche in armi pesanti che viaggiano esclusivamente via container, di norma attraverso il porto di Odessa. La mafia ucraina vende le armi o alle mafie europee, o a integralisti islamici, o a stati sotto embargo. Le mafie europee acquistano armi leggere ed esplosivi, gli altri di tutto: sono stati scoperti anche traffici d'artiglieria e veicoli da combattimento (in un caso sono risultati coinvolti anche degli italiani).
Ci troviamo di fronte ad un paradosso: gli stati europei stanno inviando aiuti all'Esercito ucraino per condurre una guerra contro il proprio popolo, ma al contempo un flusso di armi esce dall'Ucraina e probabilmente verrà usato contro gli stati europei per mano dei fascisti, della mafia e dell'integralismo islamico. Puro autolesionismo.
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