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23/03/2017

Yemen - Due anni di guerra, fame e armi occidentali

Domenica 26 marzo saranno trascorsi esattamente due anni dal lancio di “Tempesta Decisiva”, l’operazione militare della coalizione sunnita contro i ribelli Houthi in Yemen. Un’operazione che, nelle iniziali previsioni dell’Arabia Saudita, leader della coalizione, sarebbe dovuta durare pochissimo, spezzare in breve tempo la resistenza del movimento Houthi che dal settembre 2014 aveva assunto il controllo di buona parte del paese, in particolare il nord, il centro e la capitale Sana’a.

A due anni di distanza la guerra non è finita, l’Arabia Saudita è invischiata in un conflitto che non riesce a vincere e lo Yemen è ridotto letteralmente alla fame. Il paese è devastato, le infrastrutture distrutte: mancano cibo e acqua, l’80% della popolazione necessita di aiuti immediati che non arrivano a causa del blocco aereo imposto dai sauditi e seguito a quello ufficioso degli Stati Uniti via mare.

Al Qaeda nella Penisola Arabica, il braccio più potente della rete jihadista, ha ampliato i territori sotto il proprio controllo, alleandosi via via con tribù, consigli locali anti-Houthi e in alcuni casi, come la città di Aden, con le forze governative alleate di Riyadh. Lo Stato yemenita non esiste più e i deboli tentativi dell’Onu di far sedere allo stesso tavolo Houthi e coalizione sono falliti a causa delle precondizioni delle parti: ben sette cessate il fuoco sono evaporati prima di avere effetto.

Lo scorso anno il movimento ribelle aveva accettato l’implementazione della risoluzione Onu 2216 del 2015, che prevedeva l’abbandono delle armi e il ritiro dalle zone occupate per dare il via al dialogo politico. Ma Riyadh ha sempre boicottato ogni possibilità di negoziato pretendendo il ritiro prima di accettare i punti del dialogo politico. Perché, nelle intenzioni saudite, nel futuro dello Yemen non c’è spazio per un potere alternativo al proprio.

E i numeri del disastro crescono: 12mila morti, 42mila feriti gravi, tre milioni di sfollati, 19 milioni di persone senza cibo e acqua a sufficienza e 7 milioni di questi a rischio immediato di carestia. Oltre due milioni di bambini soffrono di malnutrizione, 462mila sono gravemente malnutriti.

Ad accendere un conflitto che è chiaramente regionale, che coinvolge il confronto tra asse sunnita e asse sciita, che serve a Riyadh a rialzarsi dalla sconfitta subita in Siria, sono gli alleati occidentali dei Saud. Da tempo nel mirino di organizzazioni per i diritti umani e associazioni di base ci sono i governi di Londra e Washington – ma anche quello italiano – per il sostegno indefesso che viene garantito a Riyadh.

Con le armi. Se l’Onu ha imposto l’embargo militare agli Houthi, la stessa previsione non vale per la coalizione a guida saudita. Oggi Amnesty International ha pubblicato un duro rapporto sul ruolo di Stati Uniti e Gran Bretagna nella guerra allo Yemen: “I trasferimenti multimiliardari di armi all’Arabia Saudita da parte di Usa e Regno Unito – si legge – non solo alimentano le gravi violazioni dei diritti umani che stanno procurando una sofferenza devastante alla popolazione civile dello Yemen, ma superano di gran lunga il valore del loro contributo alle operazioni umanitarie nel paese”.

In particolare, secondo l’organizzazione, Londra e Washington hanno trasferito nelle casse di Riyadh oltre 5 miliardi di dollari, 10 volte tanto i 450 milioni spesi per aiuti umanitari. Armi usate per stragi di civili, bombardamento di ospedali, cliniche e scuole, raid su infrastrutture, mercati, zone residenziali e siti archeologici di estremo valore. A questi si aggiungono i dati riguardanti l’Italia: nel 2016 Roma ha fornito a Riyadh bombe e munizioni per un valore di oltre 40 milioni di euro, contro i 37 milioni del 2015.

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