Domenica 26 marzo saranno trascorsi esattamente due anni dal lancio
di “Tempesta Decisiva”, l’operazione militare della coalizione sunnita
contro i ribelli Houthi in Yemen. Un’operazione che, nelle iniziali
previsioni dell’Arabia Saudita, leader della coalizione, sarebbe dovuta
durare pochissimo, spezzare in breve tempo la resistenza del movimento
Houthi che dal settembre 2014 aveva assunto il controllo di buona parte
del paese, in particolare il nord, il centro e la capitale Sana’a.
A due anni di distanza la guerra non è finita, l’Arabia
Saudita è invischiata in un conflitto che non riesce a vincere e lo
Yemen è ridotto letteralmente alla fame. Il paese è devastato, le
infrastrutture distrutte: mancano cibo e acqua, l’80% della
popolazione necessita di aiuti immediati che non arrivano a causa del
blocco aereo imposto dai sauditi e seguito a quello ufficioso degli
Stati Uniti via mare.
Al Qaeda nella Penisola Arabica, il braccio più potente della
rete jihadista, ha ampliato i territori sotto il proprio controllo,
alleandosi via via con tribù, consigli locali anti-Houthi e in alcuni
casi, come la città di Aden, con le forze governative alleate di Riyadh.
Lo Stato yemenita non esiste più e i deboli tentativi dell’Onu di far
sedere allo stesso tavolo Houthi e coalizione sono falliti a causa delle
precondizioni delle parti: ben sette cessate il fuoco sono evaporati
prima di avere effetto.
Lo scorso anno il movimento ribelle aveva accettato l’implementazione della risoluzione Onu 2216 del 2015, che prevedeva l’abbandono delle armi e il ritiro dalle zone occupate per dare il via al dialogo politico. Ma
Riyadh ha sempre boicottato ogni possibilità di negoziato pretendendo
il ritiro prima di accettare i punti del dialogo politico. Perché, nelle intenzioni saudite, nel futuro dello Yemen non c’è spazio per un potere alternativo al proprio.
E i numeri del disastro crescono: 12mila morti, 42mila feriti
gravi, tre milioni di sfollati, 19 milioni di persone senza cibo e
acqua a sufficienza e 7 milioni di questi a rischio immediato di
carestia. Oltre due milioni di bambini soffrono di malnutrizione, 462mila sono gravemente malnutriti.
Ad accendere un conflitto che è chiaramente regionale, che coinvolge
il confronto tra asse sunnita e asse sciita, che serve a Riyadh a
rialzarsi dalla sconfitta subita in Siria, sono gli alleati occidentali
dei Saud. Da tempo nel mirino di organizzazioni per i diritti umani e
associazioni di base ci sono i governi di Londra e Washington – ma anche
quello italiano – per il sostegno indefesso che viene garantito a
Riyadh.
Con le armi. Se l’Onu ha imposto l’embargo militare agli Houthi, la stessa previsione non vale per la coalizione a guida saudita.
Oggi Amnesty International ha pubblicato un duro rapporto sul ruolo di
Stati Uniti e Gran Bretagna nella guerra allo Yemen: “I trasferimenti
multimiliardari di armi all’Arabia Saudita da parte di Usa e Regno Unito
– si legge – non solo alimentano le gravi violazioni dei diritti umani
che stanno procurando una sofferenza devastante alla popolazione civile
dello Yemen, ma superano di gran lunga il valore del loro contributo
alle operazioni umanitarie nel paese”.
In particolare, secondo l’organizzazione, Londra e Washington
hanno trasferito nelle casse di Riyadh oltre 5 miliardi di dollari, 10
volte tanto i 450 milioni spesi per aiuti umanitari. Armi usate per
stragi di civili, bombardamento di ospedali, cliniche e scuole, raid su
infrastrutture, mercati, zone residenziali e siti archeologici di
estremo valore. A questi si aggiungono i dati riguardanti
l’Italia: nel 2016 Roma ha fornito a Riyadh bombe e munizioni per un
valore di oltre 40 milioni di euro, contro i 37 milioni del 2015.
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