Alan Johnson spiega sul New York Times
perché la sinistra dovrebbe rallegrarsi della Brexit. L’abbandono
dell’Unione Europea non è un’occasione per isolarsi dal mondo, bensì la
decisione necessaria per rifiutare l’ideologia liberista di cui l’UE è
impregnata. Gli inglesi hanno rifiutato il modello UE, fondato sulla
subordinazione delle istituzioni democratiche e del benessere delle
persone al capriccio delle élite e allo sfruttamento delle classi
subalterne da parte di chi ne ha i mezzi. L’unico ambiente adatto per
ripristinare la socialdemocrazia sono gli stati-nazione, in cui dovrà
essere ridefinito il popolo – demos – non tanto in contrapposizione alle
altre nazionalità, ma in contrapposizione alle élite neoliberiste
predatrici.
Di Alan Johnson, 28 marzo 2017
Londra — Mercoledì il Primo Ministro del Regno Unito,
Theresa May, manderà una lettera al Presidente del Consiglio Europeo,
Donald Tusk, per informarlo che, dopo 44 anni di appartenenza, il Regno
Unito lascerà l’Unione Europea.
Tra circa due anni, alla conclusione delle negoziazioni sui termini
dell’uscita, l’Unione perderà in un solo colpo “un ottavo della sua
popolazione, un sesto del PIL, metà dell’arsenale militare e un seggio
al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”, come ha fatto notare recentemente Susan Watkins, editrice della New Left Review.
La Watkins è una “Lexiteer”, ossia una sostenitrice di
sinistra della “Brexit”, come me. Non siamo stati una forza
significativa tra il 52% dei britannici che hanno votato a favore
dell’uscita nel referendum del 23 giugno. Ma abbiamo avuto una certa
influenza. I Lexiteers – un contrappeso a coloro che cavalcavano le paure anti-immigrazione
come l’ex leader di destra dell’UKIP, Nigel Farage – sostengono la
Brexit da un punto di vista democratico, internazionalista e di
sinistra. Questa posizione è stata espressa perfettamente da Perry Anderson, l’ex editore di vecchia data della New Left Review: “L’UE
è ormai largamente vista per quello che è diventata: una struttura
oligarchica, piena di corruzione, costruita sulla negazione di ogni tipo
di sovranità popolare, sull’applicazione di un duro regime economico di
privilegi per pochi e sacrifici per molti”.
Nonostante i Lexiteer non abbiano alcuna simpatia per il
nichilismo nazionale degli “uomini di Davos”, ossia l’élite globalista,
non siamo degli xenofobi. Abbiamo votato “Leave” perché crediamo che sia
essenziale preservare le due cose a cui crediamo di più: un sistema
politico democratico e una società social-democratica. Temiamo che il
progetto autoritario dell’Unione Europea di integrazione neoliberista
sia il terreno di cultura dell’estrema destra. Sottraendo al processo
democratico così tante decisioni politiche, inclusa l’imposizione di
misure di austerità a lungo termine e di immigrazione di massa, l’unione
ha rotto il patto tra i politici nazionali mainstream e i loro
elettori. Questa situazione ha aperto le porte ai populisti di destra
che ritengono di rappresentare “il popolo”, già arrabbiato a causa
dell’austerità, contro gli immigrati.
È stato l’economista liberista Friedrich Hayek, l’architetto intellettuale del neoliberalismo, che nel 1939 invocava
un “federalismo interstatale” in Europa per evitare che gli elettori
potessero utilizzare la democrazia per interferire con le operazioni del
libero mercato. In altre parole, come ha detto il Presidente della Commissione Europea (l’organo esecutivo dell’unione), Jean-Claude Juncker: “Non ci possono essere decisioni democratiche che si oppongono ai Trattati Europei”.
Le istituzioni e i trattati dell’unione sono stati progettati
di conseguenza. La Commissione Europea viene nominata, non eletta, ed è
orgogliosamente libera da ogni responsabilità nei confronti degli
elettori. “Non cambiamo le nostre decisioni a seconda di come vanno le elezioni ” così il vice presidente della Commissione Jyrki Katainen ha commentato la vittoria del partito anti-austerità Syriza, in Grecia, nel 2015.
Il Parlamento Europeo
non è un vero Parlamento. Non ha vero potere legislativo; i suoi
delegati non elaborano programmi politici né portano avanti idee che
propongono agli elettori. Le elezioni, tenute in collegi elettorali
assurdamente estesi, con affluenze pietosamente basse, non cambiano
nulla. Come ha detto un membro dello staff parlamentare a un Seminario per la Ricerca Europea alla London School of Economics: “Le uniche persone che ascoltano i Parlamentari Europei sono gli interpreti”.
Il Consiglio Europeo, un organo intergovernativo dove risiede il vero
potere legislativo, specialmente se pensiamo alla tedesca Angela
Merkel, è formato dai Capi di Stato dei vari Stati membri, che
normalmente si incontrano quattro volte all’anno. Non sono eletti
direttamente dagli abitanti delle Nazioni che governano. Se poi parliamo
del principio di “sussidiarietà” dell’Unione, una presunta preferenza
per il governo decentrato, esso viene ignorato in tutte le questioni
pratiche.
I desideri dell’elettorato vengono regolarmente ignorati. Quando, nel
2005, la proposta di una Costituzione Europea è stata rigettata dagli
elettori di Francia e Olanda (la maggior parte dei Governi non ha
nemmeno permesso che avvenisse un voto popolare), questo fatto non ha
cambiato niente per i sostenitori del Progetto Europeo. Con qualche
cambiamento cosmetico, la Costituzione è stata comunque imposta; solo
che è stata ridenominata Trattato di Lisbona (l’Irlanda, unico stato a
consentire un referendum sul Trattato, votò contro. Di conseguenza fu
chiesto agli irlandesi di rivotare, finché non avessero votato nella
maniera giusta. Questa è la democrazia secondo l’Unione Europea).
A prescindere da cosa avrebbe potuto essere l’Unione, sin dagli anni
’80 essa ha integrato nel suo progetto l’economia neoliberista. Nel
farlo, si è trasformata in quello che il sociologo tedesco Wolfgang Streeck ha definito “un
potente motore di liberalizzazione a servizio di una profonda
ristrutturazione della vita sociale in senso prettamente economicista”.
La combinazione di mercato unico, Trattato di Maastricht, moneta unica e
Patto di Stabilità e Crescita ha imposto politiche di
deregolamentazione, privatizzazione, regole contro il lavoro, regimi di
tassazione regressivi, tagli al welfare e finanziarizzazione, e le hanno
poste al di sopra della volontà dei popoli.
Occorre notare che gli strumenti economici Keynesiani, su cui poggia
la socialdemocrazia, sono ora illegali in Europa, e perfino The Economist ne è nauseato, e ha scritto che queste regole “sembrano molto poco raccomandabili politicamente”.
Per quanto riguarda l’accordo di scambio tra Unione Europea e USA, il
TTIP, sembra di vedere le fantasie di Hayek prendere vita, dato che
potenzialmente esso consente alle multinazionali di far causa ai governi democraticamente eletti se questi osano ascoltare quanto gli chiedono di fare gli elettori.
Un’altra istituzione chiave dell’unione neoliberale è la Banca Centrale Europea. I governatori della banca, persone non elette e che non devono rispondere a nessuno del proprio operato,
sono vincolate per trattato a preferire la deflazione alla crescita, a
proibire gli aiuti di stato alle industrie in difficoltà e a imporre le
misure di austerità. Analogamente, la moneta unica agisce da cappio per
intere regioni europee, che non possono né svalutare la propria moneta
(come possono fare le nazioni sovrane) per recuperare competitività, né
uscire dalla stagnazione attraverso la crescita, perché sono costrette
tramite austerità a far crollare la propria economia.
Il costo umano è stato spaventoso. La tortura economica a cui l’Unione Europea ha sottoposto la Grecia
ha causato il taglio del 25% degli stanziamenti per gli ospedali e del
50% della spesa in medicine, mentre il tasso di infezioni da HIV si è
impennato, i casi di depressione grave sono raddoppiati, i tentativi di
suicidio sono aumentati di un terzo e il numero dei bambini nati morti è
aumentato del 21%. Quattro bambini greci su dieci sono stati spinti
nella povertà e un sondaggio ha stimato che il 54% dei Greci oggi è
sottoalimentato. Philippe Lagrain, un ex consulente di Manuel Barroso,
allora Presidente della Commissione Europea, ha osservato che in quanto “creditore europeo per eccellenza” la Germania ha “calpestato valori come democrazia e sovranità nazionale e creato uno stato vassallo”.
In casi estremi, i governi nazionali vengono di fatto allontanati a forza e rimpiazzati con tecnocrati compiacenti, come George Papandreou
in Grecia e Silvio Berlusconi in Italia hanno potuto constatare. In
cima a tutto poi c’è la Corte Europea di Giustizia, che ha emesso sentenze
che subordinano il diritto di sciopero dei lavoratori al diritto dei
datori di lavoro di fare affari con le mani libere. Hayek sorriderebbe
nel vedere cose come questa.
Anche se lo slogan del “Leave” è stato oggetto di scherno, la Brexit ha davvero significato la possibilità di “riprendere il controllo”.
La Democrazia ha bisogno di un demos, un popolo, che sia l’origine, il
tramite e l’obiettivo del suo Governo. Senza un demos, quello che rimane
è una gestione elitaria, il diritto dei trattati e la redistribuzione
verso l’alto della ricchezza. Ma come sarà costruito “il popolo”? La
politica lo deciderà. Un populismo di sinistra non cercherà di definire
il popolo come fa la destra, in contrapposizione con gli immigrati o
altre categorie, ma in contrapposizione alle potenti élite neoliberiste,
che non sono più in grado, usando le parole del Professor Streeck, “di formare una struttura sociale intorno al nucleo centrale della corsa al profitto capitalista.”
È stato un errore colossale da parte della gente di Davos di
sinistra, pensare che gli Stati-nazione siano un anacronismo ostile alla
democrazia. Anziché essere una minaccia alla democrazia,
gli Stati-nazione sono l’unico fondamento stabile che abbiamo
individuato per sostenere gli impegni, i sacrifici e la fiducia sociale
di cui una democrazia e uno stato sociale hanno bisogno.
In questo momento, la sinistra europea sta giocando le sue carte
seguendo il manuale di un’altra parte politica, in una competizione
truccata. Una parte della Nazione, i vincitori, hanno “usato il mondo globalizzato come fosse il loro grande campo da gioco” come dice
il professor Streeck. Uno, o forse l’unico, significato della Brexit è
che, avendo perso la fiducia nelle sciocche promesse di una
globalizzazione “che vada bene per tutti”, la rimanente parte
della nazione – i perdenti, le vittime e gli esclusi – hanno deciso, per
disperazione, di fare un gesto sovrano: cambiare le regole per
ritornare alla politica degli Stati-nazione, per poter ritornare a una
situazione equilibrata. “Cercano rifugio”, per usare le parole di Streeck, nella “protezione democratica, nelle leggi del popolo, nell’autonomia locale, nei beni collettivi e nelle tradizioni egualitarie”.
Anziché lasciare il campo alle destre “nativiste”, alcuni di noi della sinistra democratica si uniscono a loro.
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