di Stefano Mauro
“Il governo di Tel Aviv
continua ad aumentare la tensione lungo il confine con la Siria ed il
Libano”. Così titolava tre giorni fa il quotidiano Al Akhbar,
dopo l’abbattimento di un drone israeliano sulle Alture del Golan. A
pochi giorni dal bombardamento, da parte dei jet israeliani, di una base
militare siriana a Palmira ed alla successiva risposta della contraerea
di Damasco, non diminuiscono i segnali di un possibile aggravarsi della
situazione.
Molti quotidiani hanno, infatti, catalogato il bombardamento di
Palmira ed il conseguente lancio di missili russi S-200, come il più
grave “episodio bellico” tra Siria e Israele negli ultimi 6 anni. “La
risposta di Damasco – secondo un editoriale del Ray Al Youm – indica
che Bashar Al Assad si sente nuovamente sicuro e forte all’interno dei
confini nazionali, a tal punto da rispondere militarmente all’ennesima
incursione israeliana nei cieli siriani”.
Una simile risposta implica, comunque, altre considerazioni. La prima, forse la più importante, riguarda il
fallito tentativo da parte di Netanyahu di convincere Putin ad abbandonare Iran ed Hezbollah, considerati alleati fondamentali
nell’arena siriana e nella regione. Secondo molti analisti, in
effetti, la risposta missilistica di Damasco sarebbe stata avallata sia
da Teheran che, soprattutto, da Mosca. A conferma di una simile tesi ci
sarebbe, inoltre, la convocazione dell’ambasciatore israeliano a Mosca e
le proteste ufficiali da parte della diplomazia russa nei confronti
“dell’aggressione dello spazio aereo e della sovranità siriana”.
Un altro aspetto altrettanto “controverso” riguarderebbe il reale target
del bombardamento israeliano. Alcuni quotidiani mediorientali hanno
considerato abbastanza inverosimile l’attacco alla base aerea T4 di
Palmira come “un’azione di contrasto al rifornimento di armi da parte di
Hezbollah”. La zona, infatti, è molto lontana dai territori di
confine tra Israele ed il Libano ed è stata recentemente riconquistata
dall’esercito lealista ai danni dei miliziani di Daesh (Isis). “La
riconquista di Palmira – afferma il quotidiano Al Akhbar – rappresenta una fondamentale vittoria per Damasco perché apre il fronte sia verso Raqqa che verso Deir Ez-Zor”.
L’attacco di Tel Aviv, quindi, viene visto da alcuni media
arabi più come un tentativo in supporto agli jihadisti di Daesh, ancora
presenti nell’area, piuttosto che una “missione di contrasto al riarmo
di Hezbollah”, dato ormai per certo.
Un’ultima analisi, infine, riguarda le reazioni politiche e dei media
in Israele. Dietro le dichiarazioni di facciata da parte del premier
Netanyahu, che ha affermato “di voler colpire nuovamente obiettivi
nemici in Siria”, o quelle del ministro della Difesa, Avigdor Lieberman,
che ha minacciato di “voler distruggere il sistema missilistico di
Damasco”, traspare una certa preoccupazione negli ambienti militari israeliani.
Ron Ben Yishai, esperto di questioni militari per il giornale Yediot Aharonot,
definisce il fatto come “la fine della supremazia aerea israeliana
nella regione, visto che i missili S-200 hanno abbattuto un aereo e
colpito un secondo velivolo israeliano”. Un altro quotidiano, Haaretz,
considera molto preoccupante l’arroganza del governo di Tel Aviv visto
che “Assad ha cambiato le regole del gioco perché ha nuovamente fiducia
nelle proprie risorse (militari), nei suoi alleati e nel pieno sostegno
di Putin”.
Una cosa è sicura. Rispondendo al raid israeliano, infatti, Damasco ed i suoi alleati hanno mandato un messaggio a Netanyahu: la politica di rassegnazione e di accettazione, da parte di Assad, alle ripetute ingerenze israeliane è ormai conclusa. “Israele dovrà decidere in futuro” conclude Haaretz “se accettare le vittorie di Damasco o prepararsi ad un intervento militare, dagli esiti incerti, nella guerra in Siria”.
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