di Chiara Cruciati – Il Manifesto
«Faremo ciò che serve.
[L’Egitto] non mollerà finché il caso non sarà risolto». Parola del
ministro egiziano del Petrolio Tarek al Molla. Dell’omicidio di Giulio
Regeni, il ministro ha parlato ieri a Ravenna, a margine della
conferenza Offshore Mediterranean.
«L’attenzione del governo sul caso Regeni è al livello massimo – ha
continuato – Sono stati fatti grandi progressi con la collaborazione tra
la procura italiana e l’Egitto. È prevista una visita in Egitto a
inizio aprile da parte italiana per finalizzare la consegna dei
documenti richiesti». Ovvero i verbali di dieci funzionari di vario
livello della National Security, chiesti da piazzale Clodio con una
rogatoria a metà marzo.
Nulla di nuovo sotto il sole delle dichiarazioni governative.
Stavolta però a parlare è il rappresentante degli interessi egiziani in
campo energetico, l’uomo che tiene i contatti con i colossi
internazionali.
A partire dall’Eni, primo produttore in Egitto il cui ruolo si è
arricchito ulteriormente a seguito della scoperta del super giacimento
sottomarino di Zohr. Ed infatti al Molla tiene a precisare che i
rapporti con il cane a sei zampe non subiranno alcun danno a causa del
caso Regeni. Dissipa dubbi che non esistevano: nonostante il
ritrovamento del corpo martoriato di Giulio e i palesi depistaggi di
Stato, i rapporti commerciali tra Italia e Egitto non sono stati
scalfiti. Soprattutto in campo energetico.
A Ravenna al Molla ha incontrato Marc Benayoun, l’ad dell’italiana
Edison che sta esplorando i giacimenti offshore di Abu Qir, sul Delta
del Nilo, e costruendo una nuova centrale elettrica che sfrutterà il gas
del bacino, che ha una capacità produttiva di 13 milioni di metri cubi
di gas al giorno. Un investimento da 100 milioni di euro a cui si
aggiunge lo sfruttamento del 60% del giacimento di West Waidi el Rayan,
il 20% di quello di Rosetta e il più recente (con un accordo siglato a
gennaio) per l’esplorazione di Notheast Habi, per altri 86 miliardi di
dollari.
Martedì il presidente al-Sisi ha invece incontrato al Cairo
gli amministratori delegati di Eni, Bp e Rosneft, le tre aziende
partner del giacimento Zohr. Meeting, quelli con Descalzi, sempre più
frequenti e che vanno a cementare un rapporto di interesse che il caso
di Giulio non metterà in discussione.
Durante l’ultimo incontro Descalzi, riporta Agenzia Nova, ha
confermato che le attività di perforazione sono in corso e che la
produzione comincerà entro la fine del 2017. Una produzione che l’Eni
stima in 850 miliardi di metri cubi di gas e che sono parte di ricchezze
tanto grandi da fare dell’Egitto l’ago della bilancia energetica nella
regione e nel Mediterraneo.
Lo sa bene il ministro del Petrolio che, a nome del governo
golpista al-Sisi, stringe mani e accordi che radicano l’impunità di un
paese che ha messo in piedi un regime ancora più brutale della
precedente dittatura: «L’Egitto ha le chiavi del futuro del gas nel
Mediterraneo orientale», ha detto al Molla ricordando il ruolo
di snodo rivestito dall’Egitto per il commercio via mare dal Golfo, via
Suez, oltre all’esistenza di infrastrutture («Impianti di petrolio e
gas, raffinerie, unità di rigassificazione e stoccaggio») che ne fanno
un naturale hub energetico regionale.
Una miniera d’oro per le aziende già presenti con svariate ramificazioni, a partire proprio dalle italiane Eni e Edison: nel
2016 il cane a sei zampe ha investito nel paese nordafricano 2,7
miliardi di dollari e ha siglato a fine dicembre altri due accordi per i
giacimenti offshore di North el Hammad e North Ras el Esh,
confermandosi primo produttore in Egitto con 230mila barili al giorno e 14 miliardi di dollari di investimento totale.
A un anno e due mesi dalla scomparsa di Giulio, senza alcuna verità, risuonano
le parole che l’allora premier Renzi dedicò al presidente al-Sisi in
occasione della prima visita ufficiale del generale in un paese Ue:
l’Egitto è «un’area straordinaria di opportunità». Un business tanto esplosivo da oscurare le condizioni di vita del popolo egiziano, soffocato da fame e repressione.
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