di Michele Giorgio - il Manifesto
«La controrivoluzione
emerge quando la rivoluzione perde forza e noi egiziani facemmo un grave
errore nel 2011», ci dice al telefono da New York Alaa al Aswani, il
più noto degli scrittori egiziani ed uno dei più importanti romanzieri
arabi degli ultimi trent’anni. «Abbiamo lasciato piazza Tahrir troppo
presto, subito dopo le dimissioni da presidente di Hosni Mubarak. Non
avremmo dovuto uscire da quella piazza senza eleggere i rappresentanti
della rivoluzione in ogni parte dell’Egitto». Più di sei anni dopo al
Aswani continua a riflettere su quei giorni di gennaio e febbraio 2011
che misero fine al potere del “faraone” Mubarak – «quelli sono stati i
18 giorni più belli della mia vita», ripete – e sui motivi del
fallimento che, passando attraverso la breve presidenza islamista di
Mohammed Morsi e il colpo di stato militare del 2013, hanno portato alla
nascita di un altro regime autoritario, culminato nell’ascesa al potere
del raìs Abdel Fattah al Sisi.
Dentista di professione e scrittore per vocazione, Alaa al Aswani è
l’autore di romanzi avvincenti tradotti in decine di lingue come Palazzo
Yacoubian, Chicago e Cairo Automobile Club. Nel 2013 si pronunciò a
favore della deposizione di Morsi – «i Fratelli musulmani al potere
erano un pericolo per l’Egitto però non ho mai appoggiato violenze e
massacri» – ora è schierato con forza contro il regime. «Non ho mai
sostenuto al Sisi come presidente – ci dice – e ho scritto che la sua
elezione non è stata democratica. Per queste mie posizioni non sono più
nella condizione di pubblicare i miei articoli, sono sotto attacco dei
media e mi vietano le apparizioni televisive». Al Aswani da qualche mese
è negli Usa dove insegna letteratura araba. Al suo ritorno in Egitto,
previsto in estate, pubblicherà il suo nuovo romanzo, che avrà per tema
proprio la rivoluzione di piazza Tahrir.
L’ex presidente Mubarak è stato condannato per la repressione
che ordinò nel 2011. Ora i giudici dicono che non fu responsabile di
quei massacri e si prepararono a farlo liberare. Tanti protagonisti
della rivoluzione invece restano in carcere.
È molto triste tutto questo ma non è una sorpresa. Il regime al
potere oggi in Egitto è controrivoluzionario e uno dei suoi compiti è
proprio quello di punire coloro che parteciparono alla rivoluzione. Le
responsabilità di Mubarak sono state accertate. Alcuni di quelli che
facevano parte del suo entourage hanno testimoniato che fu Mubarak in
persona a dare l’ordine di sparare e uccidere i manifestanti durante la
sollevazione popolare. Eppure siamo vicini alla sua liberazione e questo
spiega bene la realtà in cui vivono gli egiziani.
Prima del 2011 tutti erano contro Mubarak mentre ora tanti
egiziani sono schierati con el Sisi, nonostante le brutalità e gli abusi
del suo regime non siano diverse da quelle compiute in passato dal
presidente-faraone. Come lo spiega.
Dopo ogni rivoluzione si formano tre gruppi nella società: i
rivoluzionari veri che restano fedeli ai loro principi, i sostenitori
del vecchio regime e, tra queste due parti, c’è la massa passiva. Questo
segmento sociale, il più consistente, non ha una coscienza (politica)
ben definita, non è pronto a pagare il prezzo che comporta la
rivoluzione, anzi teme i cambiamenti profondi. Perciò il caos in cui è
rimasto l’Egitto per lungo tempo e la propaganda antirivoluzionaria
diffusa dai media hanno avuto gioco facile nel condizionare l’opinione
di tanti egiziani. Le persone che hanno vissuto sotto una lunga
dittatura sono disposte ad accettare gli stravolgimenti che propone la
rivoluzione? Dare una risposta compiuta a questo interrogativo significa
spiegare perché così tanti egiziani stanno con al Sisi. In ogni caso
sono ottimista. La rivoluzione del 2011 è stata fatta da tanti giovani e
sono convinto che i giovani torneranno protagonisti contro il regime
attuale.
In Italia resta in primo piano il caso della brutale
uccisione di Giulio Regeni, più di un anno fa al Cairo. La magistratura
italiana nei giorni scorsi ha accusato di nuovo le autorità egiziane di
non fornire la cooperazione necessaria per arrivare ai responsabili
dell’assassinio di Regeni.
Non sono in possesso di prove per accusare i servizi egiziani
dell’assassinio di Giulio Regeni. Allo stesso tempo gli apparati di
sicurezza sono stati e sono ancora oggi responsabili di delitti efferati
e di molti crimini in Egitto e questo li rende tra i principali sospettati dell’uccisione del giovane italiano. Da parte mia non posso
che esprimere vicinanza e solidarietà alla famiglia Regeni ed unirmi a
coloro che chiedono con forza che sia fatta chiarezza su tutta la
vicenda.
Lei sta scrivendo un romanzo sulla rivoluzione che, a quanto
pare, non risparmia accuse anche al regime di el Sisi. Non teme reazioni
da parte delle autorità al suo ritorno in Egitto?
Per le mie posizioni sto già pagando delle conseguenze. Se sono
preoccupato? Certo, lo sono. Come essere umano non posso essere
tranquillo in questa situazione ma non ho paura. Continuerò ad esprimere
ovunque sia possibile la mia opinione sull’Egitto sotto il regime di el
Sisi.
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