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20/03/2017

Intervista - Alaa al Aswani i giovani saranno i leader della nuova rivoluzione egiziana

di Michele Giorgio - il Manifesto

«La controrivoluzione emerge quando la rivoluzione perde forza e noi egiziani facemmo un grave errore nel 2011», ci dice al telefono da New York Alaa al Aswani, il più noto degli scrittori egiziani ed uno dei più importanti romanzieri arabi degli ultimi trent’anni. «Abbiamo lasciato piazza Tahrir troppo presto, subito dopo le dimissioni da presidente di Hosni Mubarak. Non avremmo dovuto uscire da quella piazza senza eleggere i rappresentanti della rivoluzione in ogni parte dell’Egitto». Più di sei anni dopo al Aswani continua a riflettere su quei giorni di gennaio e febbraio 2011 che misero fine al potere del “faraone” Mubarak – «quelli sono stati i 18 giorni più belli della mia vita», ripete – e sui motivi del fallimento che, passando attraverso la breve presidenza islamista di Mohammed Morsi e il colpo di stato militare del 2013, hanno portato alla nascita di un altro regime autoritario, culminato nell’ascesa al potere del raìs Abdel Fattah al Sisi.

Dentista di professione e scrittore per vocazione, Alaa al Aswani è l’autore di romanzi avvincenti tradotti in decine di lingue come Palazzo Yacoubian, Chicago e Cairo Automobile Club. Nel 2013 si pronunciò a favore della deposizione di Morsi – «i Fratelli musulmani al potere erano un pericolo per l’Egitto però non ho mai appoggiato violenze e massacri» – ora è schierato con forza contro il regime. «Non ho mai sostenuto al Sisi come presidente – ci dice – e ho scritto che la sua elezione non è stata democratica. Per queste mie posizioni non sono più nella condizione di pubblicare i miei articoli, sono sotto attacco dei media e mi vietano le apparizioni televisive». Al Aswani da qualche mese è negli Usa dove insegna letteratura araba. Al suo ritorno in Egitto, previsto in estate, pubblicherà il suo nuovo romanzo, che avrà per tema proprio la rivoluzione di piazza Tahrir.

L’ex presidente Mubarak è stato condannato per la repressione che ordinò nel 2011. Ora i giudici dicono che non fu responsabile di quei massacri e si prepararono a farlo liberare. Tanti protagonisti della rivoluzione invece restano in carcere.
 
È molto triste tutto questo ma non è una sorpresa. Il regime al potere oggi in Egitto è controrivoluzionario e uno dei suoi compiti è proprio quello di punire coloro che parteciparono alla rivoluzione. Le responsabilità di Mubarak sono state accertate. Alcuni di quelli che facevano parte del suo entourage hanno testimoniato che fu Mubarak in persona a dare l’ordine di sparare e uccidere i manifestanti durante la sollevazione popolare. Eppure siamo vicini alla sua liberazione e questo spiega bene la realtà in cui vivono gli egiziani.

Prima del 2011 tutti erano contro Mubarak mentre ora tanti egiziani sono schierati con el Sisi, nonostante le brutalità e gli abusi del suo regime non siano diverse da quelle compiute in passato dal presidente-faraone. Come lo spiega.
 
Dopo ogni rivoluzione si formano tre gruppi nella società: i rivoluzionari veri che restano fedeli ai loro principi, i sostenitori del vecchio regime e, tra queste due parti, c’è la massa passiva. Questo segmento sociale, il più consistente, non ha una coscienza (politica) ben definita, non è pronto a pagare il prezzo che comporta la rivoluzione, anzi teme i cambiamenti profondi. Perciò il caos in cui è rimasto l’Egitto per lungo tempo e la propaganda antirivoluzionaria diffusa dai media hanno avuto gioco facile nel condizionare l’opinione di tanti egiziani. Le persone che hanno vissuto sotto una lunga dittatura sono disposte ad accettare gli stravolgimenti che propone la rivoluzione? Dare una risposta compiuta a questo interrogativo significa spiegare perché così tanti egiziani stanno con al Sisi. In ogni caso sono ottimista. La rivoluzione del 2011 è stata fatta da tanti giovani e sono convinto che i giovani torneranno protagonisti contro il regime attuale.

In Italia resta in primo piano il caso della brutale uccisione di Giulio Regeni, più di un anno fa al Cairo. La magistratura italiana nei giorni scorsi ha accusato di nuovo le autorità egiziane di non fornire la cooperazione necessaria per arrivare ai responsabili dell’assassinio di Regeni.
 
Non sono in possesso di prove per accusare i servizi egiziani dell’assassinio di Giulio Regeni. Allo stesso tempo gli apparati di sicurezza sono stati e sono ancora oggi responsabili di delitti efferati e di molti crimini in Egitto e questo li rende tra i principali sospettati dell’uccisione del giovane italiano. Da parte mia non posso che esprimere vicinanza e solidarietà alla famiglia Regeni ed unirmi a coloro che chiedono con forza che sia fatta chiarezza su tutta la vicenda.

Lei sta scrivendo un romanzo sulla rivoluzione che, a quanto pare, non risparmia accuse anche al regime di el Sisi. Non teme reazioni da parte delle autorità al suo ritorno in Egitto?

Per le mie posizioni sto già pagando delle conseguenze. Se sono preoccupato? Certo, lo sono. Come essere umano non posso essere tranquillo in questa situazione ma non ho paura. Continuerò ad esprimere ovunque sia possibile la mia opinione sull’Egitto sotto il regime di el Sisi.

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