Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

31/03/2017

Gli “atti di guerra” russi contro gli Stati Uniti

A che punto è l'accerchiamento militare della Russia? Lo spiegamento di uomini e mezzi da parte USA e Nato ha obiettivi puramente dimostrativi, o costituisce invece lo schieramento di battaglia in vista di sconsiderate quanto tragiche avventure? L'accrescersi sempre più sfrenato di strumenti bellici da dislocare ai confini di quella che è definita la più “pericolosa minaccia” mondiale, mentre serve gli interessi del complesso militare-industriale occidentale, costituisce anche una riedizione di quella corsa agli armamenti – nel 2017 Washington destina alle proprie forze in Europa 3,4 miliardi di dollari: quattro volte più del 2016 – che, nei piani USA degli anni '70 e '80, era destinata a strangolare l'economia sovietica? Oppure siamo davvero alla vigilia di qualcosa di definitivamente fatale?

Lasciando da parte le motivazioni sull'insidia alla pace mondiale che verrebbe da Mosca – a Washington e Bruxelles non crederanno che qualcuno possa davvero crederci – limitiamoci a una semplice cronaca degli ultimissimi dispiegamenti. Anton Mardasov scrive su Svobodnaja Pressa che il Pentagono tiene puntati su Piter e sulla Crimea una serie di missili “Tomahawk” basati su vascelli che pattugliano in permanenza mar Baltico e mar Nero. Ad essi si aggiungono i nuovi sistemi “Aegis” dislocati in Romania (dal prossimo anno anche in Polonia) formalmente antimissile, ma, al pari di quelli basati su navi, dotati di lanciatori MK-41, adatti al lancio di “Tomahawk”, anche armati con testate atomiche, con raggio fino di 2.500 km. Tra l'altro, l'utilizzo a terra dei lanciatori installati su nave, viola il trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) del 1987. L'esperto militare Andrej Frolov ricorda che i lanciatori verticali universali, installati sui vascelli USA dagli anni '80 e i sistemi antimissile sono in grado di mettere fuori combattimento anche i satelliti a bassa quota (low Earth orbit: LEO) russi e intercettare missili balistici in fase di spinta. Secondo Frolov, l'unica via per contrastare la minaccia rappresentata dai missili USA basati su nave (un cacciatorpediniere della classe “Arleigh Burke” può portare fino a 122 “Tomahawk”) è quella di rafforzare la flotta e le basi a Kaliningrad e in Crimea. Dalla Crimea, è possibile controllare l'intero bacino del mar Nero, in cui incrociano vascelli della US Navy, cui gli accordi di Montreux del 1936 consentono la presenza, ma non la permanenza, in quanto navi di stati non rivieraschi. A proposito della difesa antimissile Nato (Ground-Based Interceptor: GBI) in Polonia e le stazioni di radiolocalizzazione nella Repubblica Ceca – le stazioni USA coprono oggi quasi l'intero territorio russo – Mosca teme che nei pozzi di lancio possano esser piazzati anche missili balistici d'attacco.

Per quanto riguarda il pericolo rappresentato per i satelliti LEO russi dai sistemi americani “Aegis”, il generale Viktor Poznikhir ricorda che quelli comprendono 30 GBI, 130 “Standard 3” – il sistema Standard 3.2A dal 2018 sarà in grado di intercettare i missili balistici strategici intercontinentali in ogni segmento della traiettoria – 150 sistemi THAAD, dislocati sia in territorio USA che in Europa e nella regione asiatico-pacifica. Washington programma di portare il numero a oltre 1.000 unità antimissile entro il 2022. “Considerata la natura globale del naviglio antimissile USA” ha detto Poznikhir, “sono in pericolo le attività spaziali di ogni paese, compresi Russia e Cina”; al tempo stesso, gli Stati Uniti stanno incrementando la propria flotta di satelliti LEO, la cui missione è quella di intercettare missili balistici nemici. Secondo Viktor Litovkin, citato da Svobodnaja Pressa, tale flotta supererebbe quella russa di almeno dieci volte ed è curata dal National Reconnaissance Office (NRO) con un budget annuale di circa 15 miliardi di dollari.

Ma, anche su terra Washington non va per il sottile. Andrej Polunin ricorda come, secondo le dichiarazioni del comandante delle forze Nato in Europa, il generale yankee Curtis Scaparrotti, Washington ritenga necessario l'invio in Europa di una divisione corazzata USA, in aggiunta agli oltre 60mila soldati già presenti. Una divisione corazzata si compone di 17.000 soldati, 290 carri “Abrams”, 330 mezzi di scoperta “Bradley”, 348 trasporti truppe M113; 24 lanciarazzi multipli e 24 sistemi razzo antiaerei "Avenger"; 50 elicotteri "Apache", 30 multifunzione "Black Hawk", 54 di scoperta "Kiowa" e 12 da disturbo elettronico; 60 semoventi con razzi anticarro “Toy” e 312 sistemi razzo anticarro "Dragon". Oltre a quella, Scaparrotti vorrebbe “aggiungere alle forze americane sul continente anche caccia-bombardieri di quinta generazione” e chiede che si “continuino gli investimenti” nella flotta subacquea e un più frequente invio verso le coste europee di portaerei e truppe da sbarco USA. Scaparrotti giudica insufficiente la terza brigata corazzata (250 carri e obici semoventi, 1.700 trasporti e 4.200 soldati) già giunta in Europa orientale e che, a differenza delle altre due, dislocate in Germania e in Italia, non avrà una base permanente. Questa verrà infatti suddivisa in piccoli contingenti, di stanza a rotazione in Polonia, Romania, Bulgaria e nei tre Paesi baltici, il che consente di non violare formalmente l'accordo del 1997 sul non dispiegamento permanente di “consistenti forze militari” in Europa orientale.

Il politologo Mikhail Aleksandrov, se da un lato ritiene che vari paesi Nato europei, di fronte alla prospettiva di mantenere queste ulteriori forze USA, preferirebbero investire le aumentate spese di bilancio (almeno il 2% del PIL) in un esercito europeo, dall'altro propone, in risposta a Washington, di spostare a occidente molte delle forze russe oggi dislocate oltre gli Urali e posizionarle ad esempio, a sud, nel territorio di Krasnodar, di fronte alla Crimea e, a nord, concentrare un paio di armate corazzate nella regione di Pskov, a ridosso dei Paesi baltici. D'altro canto, il generale-colonnello Leonid Ivašov ritiene che la decisione USA di accrescere le proprie già rilevanti forze in Europa sia dettata soprattutto da timori nei confronti di possibili svolte nel vecchio continente, alla vigilia delle presidenziali francesi e parlamentari tedesche: ne sarebbe testimonianza anche il recente conto di 375 miliardi di dollari presentato da Donald Trump a Angela Merkel per debiti tedeschi nei confronti della Nato. Ivašov parla della nuova prospettata divisione corazzata USA come di una forza di impatto forte di 3-4 brigate, lontana dunque da qualsiasi natura difensiva: “la Nato è già ora superiore alla Russia anche senza ulteriori divisioni e non ha bisogno di rafforzarsi. A meno che, ovviamente, non si appresti ad attaccare”. Servono forse a questo le esercitazioni a bassissima quota dei piloti tedeschi della Nato in Estonia, con i caccia “Eurofighter Typhoon” di stanza alla base di Ämari, una cinquantina di km a sudovest di Tallin: a mettere cioè alla prova le difese antiaeree russe, in vista di un attacco?

D'altronde, la presenza USA e Nato in Europa orientale è sempre più aperta: specialisti Nato sono al lavoro attorno alla polveriera ucraina di Balakleja, dopo il vasto incendio che l'ha semidistrutta la settimana scorsa; il Senato USA ha ratificato l'ingresso del Montenegro nella Nato, come “un ulteriore passo nella contrapposizione alla Russia” e l'ex vicepresidente Dick Cheney ha sproloquiato lo scorso 27 marzo di "atti di guerra" russi contro gli Stati Uniti.

A fronte delle dichiarazioni di Scaparrotti sulla “minaccia globale” russa, l'osservatore di Rossija segodnja Aleksandr Khrolenko ricorda che nel 2016 le forze USA hanno sganciato 26.000 bombe su sette paesi, mentre la rivista statunitense CounterPunch scrive che “dalla fine della Seconda guerra mondiale gli USA hanno tentato di rovesciare più di 50 governi stranieri; sganciato bombe sul oltre 30 paesi; cercato di uccidere più di 50 capi di Stato; sopprimere movimenti populisti e nazionalisti in 20 paesi; interferito grossolanamente nelle elezioni democratiche in almeno 30 paesi".

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento