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26/03/2017

23/24 marzo 1944 – Da Via Rasella alle Fosse Ardeatine, il racconto di Rosario Bentivegna

tratto da Salvastorie

Qualche anno fa la trasmissione Rai TV Mixer, di Giovanni Minoli, mandò in onda un’intervista a Rosario Bentivegna, il partigiano dei GAP, oggi scomparso, che il 23 marzo 1944 collocò la bomba in via Rasella. L’esplosione dell’ordigno provocò la morte di trentatré soldati del reggimento “Bozen” appartenente alla Ordnungspolizei dell’esercito tedesco, reclutato in Alto Adige. La rappresaglia dei tedeschi fu terribile e immediata. Dopo 24 ore dall’attentato, presso le Fosse Ardeatine vennero trucidati 335 tra civili e militari italiani. Di seguito pubblichiamo l’adattamento ed elaborazione dell’intervista originale realizzata dal regista Enzo Cicchino nel corso della sua inchiesta sull’azione partigiana di Via Rasella e pubblicata sul sito www.instoria.it.

La videoricostruzione dell’eccidio (RaiStoria)

D.: Mi fa una cronaca dettagliata del preambolo dell’azione di Via Rasella?

R.: Beh, Via Rasella fu organizzata dal Comando Centrale dei G.A.P., che dipendevano direttamente da Giorgio Amendola, il quale partecipò all’elaborazione del piano insieme a Carlo Salinari e a Calamandrei, Franco Calamandrei, Manrio Fiorentini ed io. Avevamo studiato le cose in modo che l’attacco si potesse portare da due punti.

Uno doveva essere il famoso carrettino che avrei dovuto gestire io e che avrebbe provocato la prima esplosione, il primo impatto con il reparto tedesco che avevamo deciso di attaccare, e l’altro doveva essere portato a termine da parte di un gruppo di quattro compagni che erano Silvio Serra, Raul Falcioni, mi pare che ci fosse anche Francesco... insomma, erano quattro compagni adesso non ricordo esattamente i nomi.

Praticamente i partecipanti all’azione erano, tra artificieri, combattenti veri e propri e situazioni di copertura circa 16 compagni, e c’era praticamente tutta la forza dei G.A.P. centrali che erano divisi in quattro G.A.P., c’era il mio G.A.P. che era il G.A.P. Pisacane, c’era un G.A.P. Gramsci, un G.A.P. Garibaldi e un G.A.P. Sorsi.

Noi... Io presi il carrettino, il carrettino era stato prelevato da Raul Falcioni nel deposito della Nettezza Urbana vicino al Colosseo e fu portato nella cantina di Via Marc’Aurelio 47, mi pare, dove noi avevamo il nostro rifugio e dove c’era la nostra santabarbara. Lì fu attrezzato da Giulio Cortini e la moglie, Laura Galloni, da me e da Carla Capponi, fu attrezzato e preparato per essere utilizzato com’era deciso che fosse utilizzato, e cioè ci furono disposti dentro una cassetta di metallo preparata dagli operai... dai compagni operai dell’Officina del Gas di Roma, una cassetta piuttosto grossa dentro cui erano stipati 12 Kg di tritolo con il detonatore.

Messa la cassetta in questo carrettino che, come ripeto, non è quello che appare nelle fotografie, ma è invece un carrettino a due bidoni. Avevamo utilizzato il bidone posteriore, tutto in metallo, e dentro questo vi era stata messa la cassetta, con altri spezzoni di ghisa, intorno ai quali erano stai messi sfusi altri 6 Kg. di tritolo, quindi un ordigno con grosse capacità dirompenti.

Io partii verso l’una da Via di Marc’Aurelio, dal nostro deposito che era nei pressi del Colosseo. Ero travestito da spazzino: camiciotto e cappello, che mi avevano procurato i compagni. Mi ero tolto gli occhiali per evitare che fossi riconosciuto, e mi sono avviato per il Colosseo verso Via Rasella, passando praticamente per Via dei Fori Imperiali, per il centro, poi salii su verso Via Nazionale, attraversai Via XXIV Maggio, passai di fronte al Palazzo del Quirinale, poi per Via del Quirinale giunsi fino a Via Quattro Fontane. Scesi in giù Via Quattro Fontane, nella direzione di Piazza Barberini quindi imboccai Via Rasella, sempre in discesa, e portai il carrettino al punto dove avevamo fissato che fosse disposto, cioè all’altezza di Palazzo Tittoni.

Le dirò che la fatica era notevole perché il carrettino era molto pesante, e che era più faticoso in discesa che in salita, perché bisognava tenerlo fermo, non aveva freni, e quindi in qualche modo mi dovevo ingegnare a trattenerlo.
Disposto che fu il carrettino lì qualche minuto prima delle due, ho cominciato ad aspettare che arrivassero i Tedeschi. Intanto altri quattro compagni si erano disposti su Via del Boccaccio, perché l’azione era stata preparata in modo che l’attacco fosse condotto da due parti, dalla mia parte, e cioè dal mio carrettino, e dalla parte di Via del Boccaccio, all’angolo della quale c’era tra l’altro una caserma della P.A.I., (la Polizia dell’Africa Orientale Italiana, che faceva servizio di polizia in Roma. In quel periodo a Roma c’erano circa... io ho fatto il calcolo, che c’erano circa 18 diversi servizi di polizia, tra quelli politici, quelli militari e quelli correnti).

Questi quattro compagni erano Raul Falcioni, Silvio Serra, c’era Francesco Pulveri e c’era anche un altro compagno, adesso non mi ricordo chi era, dovevano venir fuori dopo l’esplosione del carrettino e buttare sul reparto quattro bombe da mortaio che, con una tecnica particolare che avevamo appreso attraverso gli artificieri che erano stati istruiti dagli Alleati e da questi mandati a noi, avevamo appreso a modificarle per poterle utilizzare come bombe a mano. Erano bombe da mortaio Brixia, da mortaio d’assalto, che contenevano circa 100 gr. di tritolo l’una.

D.: Qual’era il vostro obiettivo bellico?

R.: Oggetto della nostra azione era l’XI° Compagnia del III° Battaglione dell’SS Polizei Regiment Bozen, un reggimento di cui facevano parte altoatesini di nazionalità germanica che era stato addestrato per azioni antiguerriglia. Infatti di questo reggimento il I° battaglione ha operato pesantemente nella zona di Fiume e dell’Istria, il II° battaglione ha operato molto pesantemente nel bellunese, con circa 80 azioni di rastrellamento, e ha al suo attivo anche le stragi di Falcade e della Valle del Biois, questo battaglione che operava a Roma aveva finito proprio il 23 marzo il periodo di addestramento alla lotta contro la guerriglia, e poi non fu portato più...

L’ XI° Compagnia non fu più portata all’attività antiguerriglia perché praticamente la mettemmo fuori combattimento.

D.: Come erano armati?

R.: Erano preceduti e seguiti da due moto-carrozzette con mitragliatrici pesanti, i soldati erano armati di machine-pistole che portavano sul ventre e proprio quel giorno (poiché i Tedeschi avevano avuto sentore che essendo il 23 marzo l’anniversario della Fondazione Fasci del 1919 sarebbe potuto accadere qualche cosa) gli ufficiali invitarono i soldati a marciare con il colpo in canna.

Questa compagnia in genere passava sempre con molta regolarità verso le due del pomeriggio, ed infatti noi la aspettavamo per le due. Quel giorno invece ritardarono, e pare che il ritardo non fosse occasionale, ma fosse dovuto proprio a questa preoccupazione che avevano i Tedeschi di quanto potesse accadere quel giorno a Roma, infatti avevano vietato anche una manifestazione pubblica dei repubblichini. Comunque arrivarono con circa due ore di ritardo.

Io mi ero già fatto quell’oretta di strada nella quale poi, come accade, sono intercorsi fenomeni, incontri, momenti di fatica, momenti di spossatezza, preoccupazione, perché sa, girare con 18 chili di tritolo sotto l’occupazione nazista non era una cosa... quando bastava avere in tasca una copia di un giornaletto clandestino per poter essere fucilati...

Fui fermato, per esempio, da alcuni spazzini proprio sulla Piazza del Quirinale i quali mi dissero: “Ma tu che fai da queste parti, tu non sei nel nostro giro”, e io gli dissi “Ma, sto facendo un carico di cemento”, e questi mi risposero: “Ma che carico di cemento, tu stai facendo la borsa nera, facci vedere i prosciutti!”, e volevano scoperchiare il… La cosa mi preoccupò, tanto è vero che il compagno che mi faceva da scorta, Raul Falcioni, in quel momento si avvicinò a me per vedere se per caso non fosse opportuno che qualcuno intervenisse per darmi una mano, invece io li mandai a quel paese, “Fatevi i cavoli vostri”, gli dissi, e continuai a camminare, e questi mi lasciarono perdere, mi pigliarono un po’ in giro, eccetera.

Poi ho continuato, mi sono messo lì sulla strada e ho aspettato, e questi non arrivavano. ...Ad un certo momento arrivò uno dei reparti di avanguardia che in genere passavano qualche minuto prima del grosso del reparto, una squadra di avanguardia.

Passarono, e i miei compagni credettero che fosse il momento di prepararsi, per cui fui avvisato: “Preparati che...”, e io mi accesi la pipa che mi ero portato, tra l’altro c’era una scarsezza di tabacco enorme, perché le sigarette erano razionate, e io avevo caricato due sigarette dentro la pipa perché con la pipa era più facile poi l’accensione del cavo, era più semplice poter far innescare l’accensione della miccia. La miccia era una miccia a 50 secondi e quindi 50 cm. di lunghezza.

Quindi fui allarmato per lo meno due o tre volte, e questo creò una certa tensione, ma intanto i minuti, i quarti d’ora, le mezz’ore passavano, e siamo arrivati verso le due e mezza che i miei compagni mandarono ad avvertire... no, che dico le due e mezza, due e mezza, tre, tre e mezza.

Alle tre e mezza Pasquale Balsamo mi passò vicino e mi disse: “Guarda che se alle quattro non sono venuti ti pigli il carrettino e ce ne andiamo”, e la cosa era anche più sgradevole.

Tuttavia accettai questa disposizione, però invece alle tre e tre quarti questi si fecero vivi, e c’era Cola, cioè Franco Calamandrei, che era appostato al punto da cui avevamo nei giorni precedenti verificato cronometrando che il tempo di marcia sarebbe stato appunto di 50 secondi.

Cola si tolse il cappello, era il segnale convenuto, io accesi la miccia e me ne andai.

D.: Ci fu da parte vostra un interessamento per salvaguardare la vita dei civili?

R.: Tra l’altro lì intorno c’era un soldato di Sanità perché in un palazzo nei dintorni c’era un posto della Croce Rossa, un soldato che entrava e usciva, nel momento in cui accesi la miccia dissi a questo: “Guarda, vattene, perché qui tra poco succede un cataclisma”, e lui se ne andò, capì e se ne andò.

Poi mentre mi allontanavo c’erano degli operai che stavano su un camion vicino ad un palazzo poco più su, una decina di metri più su di Palazzo Tittoni, stavano facendo delle opere di ammodernamento, non so bene, anche a loro dissi: “Via, andatevene perché qui tra poco con i Tedeschi succederà un macello”, e pure questi scapparono.

E arrivai all’angolo di Via Rasella con Via Quattro Fontane, al punto in cui Via Rasella va ad affacciarsi sul giardino di Palazzo Barberini, e lì trovai Carla Capponi la quale mi mise sulle spalle un impermeabile e coprì il mio giubbotto da spazzino, in quel momento ci fu l’esplosione.

Poi Carla ed io ci allontanammo, facemmo appena in tempo, perché, come ripeto, i Tedeschi aspettavano qualcosa. Proprio mentre noi passavamo uscì fuori da Palazzo Barberini una squadra di Guardie di Finanza che stesero immediatamente i cordoni.

Carla ed io, con Pasquale Balsamo e un altro che mi facevano da scorta, ci avviammo verso Via Nazionale.

Impugnai la pistola per ogni evenienza, Carla aveva la sua pistola nella borsetta, io la impugnai nella tasca e ci avviammo verso Via Nazionale.
Mentre mi allontanavo con Carla sentimmo esplodere i colpi delle bombe da mortaio che i nostri compagni in Via del Boccaccio scagliavano sul reparto, e subito dopo iniziò il crepitio della fucileria perché questi erano armati e risposero, cominciarono a sparare all’impazzata tutto intorno, verso le finestre, e quant’altro.

D.: Questo è l’episodio di Via Rasella, ma affrontiamo ora il discorso in modo più ampio. Come è nato il fenomeno Resistenza a Roma ?

R.: La Resistenza romana è stata piuttosto vivace, è una cosa che non si sa in giro, che è sottovalutata. Roma è una città particolare, perché per essere praticamente a 100 Km dal fronte, che si era attestato a Cassino, e poi dopo lo sbarco ad Anzio addirittura a 50 Km, era piena di gente ed era piena di profughi. Era piena di gente che stava nascosta.

Il fenomeno romano è interessante soprattutto perché si distingue in due momenti che si intersecano. Da un lato c’è una resistenza passiva di massa eccezionale. I romani non hanno collaborato con i nazisti e nemmeno con i repubblichini, pochissimi. Dall’altro una resistenza che pur non essendo ancora militare era già attiva, una resistenza di solidarietà. Solidarietà piena, verso le centinaia di migliaia di persone che stavano nascoste: renitenti di leva, giovani che volevano sfuggire al servizio del lavoro, soldati e ufficiali sbandati, gerarchi fascisti che non volevano più collaborare con i repubblichini, prigionieri alleati, ebrei. C’era uno slogan allora, si diceva che mezza Roma nasconde l’altra metà.
Questa direi che è la caratteristica fondamentale. E poi c’era un’intensa attività politica di gruppi e di partiti che si organizzavano, che cominciavano a fare dei progetti per l’avvenire, che si incontravano, che creavano delle alleanze. Il Comitato di Liberazione Nazionale centrale era a Roma.

Premetto che tra l’altro i nazisti non è che lasciassero in pace i romani, perché continuamente facevano razzie per le strade pigliando gli uomini validi e portandoseli al fronte per farsi costruire le difese laddove ritenevano che fosse per loro necessario. 

D.: Appunto, chi erano e cosa rappresentavano per la fantasia dei romani, i Tedeschi?

R.: Ma, guardi, bisogna vedere le cose da due punti.
Prima di tutto i Tedeschi a Roma non è che fossero molto simpatici nemmeno quando erano alleati. I romani non hanno mai fraternizzato con i Tedeschi. Ma soprattutto dopo l’occupazione, dopo la battaglia di San Paolo, i Tedeschi sono entrati dentro come conquistatori e avevano un obiettivo molto preciso, quello di fare di Roma un comodo snodo stradale e ferroviario, una città di retrovia nella quale poter far riposare e muovere liberamente le truppe.

Era una città di retrovia. In queste condizioni, tenga conto, tra l’altro, che Roma era sottoposta continuamente a bombardamenti proprio perché la presenza delle truppe tedesche era massiccia. Bombardamenti feroci, pesantissimi, non soltanto prima dell’8 settembre, ma anche dopo. Gli Alleati smisero di bombardare Roma il 17 marzo, cioè qualche giorno prima di Via Rasella; eppoi i Tedeschi, qualche giorno dopo Via Rasella, il 26 o 27 marzo, emisero un comunicato in cui continuavano a ripetere che avevano dovuto uccidere per rappresaglia i comunisti badogliani e che tuttavia avrebbero cercato di rispettare la città aperta, e questo in qualche misura successe, infatti i bombardamenti a Roma cessarono fino alla fine di maggio quando, in seguito alla rotta del fronte, i Tedeschi se ne fregarono e cominciarono a ripassare per la città.

I Tedeschi non erano graditi a Roma, non sono riusciti ad avere un rapporto con la popolazione romana e d’altro canto noi cominciammo subito dopo l’8 settembre ad attaccarli militarmente anche all’interno della città, pesantemente.

D.: Aveva già sentito parlare di Kappler, Dollmann, Meltzer e di tutti gli uomini che divennero famosi successivamente?

R.: Kappler e Dollmann mai, Meltzer sì perché era un Generale noto della Wehrmacht.

D.: Eravate a conoscenza del lavoro antipartigiano condotto dalla SS Polizei agli ordini di Kappler e dell’SD, il servizio segreto tedesco?

R.: Non particolarmente, per noi erano un corpo di polizia militare, facevano parte delle truppe occupanti, avevano una divisa, la divisa della Wehrmacht, ed era questo un titolo sufficiente per essere attaccati dai partigiani.

D.: Si è enfatizzato molto sul numero degli uomini formanti le SS, ma pare che fossero solo una settantina e che nelle loro file ci fossero anzi molti italiani.

R.: Guardi, che ci siano stati SS italiani lo so, e tra l’altro ci sono stati anche dei ragazzi che conoscevo, per i quali del resto posso testimoniare la piena buona fede, ma... io parlo dei combattenti naturalmente, dei combattenti della Repubblica di Salò, non certo di coloro i quali facevano i torturatori o gli infiltrati, che erano tutt’altra genia, dei sadici maledetti.

Però io dei ragazzi che sono stati dall’altra parte e che erano stati anche miei amici ne ho conosciuti, e non ho certamente, né allora, ne oggi, niente nei loro confronti, proprio perché sapevo che questi tre qua che ho conosciuto, tre che ho conosciuto, erano i soli che ci credevano, e che non avrebbero mai fatto – come non hanno fatto – né i torturatori, né i massacratori, né altre cose di questo genere.

D.: Si è favoleggiato molto sul terrore degli occupanti, ma la caccia all’uomo qui a Roma colpì solo poche centinaia di persone, insomma troppo poco per parlare di una reazione cittadina. Pare che la città non avesse alcuna intenzione di insorgere contro i nazifascisti.

R.: Guardi, questo viene contraddetto con grande facilità. Si calcola che siano circa 4.000 i romani che sono passati per le carceri fasciste e naziste. Tenga conto che Roma è l’unica città d’Italia, e forse d’Europa, in cui è stato proibito l’uso della bicicletta sin dal dicembre. Roma è la città che ha avuto l’ora di coprifuoco più estesa di qualsiasi altra città italiana.

Eppoi insieme ai soldati italiani – noi – abbiamo cominciato a sparare contro i Tedeschi subito… (non dico noi per dire “io”, dico “noi” per dire “noi partigiani”) non solo l’8 settembre del ’43, o il 10 settembre quando c’è stata la battaglia di Porta San Paolo, ma anche dopo a Monterotondo e altrove. Le azioni contro i Tedeschi sono avvenute subito. Posso poi testimoniare che quando mi è capitato di sparare in mezzo alla strada a Roma – contro Tedeschi e contro fascisti – io sono stato aiutato e difeso dalla popolazione, la quale ha dirottato i miei inseguitori (perché a volte mi hanno inseguito lungamente) verso direzioni nelle quali non mi avrebbero potuto mai trovare, e che c’era roba da mangiare.

Pensi che i Tedeschi cominciarono inizialmente a puntare molto sulle taglie. Cioè, prima di arrivare alle rappresaglie (tipo quella delle Fosse Ardeatine) avevano messo su ciascuno degli autori di ciascuno degli atti di sabotaggio e degli atti di guerra compiuti nella città di Roma, delle taglie importantissime. Pensi che io solo avevo allora 1.850.000 lire di taglia, non tanto... non perché conoscessero me, perché non sapevano chi fossi, ma in riferimento alle diverse azioni che avevo fatto. Nessuno, tranne Carlo Salinari, è stato catturato in seguito ad una delazione. Carlo Salinari sì, ma questo perché uno dei nostri tradì e passò nelle schiere dei repubblichini per salvarsi la pelle.

D.: Molti hanno pensato che la sigla GAP significasse Gruppi Armati Proletari, invece... comunque in che occasione furono costituiti, da chi erano formati, chi li comandava?

R.: Infatti non si chiamavano Gruppi Armati Proletari, ma Gruppi di Azione Patriottica. I membri erano scelti tra le diverse formazioni partigiane nell’ambito della città, selezionando quegli elementi che avevano dimostrato maggiore determinazione nel condurre le azioni e che sia per il loro passato che per la loro provenienza davano garanzia di essere persone severe, rigorose, attendibili, nei limiti delle possibilità umane, capaci anche di resistere alle torture qualora fossero stati arrestati.

D.: Certo vi è stato attribuito il nome di Gruppi Armati Proletari forse per un errore, ma in realtà, come estrazione sociale, i G.A.P. da chi erano formati?

R.: Eravamo in gran parte studenti, o intellettuali. C’erano tre o quattro che venivano... C’era un tassista, c’era Blasi che era un artigiano, ma che poi fu quello che tradì, c’era Francesco Pulveri che era un vecchio operaio dell’edilizia che però veniva dall’esperienza dell’emigrazione antifascista, era stato combattente in Spagna dalla parte dei repubblicani, era il più anziano di noi, tra l’altro. Noialtri eravamo intellettuali, studenti.

D.: In che occasione e perché nacquero i G.A.P.? Chi li comandava?

R.: Praticamente furono ideati da Alfio Marchini e preparati da Antonello Trombadori. Alfio Marchini è il Comandante militare della piazza partigiana di Roma e Antonello Trombadori che era uno dei dirigenti del Partito Comunista, uno dei dirigenti intellettuali del Partito Comunista. E fu Antonello Trombadori il primo a costruirli, a comandarli e a sceglierli. Ognuno di noi ha avuto lunghi colloqui con Antonello, senza sapere chi fosse. Seguivamo con grande scrupolo le regole della cospirazione, conoscevamo tutti solo per pseudonimo, non per nome. I GAP praticamente cominciarono a funzionare alla metà di ottobre, primi di novembre del ’43. Poi si consolidarono portando a termine delle azioni estremamente importanti come quella dell’Albergo Flora; o come quella che feci io stesso a Piazza Barberini. O come quella che portò a compimento Mario Fiorentini a Regina Coeli, che è stata una delle azioni più belle che sono state fatte a Roma. E poi tantissime altre. I G.A.P. centrali erano quelli raccolti da tutte le zone della città, ma nella periferia si erano poi costituiti i G.A.P. di zona, i quali a loro volta svolgevano l’attività nelle loro zone e portavano all’azione non soltanto i G.A.P., ma anche le S.A.P., cioè le Squadre di Azione Patriottica in cui erano inquadrate tutte le forze partigiane.

Tenga conto che i partigiani comunisti, per esempio, erano circa 3.000, ed erano 3.000 persone organizzate e purtroppo non tutte armate, più o meno tutte hanno preso parte ad azioni di fuoco e ad azioni di sabotaggio ben individuate. Un’ultima cosa vorrei ricordare, ed è una cosa che diceva uno che di guerra partigiana se ne intendeva perché è stato prima il Comandante di Roma, poi di Bologna, poi ancora di Torino: cioè Giorgio Amendola... Secondo Giorgio Amendola, in quei 9 mesi in cui Roma ha fatto la Resistenza (tenga conto che la Resistenza romana è finita il 4 giugno del ’44, cioè perlomeno 10 mesi prima che finisse la Resistenza nelle altre zone del Paese) le azioni militari dei partigiani italiani romani sono state maggiori delle azioni militari dei partigiani di qualsiasi altra città d’Italia, cioè è una leggenda che i romani non abbiamo fatto niente. I romani hanno fatto, tanto è vero che i nazisti hanno duramente colpito la popolazione romana, e l’hanno colpita proprio perché resisteva, e l’hanno colpita con la fame prima di tutto, poi con razzie, con il coprifuoco! ne è un esempio il fatto che non si poteva girare in bicicletta.

D.: Senta, qual era il programma politico delle vostre cellule combattenti? 

R.: Ma, guardi, parlare di programma politico delle cellule è un po’ vago. Io... le cellule si trasformavano tutte il S.A.P. Dalle S.A.P. vennero fuori i G.A.P. Il problema politico era uno: cacciare i Tedeschi e i Fascisti. L’obiettivo era la democrazia, una democrazia avanzata, la giustizia sociale, la libertà.

D.: A Roma il Colonnello Montezemolo aveva riunito un gruppo di ufficiali per organizzare un servizio informazioni a favore degli Alleati simile a quello di De Gaulle in Francia. Come mai i G.A.P. non sostennero questa iniziativa, ma la snobbarono completamente?

R.: Ma, guardi, i G.A.P. erano un reparto militare, e non potevano fare altro che quello che gli veniva comandato. I G.A.P. non hanno mai avuto un servizio informazioni. Io so che con il Colonnello Montezemolo collaborarono anche i servizi informazioni del Partito Comunista, ad esempio, ma era tutt’altra cosa.

Noi non avevamo una struttura che ci permettesse di avere un servizio informazioni. Ci venivano delle disposizioni di carattere militare e le eseguivamo. Ecco, io posso dirle, per esempio, che il servizio informazione – io ne ho avvicinato uno solo, questo di cui le sto raccontando – era gestito da un ex-ufficiale di Cavalleria torinese, che durante la Prima Guerra Mondiale aveva fatto anche il Capitano negli Arditi, che gestiva appunto uno dei servizi di informazione del Partito Comunista presso la IV° Zona ed aveva collegamenti diversi con molte strutture, anche con le strutture militari, con la struttura di Montezemolo ecc.

Fu preso dai Tedeschi nel gennaio del ’44, fu portato a Via Tasso e fu ucciso a calci. Insieme a lui fu arrestata, e non ne venne fuori una parola né da lui della sua collaboratrice, la professoressa – allora era una studentessa di medicina – la Prof. Carla Angelini, che oltre tutto era una mia carissima amica, una psichiatra, una nota psichiatra che adesso sarà pure in pensione, ...siamo diventati tutti vecchi.

D.: Oltre ai G.A.P., quali altri gruppi resistenziali esistevano a Roma, e com’erano formati?

R.: Ma, guardi, le formazioni... c’erano nei G.A.P. diverse formazioni. C’erano la formazione Giustizia e Libertà, le formazioni Matteottine del Partito Socialista, le formazioni Garibaldine del Partito Comunista, il Centro Militare di Montezemolo, Bandiera Rossa, che era una formazione comunista antipartito, loro erano una mescolanza di trotzkisti, poi si dicevano più stalinisti di noi, e quant’altro, c’erano le formazioni democristiane, le formazioni repubblicane, le formazioni dei cattolici comunisti che avevano le loro S.A.P. e avevano il loro G.A.P., cioè questo termine G.A.P. è il termine della squadra di, chiamiamoli così, combattenti di avanguardia, di arditi, li chiami come vuole, no, a cui venivano affidate le azioni più impegnative e più rischiose, ed erano per questo particolarmente selezionati.

D.: Qual era il tuo?

R.: Non so, il mio amico Valerio Perucchini, il mio compagno Valerio Perucchini era il Comandante del G.A.P. di Tor Pignattara, ed è stato fucilato alle Fosse Ardeatine. C’era anche Chiesa, Edoardo Chiesa, che era il Comandante del G.A.P. dei Cattolici Comunisti, e che è stato fucilato alle Fosse Ardeatine.

Il G.A.P. non era... era un reparto di una formazione partigiana, così come lo era la S.A.P., appunto, come lo erano gli uffici informazione, come lo erano quelle che potremmo definire, non so, le salmerie, ecco, la parte organizzativa, ecc.

D.: Qual era il gruppo politico più consistente?

R.: Dal punto di vista dei combattenti senza dubbio Bandiera Rossa, i comunisti, il Partito d’Azione e il Centro Militare Clandestino. Questi erano i gruppi militari più consistenti.

Dal punto di vista politico c’era anche la Democrazia Cristiana, c’erano i repubblicani e c’erano... Oh, poi, guardi che c’era una miriade di formazioni costituite da gruppi più o meno autonomi che svolgevano una loro guerra contro i Tedeschi senza avere collegamento con il Comitato di Liberazione Nazionale, e ce n’erano moltissime che spontaneamente sono sorte nei quartieri, nei paesini, e questa è la ragione per cui tra l’altro la Resistenza romana, malgrado quello che Lei ha ipotizzato inizialmente, è stata così ricca.

Non è vero che Roma sia stata una città che aspettava soltanto. Certo, c’erano anche quelli che aspettavano, ma c’erano anche quelli che aspettavano attivamente, voglio dire, e non tutti aspettavano attivamente militarmente, ma aspettavano attivamente anche attraverso un grosso movimento solidaristico. Per esempio, io mangiavo tutti i giorni o quasi, non proprio tutti, e non sempre abbondantemente, ma mangiavo perché me ne portavano.

Quando io sono stato partigiano a Centocelle, per esempio, a Centocelle la popolazione era tutta con noi, tutta, completamente. Io sono stato subito dopo lo sbarco ad Anzio per un mese padrone della Borgata di Centocelle. Poi dopo sono arrivati i Tedeschi e hanno sbaraccato tutto, ci hanno ammazzato tutti i compagni, li hanno deportati e quant’altro.

Ma Lei lo sa – durante la Resistenza a Roma – quante centinaia di romani, quante migliaia di romani sono morti!? 1750 persone... non sono poche... a Roma e nel Lazio voglio dire, complessivamente, i romani non so, in particolare, ma solo a Porta San Paolo tra i soldati e la gente sono morte circa 650 persone.
Però queste cose non le sa nessuno.

D.: Lei conta anche i 335 delle Fosse Ardeatine?

R.: Beh, nelle 1750 sì, però non conto tutti i deportati che non sono tornati, non conto i 1800 ebrei... i 1200 ebrei che non sono tornati perché tenga conto, tra l’altro, delle razzie; la gente portata via è stata qualche migliaio. Pensi alla razzia del Quadraro, alla razzia degli ebrei, in queste cifre non ci sono questi romani che sono stati portati via ai campi di concentramento e non sono più tornati.

D.: Senta, il 17 e 18 gennaio del ’44 Montezemolo e la sua organizzazione furono totalmente arrestati dalla polizia nazifascista. Si dice che ciò accadde perché si prevedevano delle azioni di disturbo contro i Tedeschi di passaggio nella capitale in concomitanza con lo sbarco di Anzio. E’ vero?

R.: Guardi, io non avevo contatti con il Colonnello Montezemolo, e quindi non so esattamente che cosa avesse in mente di fare Montezemolo.

Per quanto ci riguardava, il CLN aveva ipotizzato l’insurrezione di Roma, anche per le segnalazioni che aveva avuto dai Comandi Militari Alleati, tanto è vero che con lo sbarco di Anzio i G.A.P. centrali di cui io già facevo parte furono sciolti, e ognuno di noi fu mandato nelle zone della città per guidare l’insurrezione, e io fui mandato a Centocelle.

D.: I G.A.P. da chi ricevevano ordini?

R.: Dai loro comandanti.

D.: Si è detto da più parti che ricevessero ordini dagli Alleati.

R.: Certamente i nostri comandanti erano in collegamento con il Comando Alleato.

D.: Molti, più affermativamente, hanno detto che invece ricevessero ordini da Togliatti.

R.: Ma, questa è una delle immani cavolate che vengono dette.

Lei tenga conto che Togliatti è sbarcato da Salerno dalla Russia il 24 marzo.

Si è detto addirittura che Togliatti ha dato l’ordine di fare Via Rasella. Togliatti probabilmente manco sapeva che esisteva Via Rasella. Togliatti è tornato dalla Russia, stava in nave in giro per il Mediterraneo in attesa di poter sbarcare, ed è sbarcato il giorno in cui c’è stata la rappresaglia delle Fosse Ardeatine.

Lei... io mi vorrei divertire, prima di crepare, mi vorrei divertire a scrivere tutto lo sciocchezzaio immane che è stato costruito su questa questione della Resistenza romana. 

D.: Come ex-gappista Blasi testimoniò, al processo contro Kappler, di aver visto dalle mani di Calamandrei un ordine di esecuzione di Via Rasella siglato EE, cioè Ercoli. In quel caso, dietro l’ordine lui affermava di sicuro che ci fosse Togliatti.

R.: Guardi, nessun ordine scritto è stato mai emesso da una parte all’altra dei comandi della Resistenza, quanto meno a Roma.

Secondo, torno a dirLe, Togliatti quando... noi abbiamo cominciato a preparare l’azione di Via Rasella a febbraio, si figuri, poi per una serie di ragioni fu rimandata, poi la prendemmo in considerazione per marzo, la facemmo il 23 marzo perché quel giorno era l’anniversario dei Fasci e delle Corporazioni, ma Ercoli in quel giorno stava ancora navigando per il Mediterraneo.

D.: Beh, non per questo non poteva far venire un’ordine.

R.: Per scritto o con le regie poste magari, mi faccia capire. Ma con che cosa lo poteva far venire l’ordine scritto firmato da lui? Ma è una colossale idiozia! Solo pensarla, una cosa di questo genere, significa non avere la più pallida idea di come vivevamo, di come viveva Roma, di come viveva l’Italia e di che cos’era l’Italia attraversata in su e in giù da due eserciti che si combattevano.

D.: Gli arresti delle organizzazioni resistenziali non comuniste avvenuti nella seconda metà di gennaio avvennero non solo per l’imprudenza delle stesse, ma anche per la delazione di uomini della Resistenza, che avevano tutto l’interesse a monopolizzare la struttura partigiana. Si disse che questi uomini delatori fossero comunisti.

R.: Questa è un’altra infamia che fa parte dello sciocchezzaio che ogni tanto viene fuori.

Lei pensi soltanto al fatto che alle Fosse Ardeatine sono morti tanti comunisti anche importanti, voglio ricordarLe Mallossi, ex-combattente in Spagna, voglio ricordarLe il Prof. Gesmondo, che è stato anche Commissario Politico dei G.A.P.

D.: Tuttavia il massacro delle Ardeatine eliminò buona parte della Resistenza romana non comunista?

R.: Il massacro delle Ardeatine eliminò quella parte della Resistenza che stava in prigione.

D.: Ed era in buona parte non...

R.: Non comunista... in buona parte, certo, perché mica solo i comunisti hanno fatto la Resistenza. C’erano dentro comunisti, non comunisti, anticomunisti, perfino dei fascisti, guardi, perfino dei fascisti, e questo tra l’altro è un altro aspetto estremamente interessante, una delle ragioni per cui non sono d’accordo che la Resistenza sia stata una guerra civile, perché insieme a noi hanno combattuto anche elementi che venivano dal Partito Nazionale Fascista, e sono stati ammazzati come noi.

D.: Sì, però qualcuno ha detto che gli uomini non comunisti della Resistenza romana che sono stati uccisi alle Ardeatine erano in pratica dei futuri avversari fatti fuori in anticipo.

R.: Che vuole che Le dica? La gente si può inventare tutte le favole che preferisce, ma questa è soltanto una mascalzonata. E’ soltanto una mascalzonata che del resto... nella mia lunga vita ormai ho visto ripercorrere tante volte spesso dalle stesse persone.

D.: Tuttavia per gli uomini della Repubblica di Salò e per i Tedeschi c’era una stretta omonimia tra partigiano e comunista. Come mai è nata questa leggenda?

R.: Guardi, questo faceva parte delle esigenze della propaganda nazifascista, ma comunque posso dirLe che quando i Tedeschi hanno parlato di noi a proposito dell’azione di Via Rasella e hanno parlato dei martiri delle Fosse Ardeatine hanno parlato di comunisti badogliani.

Beh, noi eravamo comunisti badogliani.

D.: E non è una contraddizione?

R.: Beh no, in quel momento no. Non c’è nessuna contraddizione in questo.
Tenga conto che noi avevamo l’obiettivo di cacciare i Tedeschi e di liquidare il Fascismo.

Questo voleva e ci aveva chiesto il governo legittimo, che era il Governo Badoglio, e questo noi facevamo.

D.: Proprio perché si rifà al governo legittimo di Badoglio, proprio per disposizione di questo pare che il CLN avrebbe dovuto progettare le azioni sotto il profilo politico, demandando invece al Comando Militare Clandestino il compito di guerriglia e di sabotaggio. Il Comando del Lazio era stato affidato dal Governo del Sud al Generale Quirino Armellini, però i G.A.P. boicottarono apertamente tutti gli ordini emanati da questo Generale.

R.: Guardi, torniamo alla definizione delle funzioni dei G.A.P.
I G.A.P. non avevano funzioni politiche. Avevano solo funzioni militari.

Nella realtà c’era un conflitto tra il CLN e Armellini, e il CLN non accettò mai di dipendere dal Generale Armellini, tanto è vero che aveva un suo Comando Militare, una sua Giunta Militare i cui comandanti, i cui rappresenti erano Bauer per il Partito d’Azione, Pertini per il Partito Socialista, Amendola per il Partito Comunista e mi pare Manlio Brosio per il Partito Liberale.

C.: Ma Armellini era l’uomo delegato dal Governo del Sud.

R.: Dal Governo a gestire le forze che facevano capo al Centro Militare. Ancora non c’era stata l’unificazione del Corpo Volontari della Libertà.
Soltanto quando avverrà l’unificazione di tutte le forze partigiane nel Corpo dei Volontari della Libertà, che mi pare sia avvenuta qualche mese dopo, allora c’è stato un Comando unico ed era costituito da Cadorna, Parri e Longo.

D.: Ma allora Armellini che potere aveva?

R.: Era l’uomo ufficiale delle formazioni del Centro Militare. Non era l’uomo ufficiale del CLN, e c’era una certa conflittualità con il CLN, politica e anche militare, anche perché da parte del CLN... all’interno del CLN esistevano forti correnti attendistiche.

L’attendismo era un particolare atteggiamento che avevano parecchie forze della Resistenza, e tuttavia c’erano anche prevalenti forze non attendistiche, e cioè quelle che volevano che si facesse l’insurrezione di Roma.

Tenga conto che Roma è l’unica capitale d’Europa che non ha avuto un’insurrezione e l’unica grande città italiana che non ha avuto un’insurrezione, e questo dipende dal fatto che probabilmente... certamente è dipeso da due fenomeni in particolare: il primo, il fatto che tra febbraio e giugno moltissimi gruppi partigiani hanno avuto fortissime perdite: la gran parte dei quadri, ma non solo dei quadri, e non solo non comunisti ma anche comunisti stava in carcere. Noi gappisti siamo andati in carcere un po’ più tardi perché avevamo una maggiore disciplina cospirativa, gli altri ci sono andati un po’ prima. Ora, questo ha indebolito fortemente le forze militari della Resistenza.

Poi c’è stato un altro fatto, la spinta del Vaticano a fare in modo che Roma non insorgesse.

Dietro questo ci sono una grande quantità di ragioni. Però Le assicuro che il 4 giugno, quando sono arrivati gli Alleati, arrivò l’ordine dal Governo di Salerno di lasciar andar via i Tedeschi senza attaccare.

D.: Roma fu proclamata città aperta. In seguito a questa decisione accettata e rispettata anche dai Tedeschi il Generale Armellini diede ordine che i partigiani si astenessero dal compiere attentati all’interno della capitale proprio per evitare che i comandi germanici si avvalessero del diritto di rappresaglia.
I G.A.P. volutamente questo ordine lo ignorarono.

R.: Primo, Armellini non era in grado di dare ordini ai nostri.

Secondo, è falso che i Tedeschi abbiano mai accettato la città aperta di Roma. Non è mai esistita. La città aperta di Roma è stata promulgata di iniziativa del Governo Badoglio dopo il secondo bombardamento di Roma del 14 agosto del ’43 e non è mai stata accettata né dai Tedeschi, né dagli Alleati, tanto è vero che i Tedeschi si sono serviti di Roma dove avevano comandi, dove avevano truppe e attraverso cui facevano passare per ferrovia o per strada le truppe che si muovevano da e per il Nord e per i vari fronti, e gli alleati bombardavano regolarmente Roma.

Le dico, soltanto dopo Via Rasella, ed esattamente tre o quattro giorni dopo – e c’è un comunicato germanico che io potrei citarle, mi pare che sia del 26 o del 27 – i Tedeschi dissero: “Ci impegnamo a non usare più Roma come transito per le truppe alleate”, e arrivarono a dire una cosa ridicola: “I soldati germanici non potranno prendere più nemmeno il tram”, ecco, si figuri un po’ se era un problema che il soldato tedesco andasse da una parte all’altra di Roma in tram, poteva essere un fatto militare! Ma era un fatto militare il fatto che questi passassero per Roma, tant’è che noi abbiamo bruciato un deposito di carburante tedesco a Via Claudia, lo bruciò in particolare Carla Capponi.

D.: Tuttavia le azioni partigiane che avvenivano a Roma contro i Tedeschi da uomini importanti del Governo del Sud e del CLN venivano considerate illegali, azioni non lecite. Eravate consapevoli di queste contraddizioni?

R.: Guardi, anche questo è falso. Non è vero che queste azioni fossero considerate illegali o illecite. Da alcuni sono state considerate non opportune, che è un discorso completamente diverso.

Ora, quello che ci veniva detto dal Governo del Sud, Badoglio, “Bisogna colpire i Tedeschi comunque e dovunque”, da Radio Londra, dalla Radio Libera dell’America, ci veniva detto soltanto: “Colpite i Tedeschi dovunque e comunque”, e questa era la parola d’ordine nostra.

Questi fatti di cui Lei si sta facendo portavoce sono fatti inesistenti. Non è vero. La storia è ignorata da coloro che dicono cose di questo genere.

D.: Nonostante tutto, fino alla bomba di Via Rasella i G.A.P. avevano portato a termine già 14 attentati che provocarono diversi morti e dai quali non seguì – salvo in un caso – alcuna rappresaglia. Non fu proprio questa saldezza di nervi degli occupanti ed una certa indifferenza della città ad accendere l’animo dei G.A.P. al punto da progettare l’agguato di Via Rasella per dare uno scossone?

R.: No, questa è un’altra delle interpretazioni inattendibili.

Noi ogni volta che ci ponevamo l’obiettivo di attaccare i Tedeschi li attaccavamo cercando di mettercela tutta. Qualche volta ci siamo riusciti, per esempio a Piazza Barberini, abbiamo fatto saltare un camion con dentro qualche decina di Tedeschi, o per esempio a Regina Coeli, o per esempio all’Hotel Flora.

Però, Le dicevo, inizialmente i Tedeschi non ricorsero alla rappresaglia perché speravano di beccarci attraverso le taglie. Lei sa che c’era anche questo criterio, questo sistema. Lei sa che Celeste Di Porto, la famosa Pantera Nera, si vendeva ai suoi correligionari ebrei a 5.000 lire l’uno, 5.000 lire era anche una bella somma anche allora.

E questo accadeva anche per noi.

L’azione che ha fatto saltare un deposito di macchine a Via Barberini ha comportato una taglia di 250.000 lire, e così via. Su ogni azione mettevano dei manifesti dicendo: “...azione... diamo 250.000 lire a chi permette di...”, e hanno fatto buca, e quello perché la popolazione non aveva nessuna voglia di collaborare con loro.

Noi abbiamo fatto anche dei comizi in piazza, in mezzo alla gente. Non voglio parlare sempre di Centocelle, dove mi è capitato di vedere la gente che si radunava intorno a noi mentre facevamo i comizi e i soldati Tedeschi che si barricavano dentro un negozio abbassando una saracinesca, proprio in Piazza dei Mirti. Però, anche altrove, la gente ci proteggeva e ci difendeva sempre, regolarmente.

Se non ci fosse stato questo ci avrebbero preso subito.

D.: Se dopo l’attentato di Via Rasella non ci fosse stata la rappresaglia come vi sareste comportati?

R.: Avremmo continuato a fare quello che abbiamo fatto, perché noi abbiamo continuato a fare azioni militari contro i Tedeschi anche dopo l’azione di Via Rasella.

E tenga conto che qualche giorno dopo... no, qualche settimana dopo, anzi, l’azione di Via Rasella, il tradimento di Blasi ci ha mandato tutti in galera. Cioè, siamo rimasti in quattro fuori, e siamo stati dislocati nelle zone delle montagne intorno a Roma.

I G.A.P. furono ricostituiti con elementi nuovi però arrivarono gli Alleati. Hanno fatto qualche azione ma non fecero in tempo ad entrare seriamente in combattimento.

D.: E gli uomini che finirono in galera che sorte ebbero?

R.: Furono condannati a morte. Furono condannati a morte e dovevano essere fucilati il 4 giugno. Furono messi sul camion il 4 giugno da Via Tasso e dovevano essere portati alla Storta.

Il caso volle che il camion su cui stavano loro, che era il penultimo – Bozzi e gli altri che sono finiti alla Storta stavano in camion precedenti – il camion su cui stavano loro fu sabotato e il camion successivo, che era un camion delle SS, fece scendere questi qui, li rimandò dentro le prigioni di Via Tasso, e si presero loro il camion...

Cioè, il camion delle SS fu sabotato, quindi questi che stavano sul penultimo camion furono rimandati nelle celle di Via Tasso e in questo modo si salvarono la pelle, ed erano Carlo Salinari, Luigino Pintor, Franco Ferri e altri.

D.: Ma da chi fu sabotato il camion delle SS?

R.: Questo non glielo so dire.

D.: Perché fu scelta proprio Via Rasella per l’attentato, e non un’altra strada?

R.: Perché era una strada sufficientemente deserta, sufficientemente stretta, che creava meno rischi per la popolazione.

D.: Perché fu scelto proprio il 23 marzo?

R.: Perché era l’anniversario dei Fasci di Combattimento, ma l’azione contro quel reparto, come ripeto, era già stata studiata e approntata anche al di là del 23 marzo. L’avremmo attaccato lo stesso.

D.: Da chi giunse l’ordine dell’agguato di Via Rasella?

R.: Dal comando dei G.A.P.

D.: Chi?

R.: Giorgio Amendola.

D.: Come mai non fu deciso di attaccare ad esempio un corteo fascista, visto che l’ordine di rinunciare alla manifestazione – quella fascista – per la città era giunto appena la sera del 22?

R.: Noi i fascisti li avevamo già attaccati in Via Tomacelli, ma non avevamo attaccato il corteo, perché non attaccavamo i civili, abbiamo attaccato un reparto della Guardia Nazionale Repubblicana che precedeva il corteo. Era il 10 marzo, cioè quando i fascisti si permisero di fare la commemorazione di Bassini. Attaccammo e distruggemmo questo reparto, lasciandone sul terreno parecchi…

D.: Ci fu una rappresaglia?

R.: No, non ci furono rappresaglie.

D.: Come mai?

R.: ...Ordine del Comando Tedesco: che i fascisti non uscissero più in pubblico perché i romani non li volevano vedere. Non solo, ma i fascisti per il 23 marzo avevano ipotizzato una grande manifestazione alla Piramide, e noi avremmo preparato un doppio attacco, uno alla Piramide e uno a Via Rasella. Quello della Piramide non poté più essere portato a termine – per questo ci avanzò il tritolo – perché i Tedeschi dettero l’ordine ai fascisti di non fare nessuna manifestazione pubblica.

D.: Si è insistito molte volte, ed anche Lei lo ha affermato in questa sede, che i Tedeschi uccisi in Via Rasella fossero delle SS, invece non è vero.

R.: Erano membri di un reggimento voluto da Himmler, tenuto a battesimo da Himmler – c’è una documentazione per questo – che si chiamava SS Polizei Regiment Bozen, cioè non erano SS come struttura politica organizzativa, però era un reggimento di polizia militare delle SS, e nel titolo del reggimento c’è proprio “SS Bozen Regiment”.

D.: Guardi che erano uomini della polizia territoriale.

R.: No, è falso, falso.

D.: Gli uomini del Bozen erano di nazionalità italiana. Molti di essi avevano combattuto nell’Esercito Italiano in Russia.

R.: No, non è vero, erano di nazionalità germanica, e molti di loro avevano lottato per la nazionalità germanica prima... nel 1938 quando ci fu l’accordo sull’Alto Adige tra Mussolini e Hitler.

...Ma anche molti fascisti avevano combattuto nell’Esercito Italiano. Il fatto poi, che fossero italiani non aveva significato. Per noi avevano una divisa nemica, erano nemici. Cioè, anche i fascisti erano italiani, che ragionamento è? Certo, avevano fatto la guerra, stavano da una parte e dall’altra, ci siamo sparati, ci hanno ammazzato loro, li abbiamo fatti fuori noi, ci siamo sparati. Ma questa cosa è un’altra delle cose sciocche... un altro degli argomenti sciocchi che vengono tirati fuori. Che significava “erano dell’Alto Adige”? E se fossero nati a Roma? Avevano la divisa tedesca, dei soldati tedeschi, stavano in un reggimento di polizia militare... territoriale, che significa territoriale? Certo, mica volavano, non erano mica uccellini. Territoriali un cavolo, questi erano... si stavano preparando a fare la guerriglia antipartigiana, come hanno fatto altri del loro stesso reggimento.

Le ho citato l’esperienza del II° Battaglione – perché questo era il III° Battaglione che si stava addestrando nelle operazioni antiguerriglia a Roma – quelli del II° Battaglione sono i responsabili delle stragi del Biois, di Falcade e di 80 rastrellamenti nel bellunese.

Quelli del I° Battaglione sono responsabili di una quantità di stragi e di attività che non conosco peraltro, per cui non posso documentarmi, mentre quelli del II° sì, che hanno operato a Fiume, e io non credo che questi qui che operavano a Fiume e in Istria fossero tanto più teneri nei confronti degli slavi di quanto lo siano stati nei confronti degli italiani nel bellunese.

D.: Comunque voi avete colpito il battaglione più innocuo.

R.: Abbiamo colpito un battaglione il quale quel giorno – questo è stato... l’abbiamo saputo dopo, ovviamente – aveva finito le esercitazioni per essere impiegato nelle operazioni antiguerriglia probabilmente in questo senso, in questo senso probabilmente erano dei territoriali, perché dovevano fare delle azioni antiguerriglia.

D.: Durante l’esplosione della bomba morirono anche 7 civili, fra cui un bambino. E’ stato il senso di colpa a far sì che ostinatamente da parte partigiana non si sia mai voluto ammettere che ci siano stati dei morti italiani eccetto i sud-tirolesi?

R.: Guardi, durante... con l’esplosione della bomba non è morto nessun italiano.

Io ho fatto delle ricerche all’Anagrafe di Roma, e non risulta nessun italiano morto quel giorno per cause di guerra, mentre risultano quelli che sono morti il giorno dopo alle Fosse Ardeatine.

Le dirò di più, no, perché il discorso va completato.

Recentemente ho avuto testimonianza – credo che ne parli De Simone nel libro che sta uscendo in questi giorni, “Roma Prigioniera” – che due persone sono state... due italiani sono.. Robert Katz nel suo libro libro parla di un italiano, l’autista di Caruso, morto per una pallottola vagante il 23 marzo. Caruso era il Questore di Roma della polizia fascista romana. Il Prof. Starelli parla di due ragazzi, o un uomo e un vecchio, non è chiara la questione, che ha visto tra i cadaveri dei soldati tedeschi, e che possono essere stati uccisi successivamente in seguito alla reazione spropositata che i Tedeschi hanno avuto.

D.: Coloro...

R.: Aspetti. Un altro caso che mi è stato raccontato recentemente proprio da De Simone: sembra che ci sia al Verano la tomba di un ragazzo che è morto il 23 marzo, un garzone che è morto il 23 marzo in Via Rasella.

Però di questi 7 di cui si parla nessuno ne ha mai parlato del nome e cognome e, torno a dirle, all’Anagrafe non sono registrati.

Questi tre casi, io ho sentito delle testimonianze e non posso escluderli, ma certamente non sono stati colpiti dalle bombe partigiane.

D.: Beh, non lo può escludere, come fa ad escluderlo?

R.: Lo posso quasi escludere, perché non c’era nessuno sulla strada. Lo posso quasi escludere. Sa, Lei tenga conto che Roma non era una città affollata in quell’epoca. Tenga conto che, beh, insomma, era una città semideserta.

D.: Che ruolo ebbe Antonio Rezza?

R.: Nessuno.

D.: E la sua nipotina?

R.: Nessuno.

D.: Lei conosce il libro di Giorgio Rossi?

R.: Sì, ma la questione della partecipazione di Antonio Rezza è pura fantasia romanzistica. Toto Rezza è stato un partigiano gappista che ha fatto parte dei G.A.P di zona, non ha mai fatto parte dei G.A.P. centrali, che è venuto anche con me una volta al FUOP (?), e che poi non fu accolto nei G.A.P. centrali, o soltanto marginalmente, e che poi invece è morto in combattimento sul fronte di Alfonsine, nella battaglia di Alfonsine, insieme ad un altro nostro compagno, Silvio Serra, che invece era della sede.

D.: Come mai si fa tanto mistero sugli uomini che nel complesso hanno partecipato all’azione di Via Rasella?

R.: Nessuno ha fatto mistero, soltanto che si è voluto creare l’uomo-simbolo, e purtroppo l’uomo-simbolo sono io.

Dico purtroppo per quanto riguarda il costo che ho pagato nella mia vita per questo fatto, non perché io abbia qualsiasi preoccupazione nel ritenere che Via Rasella non fosse giusto farla o che comunque non dovesse essere fatta la Resistenza anche militare, l’esempio che Le ho portato chiacchierando, della vespa che punge e mi fa un pomfo, e delle cento vespe che invece mi ammazzano, è quello che significava la Resistenza.

D.: E’ detto da molti che diversi uomini che hanno fatto parte del gruppo di Via Rasella poi sono stati arrestati dai fascisti e sono passati armi e bagagli all’altra parte.

R.: No, questo è stato vero solo per Guglielmo Blasi, il quale però non è stato arrestato come antifascista. La storia di Guglielmo Blasi è molto più pesante.
Guglielmo Blasi – e questo noi non lo sapevamo, e il Comando non lo sapeva – era un pregiudicato, ed è stato beccato mentre con documenti tedeschi falsi che noi avevamo, e con una pistola in tasca, di notte stava svaligiando un negozio.
Fu preso e non aveva scampo, era condannato a morte, e allora lui disse: “Alt, Signori, io sono uno di quelli che hanno fatto l’azione di Via Rasella,” – ed era vero, c’era stato anche lui – “Se voi mi salvate la pelle, io vi faccio arrestare... Spartaco, Cola e quant’altri”, e li fece arrestare. Di più, fece arrestare una quantità notevole di compagni perché tra l’altro lui era stato tra i G.A.P. della VI° Zona, che era quella che gravitava intorno a San Giovanni, e fece arrestare una quantità di compagni, e pare che partecipasse anche all’azione in cui trovò la morte Colorni, però poi lui è stato nella banda koch, e anche nelle altre. Però è l’unico che è passato dall’altra parte.

D.: Gli uomini del CLN come considerarono l’attentato di Via Rasella, o l’azione di Via Rasella?

R.: Ma, guardi, ci sono state opinioni difformi. Amendola l’aveva raccontato molto bene. Da parte della Democrazia Cristiana ci sono state delle riserve, da parte dei liberali anche, meno e certamente no da parte dei socialisti e da parte del Partito d’Azione. Tra l’altro Giorgio Amendola raccontava che subito dopo l’azione di Via Rasella lui doveva avere una riunione del CLN con De Gasperi, al Palazzo di Propaganda Fide, quindi a pochi metri da Via Rasella, in Piazza di Spagna, De Gasperi gli disse: “Ho sentito un botto. Siete stati voi?”, e la cosa finì lì.

D.: La cittadinanza romana fu concorde nel deplorare la strage, e perfino il giornale antifascista “Italia Nuova” la ritenne insensata.

R.: Se Lei parla di strage penso che si riferisca alla strage delle Ardeatine.

D.: No, si riferisce a Via Rasella.

R.: Bene, chi dice che Via Rasella è stata una strage – non posso dire le parolacce per televisione – è quanto meno uno sciocco.

Via Rasella è stata un’azione di combattimento regolata, indetta e portata avanti da combattenti regolari che per quella azione sono stati decorati al Valor Militare.

Quella azione ha comportato anche dei riconoscimenti da parte del Parlamento del Governo Italiano quando in qualche occasione qualcuno si è permesso di intervenire.

Quell’azione ha provocato da parte di alcuni familiari, di 5 familiari, 6... 5 familiari dei 335 martiri delle Fosse Ardeatine un’azione giudiziaria.

Il Tribunale di Roma, la Corte d’Appello di Roma, la Cassazione a sezioni riunite riconoscono la legittimità dell’atto di guerra di Via Rasella, riconoscono la legittimità dell’azione svolta dai partigiani e addirittura, in Corte d’Appello e in Tribunale, ci sono motivi di elogio nei confronti dei partigiani che hanno condotto quell’azione.

Ovviamente la Cassazione si è limitata a dare una risposta di carattere giuridico.

D.: Io ho parlato con molti ebrei e anche con molti familiari delle vittime. Deplorano decisamente l’azione di Via Rasella.

R.: Non lo metto in dubbio, però ci sono molti altri che non la deplorano, tanto è vero che Lei sa probabilmente che il 1° marzo di quest’anno, proprio sulla base di un’iniziativa presa da un gruppo di ebrei romani, io ho partecipato con dei discorsi ad un dibattito su Via Rasella a cui ha aderito anche la Comunità Israelitica di Roma.

D.: Che vi aspettavate che potesse accadere dopo i 33 morti dell’attentato? Che i Tedeschi avessero rinunciato alla rappresaglia come nei 13 casi precedenti?

R.: A prescindere dal fatto che noi questo problema non ce lo siamo posto: noi non ci aspettavamo né che facessero la rappresaglia, né che non la facessero. Sapevamo comunque che se avessero fatto una rappresaglia avrebbero subito, oltre la sconfitta militare che avevano subito in Via Rasella, anche una sconfitta politica – come è stato – gravissima.

Ma c’è di più. Il problema della rappresaglia noi ce lo siamo posto al principio, e non solo noi. Tutte le Resistenze di tutta l’Europa – Francia, Belgio, Norvegia, Olanda, Jugoslavia, Cecoslovacchia, Russia, Polonia, il problema della rappresaglia ce l’avevano ben presente.

Ecco, il discorso era questo: dovevamo accettare il ricatto? Noi ci siamo risposti di no, e sapevamo che queste azioni che noi portavamo a termine avrebbero potuto comportare delle rappresaglie.

C’é di più: quando si dice, come dicono molti che non sanno bene come vanno le cose, “ma non doveva essere fatta in città, doveva essere fatta fuori dalla città”, io invito coloro che dicono questo a farsi una passeggiata a 60 Km. da Roma, sul Monte Tancia, sopra Poggio Catino.

Sul Monte Tancia c’era una brigata partigiana che ha combattuto duramente contro i Tedeschi e che è stata sconfitta, in cui la maggioranza dei partigiani si è salvata la pelle perché 6 ragazzi, uno dei quali era un compagno che aveva fatto parte dei G.A.P. centrali, 6 ragazzi con una mitragliatrice si sono messi sulla cima del monte e hanno contenuto l’attacco della divisione Göring e di due battaglioni di Camicie Nere. Sono morti con la mitragliatrice.

Poi sono arrivati i Tedeschi e hanno scannato come vitelli una trentina di persone, donne, bambini e vecchi perché, visto che avevano ammazzato i partigiani, non c’era più nessuno.

D.: Si è detto molte volte che la notte tra il 23 e il 24 marzo, cioè prima che fosse compiuta la rappresaglia delle Ardeatine, Pietro Koch riuscì a catturare Franco Calamandrei, che però fu rilasciato perché non si riuscì ad identificarlo. Inoltre Pietro Koch riuscì a sapere anche il nome di battaglia di chi aveva acceso la miccia della bomba di Via Rasella. Come si sono svolti i fatti e quella notte come l’avete vissuta?

R.: Guardi, questa è una cosa che io per la verità tra le tante sciocchezze… dello sciocchezzaio intorno a Via Rasella questa cosa non l’avevo sentita mai.
Calamandrei non fu arrestato quella notte, e i Tedeschi e i fascisti fino a quando non presero Blasi non capirono mai com’era avvenuta l’azione di Via Rasella. Non l’hanno mai capito. Hanno parlato di bombe di mortaio sparate dal Quirinale, hanno parlato di un ordigno lasciato cadere da una finestra di Palazzo Tittoni, hanno parlato di tutto ma non hanno mai saputo come è avvenuta la dinamica di Via Rasella. Gliel’ha raccontato Blasi, e Blasi poté dire soltanto il mio pseudonimo perché non sapeva come mi chiamavo, e disse che era Paolo, studente in medicina. Però fece arrestare Calamandrei e Salinari, tanto è vero che Koch pagò un milione di lire a quelli che avevano arrestato Salinari e poi disse a Salinari: “Ecco, c’è pronto un milione per te se mi dici chi è Paolo”, se mi dici chi è Paolo, non come prenderlo. E Salinari gli sputò in faccia, e poi lo pestarono. Lo pestarono di botte, lo massacrarono Carlo.

D.: Quand’è che fu arrestato Blasi?

R.: Blasi è stato arrestato... Blasi è stato preso dai Tedeschi verso la fine di aprile, i primi di maggio, non mi ricordo... verso la fine di aprile.
Poi, dopo prese contatto con il Questore Caruso al quale raccontò tra l’altro, per farsi credito… che noi stavamo preparando un attacco alla sua abitazione, che sapevamo gli orari, dove mangiava, dove usciva, con chi andava, ecc. ecc. Blasi era uno di quelli che con noi aveva fatto questa azione di individuazione e di studio per eliminare questo personaggio terribile. Ora, questa cosa gli dette credito.

Poi Calamandrei, arrestato insieme a Salinari, fu portato alla Pensione Iaccarino in Via Romagna, evidentemente non era ben sorvegliata perché riuscì a scappare dalla finestra del bagno. Così venne ad avvertire il Comando: “Badate che Blasi ha tradito” disse, perché Blasi, quando si è presentato da Salinari e dagli altri compagni che poi ha fatto arrestare, Raul Falcioni, Duilio Rigioni... si è presentato come uno che era riuscito a farla franca, e invece aveva i fascisti intorno che arrestavano man mano che lui si allontanava.
Calamandrei ci avvertì, perché se io avessi incontrato Blasi gli sarei andato incontro – io non lo conoscevo come Blasi, ma come Guglielmo – gli sarei andato incontro: “Oh, bravo, te la sei cavata”, però, avvertiti che fummo, se incontravamo Blasi gli sparavamo, ovviamente.

D.: Quella notte come la trascorreste?

R.: Ma, io... ci dividemmo. Non tornai al deposito di Via Marc’Aurelio. Carla, io, Giulio Cortini e la moglie fummo ospitati da una signora ebrea che era la moglie di un grande eroe della Prima Guerra Mondiale, Medaglia d’Oro, che era stato tra l’altro anche un quadro fascista, che però era morto qualche anno prima. Il fatto di essere stato Medaglia d’Oro e quadro fascista non aveva esentato sua moglie e i suoi figli dalla persecuzione antiebraica, comunque era una casa che ci sembrava abbastanza tranquilla. E lì passammo la notte; ricordo, c’era la foto del marito, giovane ragazzo, era chiamato il Caimano del Piave, era uno di quelli che… col coltello fra i denti attraversava il Piave a nuoto, andava dall’altra parte e colpiva a pugnalate gli austriaci di guardia dall’altra parte del Piave, era un Ardito. Stemmo lì, dove c’erano tra l’altro tutti i ricordi di questo personaggio straordinario così coraggioso, così patriotticamente importante, in questa specie di sacrario. Passai fino alle tre, le quattro del mattino a giocare a scacchi con il figlio di questo eroe della Prima Guerra Mondiale.

D.: Come si chiamava?

R.: Ma, non c’è bisogno.

D.: Senta, Lei ha conosciuto Massimo De Massimi?

R.: Mai.

D.: Eppure questo signore ha pubblicato su un giornale che si chiamava “Italia Monarchica”, nel ’49 un articolo... oppure, ha pubblicato una testimonianza che La riguarda.

Lui afferma che la notte tra il 23 e il 24 marzo Lei, insieme a Carla Capponi e Calamandrei, sia stato ospite di casa sua...

R.: Questo è un mentitore che sa di mentire.

D.: ...e dice anche delle cose che risulterebbero un po’ compromettenti.

R.: La so la storia. Ma guardi che questo è un mentitore che sa di mentire, e su queste cose, in questi cinquant’anni, su questa cosa me ne sono capitati tanti mentitori che sanno di mentire.

Le posso raccontare che queste cose mi sono capitate anche prima, e cioè nel corso della Resistenza. Quando stavo a Palestrina – dopo il tradimento di Blasi io fui mandato a comandare i reparti partigiani di Palestrina – mi è capitato di conoscere due Carabinieri che mi raccontarono come avevano fatto l’azione di Via Rasella.

Ho letto su alcuni libri di gente che dice di ricordare delle cose completamente false su questo problema.

E Le potrei dire di più, che una mia amica, una persona di altissimo livello culturale, e che ha vissuto quei fatti in qualche modo insieme a noi, anche se non faceva parte dei G.A.P., arriva addirittura a dire – questo fra l’altro fa riflettere sulla verità di certe testimonianze – e non lo dice in malafede, guardi, lo dice in perfetta buonafede, arriva addirittura a dire di aver letto lei i manifesti con cui Kesserling chiedeva a quelli che avevano fatto l’azione di Via Rasella a presentarsi, noti che questo è stato smentito. Oltre ad essere impossibile, perché l’azione di Via Rasella è avvenuta alle alle 15.45 del 23, e la rappresaglia è cominciata alle 14.00 del 24, quindi non c’era proprio il tempo materiale perché fosse emesso un qualsiasi comunicato. Ma racconta di averlo letto lei, e badi che è stata smentita sia da Kesselring, sia da Kappler, i quali hanno detto che il manifesto non l’hanno messo, e non hanno voluto avvertire dopo quell’azione perché – ha detto Kappler testualmente – Roma era una città esplosiva.

Tra l’altro questa è una risposta a quella sua prima domanda, che chiedeva se Roma era una città tranquilla, tutt’altro che tranquilla. Kappler disse: “Roma era una città esplosiva, e non sapevamo che cosa potesse venir fuori se avessimo annunciato la rappresaglia”, per cui la rappresaglia è stata fatta nella più grande segretezza.

D.: Senta, però la Stazione Radio Roma 3 trasmise la richiesta agli attentatori di presentarsi...

R.: Non è vero, non è vero. E’ falso. Questa è un’altra sciocchezza inventata da un sacerdote dei Salesiani che è stata pubblicata sulla Stampa di qualche mese fa, e a cui ho fatto una rettifica, e il Salesiano non mi ha risposto.

D.: Senta, si ebbe...

R.: La notizia dell’azione di Via Rasella e della rappresaglia avvenuta è stata data dalla Stefani la sera del 24, a rappresaglia avvenuta, cioè dopo le 8.00, perché la rappresaglia finiva alle 8.00 di sera, ed è stata pubblicata dai giornali del mattino a mezzogiorno, perché allora i giornali uscivano a mezzogiorno in quanto, essendoci il coprifuoco, i tipografi non potevano andare la notte a stampare il giornale.

Quindi, niente, Le garantisco che ci si può fare un volume alto così sullo sciocchezzaio che è stato raccontato e detto intorno a Via Rasella.

D.: Senta, però mi è stato detto, a proposito della testimonianza di Massimo De Massimi, che Lei non ha contestato questa cosa con…

R.: Ma, guardi, io non ho mai… io non ho mai saputo che Massimo De Massimi parlasse di me, so che parlava di Calamandrei.

D.: Sì, ma anche di Lei.

R.: Ma, in ogni caso io Le posso dire anche il nome di dove stavo, non lo voglio dire per delicatezza nei confronti delle persone che mi hanno ospitato, perché… Comunque erano degli ebrei. Molto famosi. Molto, molto famosi.

D.: Senta, su qualche libro si accennerebbe alla possibilità che il Vaticano abbia saputo della rappresaglia che si stava organizzando, e non abbia potuto fare molto per evitarla…

R.: Guardi, su questa questione… Non c’è dubbio che sugli atti della Santa Sede… se vuole glieli faccio vedere, perché ce li ho. Sugli atti della Santa Sede c’è scritto che un certo Ing. Ferrero è stato alle dieci e un quarto in Vaticano, alle dieci e un quarto, cioè la mattina del 24, alle dieci e un quarto, al Vaticano per avvertire che ci sarebbe stata la rappresaglia, e di questo non c’è dubbio.
E’ possibile che Pio XII non sia stato informato di questo fatto.

Ma c’è di più. C’è stata una biografia di Pio XII, scritta da Antonio Spinosa, il quale continua a sostenere che Pio XII non sapesse niente, e trasferisce quella data, 24 marzo, ore 10.30, pubblicata dalla Santa Sede, dagli atti della Santa Sede, al 25 marzo, ore 10.30, probabilmente, e involontariamente, commettendo un falso storico.

Se fosse vero quello che dice Spinosa, beh, non c’è dubbio, l’annuncio sarebbe arrivato il 25. Ma la Santa Sede dice che l’annuncio è arrivato il 24 marzo, e quindi l’ipotesi corrisponderebbe ad una qualche realtà.

Io non credo assolutamente che il 24 marzo l’annuncio non fosse stato dato al Papa.

C’è di più. Questo episodio è stato riportato in un romanzo americano, mi pare si chiami “Cent’anni”, o “Un secolo”, in cui l’autore americano, raccontando bene, con sufficiente abbondanza di particolari, l’azione di Via Rasella, perché poi introduce tra i martiri delle Ardeatine uno dei suoi personaggi, che per altro non corrisponde ai nomi dei caduti delle Ardeatine, racconta anche con sufficiente verosimiglianza, e quindi l’informazione può averla avuta, così come aveva avuto l’informazione corretta dell’azione di Via Rasella e della strage delle Ardeatine, racconta con sufficiente verosimiglianza lo stato d’animo del Vaticano in quella sera tra il 23 e il 24. Se vuole glielo faccio vedere.

Io ho saputo dell’avvenuta rappresaglia il 24 marzo alle ore 12.00 quando davanti al giornale “Il Messaggero” ho comperato il giornale e ho letto il comunicato dei Tedeschi in cui si diceva appunto “Quest’ordine è già stato eseguito”. In quel momento l’ho saputo.

La nostra reazione. Ci arriva l’ordine del Comando Militare di preparare subito una risposta alla rappresaglia, e noi la prepariamo. E avevano preparato l’attacco al reparto di polizia che faceva la guardia a Regina Coeli di cui conoscevamo il passaggio dei camion per le vie di Roma.

Eravamo già pronti per fare l’azione e all’ultimo momento ci è venuto il contrordine che l’azione non si doveva più fare.

D.: Perché?

R.: Beh, probabilmente proprio perché si era creata una certa polemica all’interno del CLN, cioè il CLN aveva deciso di non fare la rappresaglia che peraltro era già stata ordinata dal nostro Comando.

D.: … fare?

R.: No, di non fare l’azione… Noi dovevamo fare l’azione di risposta alla rappresaglia attaccando un camion e facendo fuori i Tedeschi che stavano dentro questo camion.

D.: Ma l’Articolo 29 della Convenzione dell’Aja non affermava che era proibito attaccare uomini in divisa di un esercito senza avere una divisa e far parte di un altro esercito, e che azioni di questo tipo comportavano poi la rappresaglia con uno a dieci ?

R.: Guardi, due cose: primo, sì, esiste questo articolo e lo sapevamo, e lo so. Si trattava di dire che non dovevamo fare la Resistenza. Le rappresaglie… quell’Articolo indica anche come devono essere fatte le rappresaglie, e non è stato questo il modo in cui l’hanno fatta i Tedeschi.

Difatti, si dice in genere che Kappler è stato condannato soltanto per 5 uomini in più che ha ammazzato.

Non è esatto. Kappler è stato condannato per i 5 uomini in più non perché i 330 corrispondessero al diritto di rappresaglia, ma perché, essendosi egli appellato al fatto di aver eseguito un ordine, l’ordine era che ne uccidesse solo 330, mentre invece ne aveva uccisi 335. Quindi non c’è stato il riconoscimento della legittimità dell’ordine, ma il fatto che lui ha sopravanzato l’ordine stesso.

D.: Aveva sbagliato Caruso che ne aveva fatti consegnare 55 invece di 50.

R.: Aveva sbagliato Priebke, che non aveva tenuto i conti, avevano sbagliato tutti, però l’ergastolo se l’è beccato Kappler.

Kappler è stato condannato all’ergastolo per quei 5 in più, quei 5 in più in quanto, essendosi egli appellato al fatto di aver avuto un comando gerarchicamente valido e a cui non si poteva sottrarre, aveva fatto 5 morti in più.

Però, responsabilità è anche di Pribke, è anche di Caruso e di quant’altri non ha tenuto bene i conti…

Comunque, un’altra cosa è importante per quanto si riferisce al diritto di rappresaglia… Il diritto di rappresaglia deve essere specificato nei confronti di azioni dicendo: “Questi sono gli ostaggi”, non “Dieci italiani per ogni tedesco”, ma “Questi sono gli ostaggi che noi abbiamo individuato se accade questo”, questo precisa… l’Articolo 29 della Convenzione Internazionale dell’Aja.
Io ho visto dei manifesti fatti affiggere da comandi germanici che si erano mantenuti nell’ambito della Legge dell’Aja, per esempio a Faenza, recentemente, nel museo della Resistenza che sta ad Altocielo, in una località di montagna sopra Faenza dove c’è stata una grossa battaglia partigiana, ho visto questo manifesto in cui il comandante tedesco dice: “Signori, io non voglio più attacchi alle truppe tedesche, per cui gli abitanti del tale villaggio, o del tale paese che… nel caso avverrà un attacco… saranno fucilati”. Cioè, faceva riferimento al gruppo degli ostaggi, non genericamente dieci italiani per ogni tedesco, ma al gruppo degli ostaggi e al tipo di azione di sabotaggio che avrebbe provocato questa rappresaglia.

In riferimento alla rappresaglia, devo precisare che von Keitel, comandante generale dell’esercito tedesco, è stato condannato al processo di Norimberga, condannato a morte anche per questo episodio, che faceva parte dei capi di imputazione che gli erano stati addebitati.

E sul problema della rappresaglia voglio citare una frase della sentenza del processo di Norimberga: “La rappresaglia di guerra contro le popolazioni civili, contro prigionieri di guerra o persone comunque detenute estranee ai fatti, contro città o villaggi inermi, è un crimine contro l’umanità” e, la sentenza prosegue: “Per un principio morale superiore, ma anche di fronte alle leggi degli uomini, la responsabilità degli orrori di un’ingiusta rappresaglia di guerra ricade solo ed esclusivamente su chi la commette. Essa disonora la divisa dei soldati che la compiono e addita al disprezzo e alla esecrazione la bandiera sotto la quale combattono. Essa umilia e sconfigge in primo luogo la loro stessa gente”. Questo ha sancito in modo inequivocabile il tribunale di Norimberga.

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