di Michele Giorgio – Il Manifesto
Re Abdallah di Giordania ha
riservato un’accoglienza sontuosa a re Salman dell’Arabia Saudita al
suo arrivo due giorni fa ad Amman. Spari di cannoni, guardie a dorso di
cammello, inni solenni, bandiere e ancora altro. Non sorprende. Re
Salman detterà legge al vertice annuale arabo che si apre oggi sul Mar
Morto. Ed è uno dei principali sostenitori finanziari della Giordania,
che resta a galla grazie anche ai suoi petrodollari.
I due sovrani hanno firmato un accordo per un fondo comune
d’investimento da tre miliardi di dollari e altre 15 intese economiche e
finanziarie. Da questa mattina però sulla sponda giordana del Mar Morto
si parlerà soprattutto di politica.
Ieri sono cominciati ad affluire gli altri leader che
prenderanno parte all’incontro. Neanche quest’anno ci sarà il presidente
siriano Bashar Assad, cacciato dalla Lega araba per ordine dei monarchi
del Golfo. Re Abdallah in verità lo avrebbe accolto volentieri. Re
Salman si è opposto e ha minacciato di boicottare il vertice
costringendo Amman a fare un passo indietro. Ci sarà invece il
presidente sudanese Omar al Bashir, ricercato per crimini di guerra.
I ministri degli esteri hanno già preparato il documento che dovrà essere firmato dai capi di stato sui nodi principali: la
crisi siriana, la questione palestinese, la guerra civile yemenita con
l’intervento militare saudita, la lotta allo Stato islamico in Iraq e,
naturalmente, lo scontro con l’Iran sul quale insiste Riyadh.
La ricerca dell’unità è la sfida principale e le possibilità di
successo sono scarse. Il rischio perciò è anche questo summit si
concluda con una dichiarazione rituale. «Il risultato sarà più o
meno lo stesso dei vertici passati – prevede l’analista giordano Uraib
al Rintawi – Gran parte dei leader sono presenti ma non prenderanno
decisioni per risolvere i problemi e le guerre del mondo arabo. Sull’appoggio ai palestinesi ci sarà qualche passo in avanti ma nulla di più».
La questione israelo-palestinese comunque sarà in primo piano.
Il vertice dichiarerà la contrarietà araba al trasferimento
dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme annunciato da Trump. I
palestinesi non presenteranno un loro piano, piuttosto si opporranno a qualsiasi emendamento all’iniziativa di pace araba approvata a Beirut 15 anni fa. Nell’aria
si avverte la vicinanza tra Israele e alcuni leader arabi, in testa a
tutti re Salman, e i palestinesi temono un ammorbidimento del piano
arabo che prevede un accordo di pace regionale in cambio del
ritiro totale di Israele dai territori che ha occupato durante la guerra
del 1967.
I leader arabi non useranno toni da battaglia contro Israele e allo
stesso tempo non cambieranno approccio nei confronti dello Stato
ebraico. Ne è convinto Oded Eran, analista dell’Istituto per gli Studi
Strategici di Tel Aviv (Inss). «È improbabile che questo vertice faccia
delle aperture vere a Israele – ha detto Eran al manifesto – sin dal
summit del 2002 la condizione posta è quella dell’accettazione
dell’iniziativa di pace araba che il governo israeliano in carica non
farà in nessun caso».
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