Fra i compiti della struttura statunitense Joint Special Operations Command, ricordati di recente – dalla ‘guerra al terrore’ di bushana memoria alla ‘rivoluzione obamiana’ che ha intrecciato iperinterventismo e uscita – si collocano le missioni particolari, effettuate con caccia e droni. La specializzazione ha ricevuto molte contestazioni da parte delle stesse Nazioni Unite per gli scellerati massacri di civili, colpiti nonostante il mantra delle “operazioni chirurgiche mirate”. Un esempio particolarmente insanguinato riguarda i territori di confine fra Afghanistan e Pakistan, le aree tribali denominate Fata, che vedono un’alta presenza di taliban, anche perché costoro cercano di reclutare giovani nei tanti campi profughi sorti in quelle terre e sempre arricchiti da nuovi flussi di sfollati da zone dove il conflitto è cronico. La Central Intelligence Agency, che suggerisce e supervisiona simili operazioni, definisce ‘ibrida’ un’attività rivolta alla sorveglianza e agli attacchi militari. Entrambi iniziati in sordina, e per lungo tempo né negati né ammessi dalle istituzioni statunitensi militari e politiche. Ma dal 2004 i sorvoli sui cieli delle Fata e i bersagli da colpire sono divenuti crescenti, si rivolgevano ai gruppi dei Tehreek-e Taliban pakistani, che in quella fase non erano affatto interessati alle questioni afghane.
Alcuni studi del Bureau of Investigative Journalism, che si sta occupando del fenomeno combattentistico dei TTP dalla fase dei loro crudelissimi attentati del 2014-16 (scuola di Peshawar, chiese cristiane e parco giochi di Lahore) fino all’uccisione del neo leader Mansour in Baluchistan, sostengono che il crescendo stragistico talebano sia un effetto-ritorsione proprio per i continui massacri operati sulla popolazione civile. Anche gli omicidi mirati destabilizzano non poco il quadro geopolitico e gli stessi rapporti diplomatici: l’eliminazione di Mansour era fortemente osteggiata da Islamabad, che ovviamente pensava alla sua sicurezza interna, messa in ginocchio dagli eventi seguenti. Il governo pakistano vorrebbe una compartecipazione a certe decisioni, chiede che si evitino gli attacchi clamorosi e avverte Washington dell’effetto boomerang che viene innescato dal puntare il mirino sui TTP o sui miliziani di Haqqani. La Cia se ne infischia dei consigli. Lo fece durante le gestioni di Panetta e Petraeus, l’ha continuato a fare con Brennan, che ha supportato e incrementato il ‘piano droni’ ordinato da Obama. Un programma zeppo di contraddizioni, con buchi informativi casuali o voluti ed effetti devastanti sulla popolazione di ciascuna area geografica interessata. Anche quando il piano ha trovato ulteriori applicazioni in Yemen e Somalia i “danni collaterali” sono risultati copiosi e naturalmente odiosi. Ma alla Casa Bianca se ne infischiano, e Trump fa pensare che la musica proseguirà. La superficialità e gli errori commessi in talune operazioni di Intelligence si trasformano in colpi portati su obiettivi sbagliati.
A questi s’aggiungono uccisioni immotivatamente allargate. Ci riferiamo sia ai casi in cui non si va tanto per il sottile e per colpire un bersaglio importante si fanno fuori anche i miliziani o le guardie del corpo che l’accompagnano, sia ad altre situazioni in cui si spara nel mucchio, eliminando chi ha la sfortuna di trovarsi nel momento sbagliato nel luogo sbagliato e finisce sulla linea del fuoco. Operazioni tutt’altro che chirurgiche diventano automaticamente stragiste. Il passo successivo è quello di nascondere, per quant’è possibile, i danni e sottostimare il numero delle vittime. Il sistema coinvolge buona parte dei media mainstream, seppure in certi casi non tutti, e punta alla disinformazione o all’informazione pilotata che, nel caso dei droni, cavalca la storia della precisione tecnologica del mezzo. Notizia in gran parte vera, peccato non si entri nel merito alla cruda realtà degli eccidi di civili. Questi portano acqua alla causa fondamentalista che, ad esempio, nelle Fata trova linfa fra i giovani diseredati che sentono l’angosciosa condizione di vivere sotto un cielo portatore di morte. Eppure questa sembra la via “antiterrorista” del futuro. Tutte le maggiori potenze si dotano di droni e c’è chi si chiede se si giungerà a loro utilizzo per colpire quelli nemici. Sicuramente si eviterebbero le perdite di piloti, non dei bersagli fissi e mobili. Comunque con un fare assai soft, perché, come ebbe a dire il principino Harry, che da pilota ha servito la Corona in Afghanistan nel biennio 2007-2008: “Sparare ai talebani coi droni è proprio come un videogame”.
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