di Michele Giorgio – Il Manifesto
Non ci vuole molto ad
immaginare lo sdegno, oltre all’allarme e alla paura, che susciterebbe
un attacco di centinaia di miliziani di al Qaeda ad una città
occidentale. Sono ancora negli occhi di tutti le scene degli attentati
negli Stati Uniti nel 2001 e in tempi più recenti a Parigi, Bruxelles,
Nizza e Berlino dove hanno colpito militanti dell’Isis parente stretto
di al Qaeda. Invece è passata quasi inosservata la massiccia
offensiva lanciata nei giorni scorsi contro la capitale siriana Damasco
da Hay’at Tahrir al Sham (Hts, Assemblea per la Liberazione del
Levante), la coalizione di forze jihadiste guidata da Fateh al Sham (an
Nusra) e che risponde agli ordini di Ayman Zawahri, il leader di al
Qaeda.
Si è trattato dell’attacco più ampio portato contro Damasco negli
ultimi cinque anni ma ha trovato spazio solo in qualche articolo su
pochi quotidiani. Non sorprende. Per governi e media occidentali al
Qaeda è terrorista in Europa e Stati Uniti e “forza di liberazione” in
Siria.
Ieri l’esercito siriano è riuscito a riprendere il controllo
delle aree intorno a Jobar e Qaboun, da dove è scattato il
piano dei qaedisti. Tra sabato e domenica però le truppe
governative sono state prese alla sprovvista dall’attacco che ha visto
l’impiego di auto imbottite di esplosivo, l’utilizzo di tunnel
sotterranei e lanci di razzi e colpi di mortaio su aree centrali della
capitale. I morti negli scontri a fuoco sono stati decine.
L’offensiva della Hay’at Tahrir al Sham è stata appoggiata dagli alleati di Ahrar al Sham e da decine di uomini della fazione indipendente Failaq al Rahman.
È dovuta intervenire la Guardia repubblicana, appoggiata
dall’aviazione, per respingere le forze di al Qaeda. Nella capitale
siriana si è rivissuta la tensione dell’estate 2012 quando, dopo un
potente attentato al quartier generale delle forze di sicurezza, i
“ribelli” occuparono per alcuni giorni diversi quartieri e sobborghi nel
tentativo di dare una spallata” a Bashar Assad, prima di essere
costretti al ritiro. Da allora tante cose sono cambiate. Il presidente
ora è molto più forte, può contare sull’appoggio della Russia e
sull’aiuto all’esercito governativo da parte di migliaia di combattenti
sciiti iraniani, libanesi e afghani.
L’attacco a Damasco compiuto dalla joint venture di al Qaeda era
stato in qualche modo annunciato il 17 marzo, con un video postato in
rete, da Abu Jaber (Hashem al Sheikh), l’ex capo di
Ahrar al Sham scelto come coordinatore e portavoce della Hay’at Tahrir
al Sham. Abu Jaber, teorico del cosiddetto “jihad popolare”, ha invocato
l’unità di tutti i miliziani islamici. Quindi ha annunciato che
Hts avrebbe lanciato nuove operazioni armate e ricordato gli attacchi
«nel cuore delle fortificazioni» del nemico, ossia gli attentati con
decine di morti – uno dei quali a siti religiosi sciiti – compiuti a
Damasco nei giorni scorsi. Abu Jaber ha usato buona parte del
video per esortare i sunniti a prendere le armi contro gli sciiti e il
«nemico persiano» (l’Iran).
La nuova escalation di attacchi e violenze avviene mentre continuano i
colloqui tra Assad e i mediatori russi sulla nuova carta costituzionale
e per l’avvio di un processo politico in Siria. Mosca ha anche
raggiunto un accordo con le Unità di Protezione Popolare (Ypg) che
prevede la presenza di militari russi nella zona della città di Afrin
dove organizzeranno l’addestramento del forze kurde.
Israele intanto alza la voce con la Siria. Il ministro della
difesa Lieberman ha avvertito che lo Stato ebraico distruggerà il
sistema di difesa antiarea della Siria se cercherà di nuovo di
respingere i raid dell’aviazione israeliana in territorio siriano, come
ha fatto nei giorni scorsi. L’incidente è stato considerato il
più grave tra i due Paesi dall’inizio della guerra in Siria. Alza il
tiro anche il capo di stato maggiore israeliano Gadi Eisenkot che ha
esteso all’intero Libano la responsabilità della situazione poiché non
farebbe nulla di concreto per bloccare il passaggio di armi in corso,
secondo Tel Aviv, dalla Siria a Hezbollah.
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