di Michele Paris
A due anni esatti dall’inizio dell’aggressione militare saudita
contro lo Yemen, il governo americano di Donald Trump starebbe valutando
la concreta possibilità di aumentare il proprio impegno a fianco degli
alleati del Golfo Persico in un conflitto che ha già ridotto al disastro
il paese più povero del mondo arabo.
La stampa americana ha
infatti rivelato l’esistenza di un piano allo studio del Pentagono per
cancellare le restrizioni stabilite dall’amministrazione Obama all’uso
della forza militare in Yemen a sostegno dello sforzo bellico
dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti.
La precedente
amministrazione Democratica aveva comunque avallato un’impresa criminale
condotta principalmente dai propri alleati, partecipando al conflitto
tramite la fornitura di armi alle forze armate saudite e degli Emirati.
Allo stesso tempo, Washington ha assicurato a queste ultime informazioni
di intelligence per facilitare l’individuazione di obiettivi da colpire
durante incursioni aeree che interessano frequentemente edifici e
strutture civili.
Ciò che intende fare ora l’amministrazione
Trump è andare oltre le iniziative di Obama, assegnando maggiore libertà
ai militari americani nella conduzione di un conflitto nel quale fino a
pochi mesi fa il governo USA aveva cercato di limitare il proprio
impegno, visto il potenziale destabilizzante per la regione e il
continuo ripetersi di episodi cruenti facilmente identificabili come
crimini di guerra.
Oltre a garantire il sostegno logistico e di
intelligence ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi, gli Stati Uniti erano
intervenuti finora in Yemen anche nel quadro delle operazioni
“anti-terrorismo”, colpendo prevalentemente con i droni presunti membri
dell’organizzazione fondamentalista “Al-Qaeda nella Penisola Arabica “
(AQAP).
Anche su questo fronte, peraltro, l’accelerazione imposta
dall’amministrazione Trump ha già lasciato il segno, come conferma
un’operazione condotta alla fine di gennaio dalle forze speciali USA che
aveva provocato una trentina di morti, tra cui un numero imprecisato di
donne e bambini.
Il maggiore coinvolgimento americano nella
guerra in Yemen rientrerebbe nel processo di revisione della strategia
USA in questo paese e che sarà ultimato solo nelle prossime settimane.
La notizia di questi giorni riguarda per il momento una proposta che il
segretario alla Difesa, generale James Mattis, avrebbe presentato alla
Casa Bianca per dare il via libera alla partecipazione dei militari
statunitensi a un’operazione guidata dagli Emirati Arabi e destinata
alla conquista della città portuale di Hodeida, attualmente controllata
dai ribelli sciiti Houthi.
Questa località si affaccia sul Mar
Rosso ed è il principale punto d’ingresso nel paese sia degli aiuti
umanitari sia delle forniture destinate agli Houthi. Hodeida è da tempo
al centro delle mire degli Emirati, poiché soprattutto da qui gli Houthi
metterebbero in pericolo la “libertà di navigazione” nella via d’acqua
che separa la penisola arabica dal continente africano.
Già lo
scorso mese di ottobre, gli Stati Uniti erano stati protagonisti di una
rara operazione militare direttamente contro gli Houthi. Questi ultimi
erano stati accusati di avere lanciato missili contro la nave da guerra
americana “Mason”, di cui almeno uno proveniente proprio da Hodeida.
Il
fatto che il primo passo verso un possibile allargamento dell’impegno
militare USA abbia come teatro quest’area dello Yemen testimonia
dell’importanza strategica del tratto di mare che collega il Mar Rosso
con il Golfo di Aden e quest’ultimo con l’Oceano Indiano. Da qui
transita infatti una quota consistente dei traffici mondiali, in
particolare quelli relativi ai prodotti petroliferi.
L’interesse
delle potenze regionali e di Washington per un paese impoverito come
Yemen dipende in generale proprio da questo fatto e ciò si intreccia con
il ruolo che viene attribuito all’Iran nel sostenere la ribellione
degli Houthi.
Gli Stati Uniti e le monarchie assolute del Golfo
continuano a puntare il dito contro la Repubblica Islamica, responsabile
di volere estendere la propria influenza sullo Yemen, alimentando
parallelamente il sentimento anti-sunnita. Con ogni probabilità, il
ruolo di Teheran in Yemen descritto da Riyadh è però decisamente
esagerato, ma l’amministrazione Trump ha da subito sposato la versione
saudita, nel quadro della promessa di annullare i timidi passi fatti
dall’amministrazione Obama verso una relativa distensione dei rapporti
tra USA e Iran.
Gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita avevano più
volte chiesto un maggiore impegno agli Stati Uniti nell’aggressione
contro lo Yemen, ma Obama aveva sempre limitato il contributo del
proprio paese. Le motivazioni dell’ex presidente non erano dovute a
scrupoli umanitari, viste anche le numerose stragi commesse negli ultimi
due anni e mai condannate da Washington, ma al tentativo di limitare al
minimo il coinvolgimento americano in un conflitto visto con orrore
dall’opinione pubblica internazionale, malgrado il sostanziale
disinteresse dei media.
Questi timori, e la possibilità sia pure
remota di un’imputazione per crimini di guerra, sembrano dividere anche
l’amministrazione Trump, nonostante l’allentamento delle restrizioni ai
militari americani in Yemen sarebbe coerente con iniziative simili già
prese dalla Casa Bianca in altri teatri di guerra internazionali. Fonti
governative citate dal Washington Post sostengono infatti che
all’interno dell’amministrazione Repubblicana ci sia “certamente un
ampio disaccordo” sulla nuova strategia yemenita.
Il conflitto in
Yemen era stato scatenato nel marzo del 2015 dall’Arabia Saudita per
fermare l’avanzata dei ribelli Houthi che nel settembre precedente
avevano preso possesso della capitale, Sana’a, costringendo alla fuga il
presidente, Abd Rabbuh Mansour Hadi. Gli Houthi denunciavano da tempo
la loro esclusione dal quadro politico del paese, creato grazie a un
accordo negoziato da Washington e Riyadh per mettere fine
all’instabilità seguita alle proteste popolari di massa del 2011.
Alle
questioni settarie, evidenti dalle rivendicazioni degli Houthi, si sono
poi sovrapposte le lotte di potere all’interno della classe politica
indigena. La rivolta degli Houthi aveva costretto alla fuga in Arabia
Saudita il presidente Hadi e il suo gabinetto, mentre a fianco dei nuovi
padroni dello Yemen si era schierato il deposto presidente, Ali
Abdullah Saleh, anch’egli ex burattino di Washington e Riyadh.
Dopo
due anni di guerra segnati da disparità apparentemente enormi tra le
parti in conflitto, gli Houthi continuano a conservare il controllo di
ampie parti del paese arabo. Non solo, l’aggressione saudita e i
numerosi massacri di civili che sono seguiti hanno consentito ai ribelli
sciiti di raccogliere consensi in fasce più ampie della popolazione
yemenita.
Proprio in coincidenza con il secondo anniversario
dell’inizio delle operazioni militari, domenica centinaia di migliaia di
manifestanti anti-sauditi si sono riversati nelle strade della capitale
per chiedere la fine dei bombardamenti. A conferma poi che il processo
di pace promosso dalle Nazioni Unite è ormai in uno stato comatoso, un
tribunale istituito dai ribelli Houthi ha decretato la condanna a morte
in absentia per alto tradimento del presidente Hadi in esilio e di altri
sei membri del suo governo.
La
guerra in Yemen continua anche a suscitare l’allarme di numerose
organizzazioni umanitarie, sia per i crimini commessi da entrambe le
parti sia per le condizioni di una popolazione allo stremo. Senza
dubbio, gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e i loro alleati che
partecipano alle operazioni militari hanno le responsabilità maggiori
delle stragi registrate in questi due anni e della situazione interna di
crisi assoluta. Washington, soprattutto, fornendo sostegno alle
monarchie del Golfo impedisce di fatto l’avvio di un serio negoziato di
pace, così come una qualche de-escalation delle violenze e l’accesso nel
paese di quantità adeguate di cibo, medicinali e aiuti umanitari.
Le
Nazioni Unite hanno definito l’emergenza in Yemen come la più grave tra
quelle odierne nel mondo, con milioni di persone senza accesso a beni
di prima necessità. Per l’organizzazione umanitaria Oxfam, una carestia
di massa è più che probabile nei prossimi mesi, dovuta soprattutto al
blocco navale imposto dall’Arabia Saudita, ufficialmente per impedire
che forniture di equipaggiamenti militari giungano agli Houthi.
Un
recente rapporto di UNICEF ha evidenziato infine come già oggi 2,2
milioni di bambini soffrano di “malnutrizione acuta” in Yemen e abbiano
perciò bisogno di urgente assistenza, mentre il numero di minori uccisi
nel conflitto è aumentato del 70% nell’ultimo anno. I dati ufficiali
parlano di oltre 1.500 bambini uccisi a causa della guerra, cui vanno
aggiunti 2.450 feriti o mutilati, 235 vittime di rapimento e più di
1.570 reclutati come combattenti.
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