UE e USA prendono le difese dei “bielorussi arrabbiati” che hanno manifestato ieri a Minsk. Punto. Potrebbe bastare questo a raccontare la situazione in Bielorussia dopo le manifestazioni del 25 marzo e poi paragonare la “difesa” di Bruxelles e Washington per il comportamento della polizia, sempre ieri, ma a Roma, nei confronti degli italiani arrabbiati.
Ma è doveroso fare un po' di cronaca. Ai cortei non autorizzati di ieri a Minsk (dimostrazioni non autorizzate erano in programma anche a Gomel, Grodno, Vitebsk e Brest), organizzati in occasione della “Giornata della libertà”, per l'anniversario dell'indipendenza della Repubblica popolare bielorussa nel 1918 e mescolatisi con quelli contro la cosiddetta “tassa sui parassiti”, la polizia è intervenuta con mano pesante. Da tempo si parla di tentativi di una majdan bielorussa e, sia che si pensi a una montatura di Aleksandr Lukašenko per chiedere soldi a Mosca, in un frangente economico tutt'altro che facile per Minsk, sia che effettivamente qualcuno a ovest sia al lavoro per una variante ucraina in Bielorussia, i pericoli seri per “bat'ka” Aleksandr Grigorevič non paiono per niente ipotetici.
Il presidente bielorusso parla da alcuni mesi del tentativo di qualcuno di servirsi dei manifestanti contro la “tassa sui parassiti”, quale massa di manovra per spingere verso qualcosa di più pericoloso e la settimana scorsa aveva denunciato Ucraina, Polonia e Lituania di addestrare allo scopo sabotatori – presumibilmente appartenenti alle organizzazioni “Legione Bianca” e “Fronte Giovanile” – da infiltrare in Bielorussia. Sembrerebbe un quadro abbastanza preciso, pur se ancora un po' confuso. Ma Bruxelles intende stabilire rapporti con Minsk “sulla base della supremazia del diritto”, mentre “gli atti della leadership bielorussa contraddicono gli obblighi della democrazia”: così recita il servizio stampa di “Lady Pesc” Federica Mogherini, in un comunicato che oggi sembra stilato su misura per il comportamento di ieri della questura romana.
L'ambasciata USA a Minsk ha preteso la liberazione dei 100 dimostranti fermati. Del resto, risulta che i loro colleghi a stelle e strisce a Roma avessero intenzione di pretendere la stessa cosa dal Viminale, per i 120 passeggeri degli autobus portati per alcune ore al centro di identificazione di Tor Cervara; poi però era già l'ora di cena e hanno lasciato perdere. D'altronde, perché scomodarsi per i “barbari” romani: nessuno di loro urlava, come ieri a Minsk, “Gloria all'Ucraina”, lo slogan dei filonazisti di OUN-UPA tornato in auge oggi a Kiev dopo il golpe del 2014. Come riportano i corrispondenti di Life.ru, vari gruppi di manifestanti, forse bielorussi, forse no, alternavano le preghiere per l'indipendenza della Bielorussia al canto dell'inno ucraino. Dunque, per Bruxelles e per Washington, se “bat'ka” Lukašenko vuol essere ammesso ai crediti europei, deve comportarsi alla maniera della “fraterna Ucraina” (sono parole sue, del resto) o, quantomeno, della polizia italica.
Una maniera che, al modo europeo, plaude agli attacchi terroristici, purché vengano portati dove fanno comodo. In Cecenia, ad esempio: alla “fraterna Rada ucraina”, ieri, dopo l'attacco dell'Isis alla caserma della Guardia nazionale stanitsa di Naurskaja, rivendicato dallo Stato Islamico, si è infatti ribadita “l'eterna fratellanza” tra banderisti di Kiev e terroristi wahabiti. Il solito (con rispetto parlando) deputato ed ex comandante del battaglione neonazista “Azov”, Igor Mosijčuk, ha omeliato ieri che l'Ucraina deve prestare il massimo sostegno ai terroristi ceceni in lotta contro la Russia. Come si deve rispondere “all'aggressione russa? Io ho la risposta: dobbiamo sostenere la lotta dei popoli liberi contro la Moscovia. Ieri sei insorti ceceni hanno attaccato una base russa; sei eroi sono morti...”. D'altra parte, Mosijčuk non è nuovo a simili prediche: lo aveva fatto nel 2014, anche allora a proposito di una strage di poliziotti ceceni da parte di terroristi islamisti, proponendo di stimolare azioni simili in tutta l'Asia centrale, per aprire più fronti ai confini con la Russia. E non è nemmeno l'unico. Altri (di nuovo, ci scusiamo per il termine) deputati della Rada hanno seguito il suo esempio in occasione dell'assassinio ad Ankara dell'ambasciatore russo Andrej Karlov; altri ancora per il Tu-154 precipitato nel mar Nero.
E comunque, come opportunamente ricorda Svobodnaja Pressa, già in occasione della cosiddetta prima guerra cecena, ancora negli anni '90, nazionalisti ucraini di UNA-UNSO combattevano dalla parte dei terroristi, guidati da quelli che oggi sono “rispettabili”, per Bruxelles e per Washington, esponenti della “libera Ucraina”: il capo di “Fratellanza” Dmitrij Korčinskij, il capo di “Svoboda” Oleg Tjagnibok e il fondatore di “Pravij sektor” Dmitrij Jaroš. E in ogni caso, il politologo Stanislav Byšok, ricorda come già nelle formulazioni di OUN-UPA degli anni '40, i movimenti separatisti caucasici (gran parte dei quali, al pari dei banderisti ucraini, schierati con gli hitleriani) fossero visti quali alleati naturali dei nazionalisti ucraini e di altri “nella lotta secolare contro Mosca”.
In questo senso, i neonazisti ucraini e gli islamisti ceceni non “contraddicono gli obblighi della democrazia” europeista.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento