di Michele Giorgio – Il Manifesto
Annunciata indirettamente
dal Segretario di stato Usa, Rex Tillerson, che ha esortato i paesi
alleati, durante l’incontro ieri con il premier iracheno Heider al
Habadi, «a fare di più» contro l’Isis, l’operazione dietro le linee
nemiche compiuta da 500 combattenti curdi appoggiati delle forze
speciali Usa, ha colto di sorpresa i miliziani dello Stato islamico.
Il blitz, con l’impiego di aerei Osprey capaci di atterrare in spazi
ristretti come un elicottero, è avvenuto a Tabqa, una cittadina della
provincia di Raqqa, la “capitale” dell’Isis in Siria. I curdi
hanno strappato all’Isis il controllo di quattro villaggi e interrotto
la strada che porta verso Aleppo, a ovest. Tuttavia Raqqa si trova a
decine di chilometri a est del luogo dove sono intervenuti curdi e
americani. L’obiettivo dell’operazione perciò è solo quello di mettere
le mani su quell’area, in preparazione dell’assalto finale a Raqqa.
L’operazione congiunta segna un nuovo passo verso un maggiore
coinvolgimento militare in Siria della nuova amministrazione Usa che,
come ha ribadito ieri Tillerson, considera la guerra all’Isis la
«priorità assoluta». A Mosul intanto gli uomini del Califfato resistono
alla pressione dell’esercito iracheno e la liberazione della città
appare ancora lontana.
Non lontano da quell’area, nella cittadina di Mansoura,
decine di sfollati siriani sono stati uccisi da un bombardamento aereo
della scuola dove erano ospitati. I morti sarebbero una quarantina e
l’Osservatorio per i diritti umani in Siria, vicino all’opposizione,
sostiene che è stato compiuto dalla coalizione a guida americana.
Silenzio da parte di Washington, responsabile appena qualche giorno
fa di un altro attacco aereo contro presunti «leader di al Qaeda» che
invece ha centrato in pieno una moschea facendo dozzine di vittime.
Nella scuola di Mansoura avevano trovato alloggio temporaneo una
cinquantina di famiglie fuggite dai combattimenti nella provincia di
Raqqa e da quelle di Homs e Aleppo.
Nel frattempo è definitivamente crollata la tregua proclamata alla
fine dello scorso anno e la Siria precipita in una nuova, ma non
inattesa, escalation militare innescata da jihadisti e qaedisti,
descritti come “ribelli” o “insorti” dai media occidentali. In
qualche capitale del Golfo qualcuno ha deciso di silurare i negoziati
avviati da russi e turchi ad Astana e dalle Nazioni Unite a Ginevra,
considerati «favorevoli» al presidente siriano Bashar Assad. I
miliziani della Hay’at Tahrir al Sham, la coalizione composta da al
Qaeda e dai suoi numerosi alleati, proseguono l’offensiva alla periferia
orientale di Damasco e ad Hama.
Qui i qaedisti e altri gruppi islamisti hanno raggiunto il villaggio
di Khatab, 10 chilometri a nord ovest della Hama. A Damasco Hay’at
Tahrir al Sham, che domenica aveva lanciato una prima offensiva respinta
dai governativi, martedì è ritornata all’attacco e ha occupato una zona
industriale della capitale.
Per ora i qaedisti guidati da Abu Muhammad al Julani, luogotenente di
Ayman Zawahri, il successore di Osama Bin Laden, resistono agli
attacchi aerei e al fuoco dell’artiglieria governativa. E a loro volta,
dal sobborgo di Jobar, lanciano razzi e colpi di mortaio verso la
capitale. In linea d’aria sono ad appena tre-quattro chilometri
dal quartier generale di Assad e domenica erano riusciti a colpire anche
un edificio dell’ambasciata russa. Decine di famiglie sono state
costrette ad abbandonare le loro case per sfuggire ai combattimenti.
Alla vigilia di una nuova sessione di colloqui tra governo ed
opposizione l’inviato speciale dell’Onu per la Siria Staffan De Mistura
ha descritto questi sviluppi come “allarmanti”. Un po’ poco di
fronte al negoziato che si sta sbriciolando. Tra i gruppi alleati di al
Qaeda nell’assalto della capitale infatti ci sono anche Ahrar al Sham e
Jaysh al Islam considerati “moderati” dall’Occidente e Mohammed Alloush,
leader di Jaysh al-Islam – fazione finanziata e armata dall’Arabia Saudita – è il capo negoziatore a Ginevra.
E se nei mesi scorsi, dopo la liberazione di Aleppo da parte
dell’esercito siriano, i “ribelli” si erano spaccati in due gruppi – i
presunti “moderati” favorevoli a discutere una soluzione politica e i
qaedisti considerati “terroristi” anche dagli Stati Uniti e non solo da
Mosca – adesso la frattura si è ricomposta. E la direzione
dell’orchestra jihadista “ribelle” appare saldamente nelle mani di al
Qaeda contraria a qualsiasi ipotesi di compromesso con «l’apostata»
Assad. Invece secondo l’editorialista Hussein Abdel Aziz, del quotidiano
saudita al Hayat, l’offensiva di Hay’at Tahrir al Sham non
sarebbe volta a far naufragare il negoziato bensì avrebbe solo lo scopo
di rafforzare l’opposizione ai colloqui a Ginevra ed Astana.
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