Nonostante la Questura di Roma avesse da settimane fomentato un clima terroristico impedendo di fatto qualsiasi partecipazione “extra-militante”; nonostante tutto il campo della sinistra compatibile abbia lavorato per delegittimare le ragioni del corteo contro le politiche criminali della Ue; nonostante l’universo mediatico, senza eccezione alcuna, abbia censurato qualsiasi ragione politica e aizzato ogni peggiore repulsione verso il corteo anti-euroliberista, la manifestazione di ieri si è imposta come principale fatto politico della stagione. Ha oscurato ogni altra manifestazione – dalle celebrazioni ufficiali alle ridicole sfilate europeiste – con la forza dei numeri: più di 10.000 lavoratori, migranti, precari e studenti hanno dimostrato la propria avversione alle politiche Ue in una Roma mai come ieri blindata oltre l’inverosimile. Un successo oltre le aspettative, tenuto conto del boicottaggio mainstream trasversale e politicamente unificante, che rendeva impossibile solidarizzare materialmente con la manifestazione. La lotta all’Unione europea, al liberismo intrinseco delle sue istituzioni, da ieri è all’ordine del giorno della sinistra antagonista: un passaggio decisivo e qualificante che ha avuto la forza di affermarsi contro tutti i tentativi di pacificazione interessati.
Se nei numeri possiamo dirci allora soddisfatti, sul piano più generale dei rapporti democratici e dell’agibilità politica l’atteggiamento del governo, della Polizia e della politica tutta segnano un punto di non ritorno di una gravità inaudita. Mai si era visto un corteo pacifico tagliato in due da cariche “preventive”. Mai si erano visti fogli di via comminati senza specifico reato contestato; mai si era assistito alla chiusura di ogni possibile manifestazione concreta di dissenso come ieri in piazza. E tralasciamo i pullman fermati nella mattinata, tenuti reclusi nel centro di identificazione di Tor Cervara e rilasciati a manifestazione finita, senza alcuna motivazione plausibile.
Il vertice europeista imponeva una gestione, per l’appunto, “europea” della piazza, ma ieri tutta – ripetiamo: tutta – la democrazia italiana ha segnato un passo indietro senza precedenti. Chi da oggi non denuncerà il livello repressivo messo in pratica ieri con la reclusione forzata e, ribadiamo, preventiva e immotivata, di un intero pezzo della manifestazione, non solo certificherà il carattere reazionario del proprio posizionamento, ma contribuirà attivamente alla chiusura di ogni possibile agibilità politica dei movimenti nei prossimi anni.
Ciò che è avvenuto ieri riguarda tutti, non solo le vittime dirette di un accanimento repressivo senza precedenti. E’ peraltro coerente con un’impostazione già in atto, e che vede nel decreto Minniti la formalizzazione di una gestione dell’ordine pubblico completamente “tecnicizzata” e quindi sottratta al confronto politico.
Un clima che impone una riflessione al di là delle differenze politiche, perché in gioco c’è la possibilità stessa di manifestare, di fare politica, di tradurre le proprie idee in pratica, e questo scavalca i posizionamenti e la frammentazione attuale.
Da ieri la lotta all’Unione europea riparte più forte di prima, ma il livello della democrazia sostanziale di questo paese ne esce con le ossa distrutte, ed è un problema collettivo e non dei soli manifestanti fermati.
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