Tra crisi del Movimento 5 Stelle, “de-politicizzazione” e sfida al governo dell’austerity.
La situazione di frammentazione della rappresentanza politica e di estrema fluidità nella composizione dei differenti poli che si candidano ad amministrare la Superba sono un interessante angolo visuale attraverso cui osservare gli attori politici italiani tout court nella delicata fase politica che stiamo attraversando.
Movimento 5 Stelle: crisi locale e progetto nazionale
Uno degli aspetti più rilevanti risulta essere il processo di “disintegrazione” del Movimento 5 Stelle, la cui ultima tappa è stata la delegittimazione da parte di Grillo e dello staff “pentastellato” del risultato delle consultazione telematiche – il discusso “Metodo Genova” – che avevano portato all’elezione di Marika Cassimatis come candidata sindaco.
Un risultato sorprendente in virtù del fatto che la metodologia di scelta utilizzata era stata concepita per “favorire” il candidato sindaco più vicino a Grillo e alla sua fedelissima locale Alice Salvatore, e “blindare” la selezione dei consiglieri, scelti in base alla preferenza espressa per il candidato sindaco. La rosa dei consiglieri eleggibili sarebbe stata selezionata tra chi avesse espresso la propria scelta per il candidato a primo cittadino con più preferenze.
Questa è la dimostrazione più palese che tra gli aventi diritti al voto, di cui una buona parte di militanti di vecchia data del Movimento, le tensioni più volte affiorate nel corso di queste settimane si sono tramutate in una vera “bocciatura” dell’operato della dirigenza.
L’attuale dirigenza era già stata minata dall’uscita di 4 consiglieri comunali che hanno formato un gruppo a parte: “Effetto Genova”, tra cui il capo-gruppo ed ex candidato sindaco Paolo Putti, e un consigliere regionale proprio il giorno della votazione (risultata negativa) della proposta di reddito minimo di cittadinanza avanzata dal Movimento.
Con un “colpo” di mano, dopo l’annuncio del mancato appoggio della dirigenza nazionale alla Cassamatis, si sono fatti votare tempestivamente gli aventi diritto a livello nazionale che si sono espressi per via telematica per Pirondini, stabilendo il fatto che la tanto sbandierata “democrazia interna” risulti una farsa e azzerando, anche sul piano dell’immaginario, l’ostentata differenza su cui si era in parte imperniata la narrazione del Movimento rispetto ai partiti usciti dalla Seconda Repubblica.
Sarebbe sbagliato attribuire ad una mera logica di scontro di potere locale la scelta della leadership nazionale “pentastellata”, e ancora maggiormente fallace pensare che si tratti solo di un colpo di testa di Grillo che vuole essere padrone di decidere autocraticamente le scelte politiche di fondo del Movimento, soprattutto se si tratta della propria città.
Alla base della scelta c’è probabilmente la volontà di proporsi come forza politica affidabile ad una parte importante di quel blocco di potere che potrebbe scegliere il M5S come opzione politica credibile che – liquidata la fase più “antagonista” – si sta accreditando a vari livelli come un competitor in grado di raccogliere il consenso di larghi strati popolari e di non impensierire troppo “i manovratori”, stabilendo una continuità di governo del Paese più orientata alle best practices a livello locale, che ad una prassi di “rottura”, e sostituendosi alla classe politica dirigente nazionale: l’odiata casta, incarnando l’ideale di onesti funzionari tendenti a non scalfire chi detiene le leve di comando nella “stanza dei bottoni”.
Ciò che può sembrare quindi una “suicidio politico” per il M5S è in realtà una scelta politica lungimirante, da un lato non vuole trovarsi più con anomalie locali che rischiano di non rispondere ai comandi del centro su temi dirimenti, dall’altro vuole incominciare a liquidare il personale politico e i contenuti espressi da una fase e da una parte del Movimento, ponendo una netta cesura storica con un passato definitivamente liquidato nella maniera più eclatante e irreversibile, preferendo amputare un arto “malato” per salvare un corpo sostanzialmente sano.
Il Movimento di Grillo potrebbe risolvere le attuali difficoltà di una parte della classe dirigente, offrendo un mix di consenso e governabilità che sembra mancare alle altre squadre in campo, come dire un output politico contrario a quella che sembra essere stata la strada imboccata da Podemos all’ultimo congresso, in cui la “destra” uscita sconfitta sembra – nelle tesi di fondo – molto simile all’attuale leadership del M5S.
La “contro-rivoluzione preventiva” di Grillo e dello Staff, sembra quindi trarre una lezione dallo sviluppo politico di Podemos e dal congresso di Vistalegre, impedire un processo di “radicalizzazione” conseguente alla politicizzazione dello scontro nella società che si riverbererebbe all’interno del Movimento con l’affermarsi di contenuti più avanzati – con una certa continuità con alcune delle istanze originarie del Movimento – e probabilmente una maggiore democratizzazione dei processi decisionali interni, riuscendo a governare il processo di mutazione politica, da forza di opposizione a credibile opzione di governo.
Per chi vi batte il cuore?
L’altro fattore di riflessione che interessa la situazione specifica del capoluogo ligure, ma che sembra affermarsi come trend più generale risulta essere il disinteresse sostanziale di una larga fetta della popolazione, per le convulsioni del quadro politico dato, compreso il M5S. Eccezion fatta per gli addetti ai lavori e quegli attori intermedi che vedono come fumo negli occhi la possibilità di perdere la rendita di posizione acquisita in questi anni di centro-sinistra grazie al sostanziale appoggio all’asse di potere del PD, il dibattito politico nei termini in cui si è dato, composizione degli schieramenti in campo e relativi scelte del candidato sindaco, non sembra infiammare i cuori degli abitanti della Superba, in particolar modo i ceti popolari.
Se questo processo è senz’altro da attribuirsi anche alla de-politicizzazione “sottocutanea” del corpo sociale, il centro del problema rimane il non intravedersi di una alternativa di rappresentanza politica in grado di porsi in “discontinuità” reale con il quadro esistente, restituendo al “primato della politica” la capacità di prendere decisioni che cambino in meglio il corso degli eventi. Nel mentre, assistiamo ad un esaurimento fisiologico della presa della narrazione “pentastellata” sulla casta e sul presentarsi come “unica alternativa a tutte le lobby”. Sembra essersi sgonfiata l’efficacia retorica del suo linguaggio politico alla luce delle varie vicissitudini del Movimento a livello locale e nazionale, e da quell’entusiasmo iniziale a cui fette consistenti di subalterni avevano guardato al M5S si è sostituito un disincanto, che si è sommato alla precoce disillusione patita dopo le speranze suscitate dal sindaco Doria, cominciando a guardare ai “pentastellati” più come al “meno peggio” che ai possibili fedeli interpreti delle proprie istanze. Fino ad ora la distanza tra “società” e “politica” è stata abissale, ed i pseudo dibattiti nei media mainstream non fanno che approfondire il solco tra una città che sta attraversando cambiamenti epocali e lo scarso appeal delle opzioni politiche in campo.
UE e governance locale
Un'altra riflessione che sarà oggetto di una argomentazione più organica nel prossimo intervento riguarda il campo delle forze che hanno costituito l’opposizione politico-sociale alla giunta Doria non afferenti alla galassia del Movimento 5 Stelle.
In questo campo si deve riscontrare una profonda incapacità nel ragionare sulla posta in gioco relativa alle prossime elezioni amministrative in un contesto di accelerazione dei processi trasformativi della città all’interno delle veloci mutazioni del sistema-Paese nella sua ormai decennale crisi.
Sembra che la riflessione politica abbia rimosso il fatto che le istituzioni locali siano i terminali decisionali di scelte politiche strategiche che “la cessione di sovranità” verso l’alto fa maturare all’interno dei centri di potere della UE.
Se l’Unione Europea è il cervello decisionale e i governi “nazionali” ne sono le articolazioni a livello di stato-nazione, i terminali nervosi sono proprio le amministrazioni locali.
Completamente non curante della geografia politica locale e delle esigenze di “bottega” dei suoi attori politici “provinciali” la gabbia della UE impone alcune scelte di fondo ed una matrice di potere che ha come imprinting culturale “totalitario” l’ordo-liberismo di matrice tedesca. Da questo ne consegue che anche l’istanza più periferica del potere centrale deve lavorare per il primato del “mercato” e la blindatura di ogni possibile ipotesi di redistribuzione della ricchezza sociale prodotta.
Da questa filosofia di governance nasce l’austerity che significa per una amministrazione rispetto del “patto di stabilità”, privatizzazione dei commons e del patrimonio pubblico in generale, desertificazione del welfare a discapito del privato che lucra sui bisogni primari.
Se questa “gabbia” non viene rotta e non si costruisce un progetto politico con una precisa agenda sociale, soprattutto quando le dinamiche dei flussi dei capitali e la gerarchia spaziale neo-liberista condannano un luogo ad essere, come cantavano gli Erode con le spalle al muro nelle terre di nessuno, le contraddizioni sociali esploderanno non in senso “verticale” dal basso verso l’alto, ma in senso “orizzontale” minando alla base qualsiasi progetto di “soggettivizzazione” che non sia funzionale ai rapporti sociali capitalistici, o facilmente recuperabile all’interno del governo delle contraddizioni sociali.
Questa è la sfida che ci troviamo di fronte, ignorarla o “relativizzarla” rende solo più debole la nostra riflessione di fase e l’azione politica conseguente.
Gli interventi precedenti sulla fase politica a Genova:
“Genova: il rebus politico delle elezioni genovesi nella crisi politica italiana”
http://contropiano.org/news/politica-news/2017/02/28/rebus-dellelezioni-politiche-genovesi-nella-crisi-della-politica-italiana-089352
“Genova: trama, governance e rottura”
http://contropiano.org/interventi/2017/03/10/genova-trama-governance-rottura-089738
Fonte
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