di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Fuga o visita
istituzionale? A guardare la situazione di caos in Libia, riesplosa con
tutto il suo bagaglio di contraddizioni nel fine settimana, sembrerebbe
che il premier del governo di unità nazionale (Gna) al-Sarraj
sia venuto in Italia non tanto per impegni pregressi quanto per il
fuoco sparato contro la base navale di Abu Seta, sede del Consiglio di
presidenza (troppo spaventato dalla scarsa legittimità di cui gode e
dall’assenza di sicurezza della capitale per insediarsi sulla terraferma
di Tripoli).
La stretta di mano immortalata nella foto pubblicata ieri su Twitter
dal primo ministro italiano Gentiloni conferma la presenza in Italia, in
un momento in cui un premier “normale” dovrebbe restare nel suo paese:
oltre all’assalto armato agli uffici galleggianti di al-Sarraj, gli
ultimi giorni hanno visto migliaia di persone scendere in piazza contro
le milizie armate.
Domenica miliziani legati alle Brigate al-Nawasi
(salafiti dell’area tripolina di Suq al-Juma’a che avevano espresso in
passato sostegno al Gna tanto da aiutarlo nell’insediamento) hanno assaltato Abu Seta,
occupandola per alcune ore. A facilitare loro il compito il controllo
che esercitano su al-Jumaa, la zona che si affaccia su Abu Seta.
A monte dell’attacco la rabbia per un comunicato emesso dal Gna che
criticava il fuoco sparato (probabilmente da misuratini) contro la
manifestazione anti-milizie di venerdì a Tripoli e che annunciava
l’apertura di un’inchiesta per individuare i responsabili della
sparatoria.
Poco dopo le forze di sicurezza del Gna hanno ripreso la base
a seguito di un accordo stretto tra il ministro della Difesa
al-Barghathi (inizialmente dato per «rapito») e le Brigate al-Nawasi.
Ma l’assalto dice molto dell’incapacità del governo di unità di
esercitare effettiva autorità sulla capitale. La scorsa settimana
Tripoli era tornata ostaggio di scontri a fuoco tra miliziani legati al
Gna e gruppi armati locali, conclusosi in apparenza con un cessate il
fuoco.
Una tregua – siglata giovedì e che doveva durare 30 giorni – sopravvissuta il tempo di una notte perché gli scontri sono ripresi quasi subito.
Venerdì scorso, in piazza sono scesi migliaia di manifestanti contrari
alle milizie di Misurata (blocco islamista dall’alleanza facile, in
prima linea a Sirte al fianco del Gna e ora di nuovo in rivolta).
Dalla folla di piazza dei Martiri e piazza Algeria sono partiti
alcuni slogan a favore del generale Haftar. Subito sono riecheggiati
colpi di armi da fuoco, sparati da mitragliatrici montate su pick-up
probabilmente guidate da misuratini, che hanno disperso la folla.
Al fuoco si è unita la protesta ufficiale: parlamentari di
Misurata hanno detto di aver sospeso i contatti con il Gna fino a quando
non porgerà scuse ufficiali per le manifestazioni anti-islamiste di
venerdì. «Quanto successo non è libertà di parola ma
incitamento alla violenza contro la città di Misurata», una protesta a
parole a cui è seguito domenica l’assalto alla base di Abu Seta.
Dietro sta la longa manus di Khalifa Ghwell, ex primo
ministro del governo islamista di Tripoli, sciolto dopo la creazione
dell’esecutivo di unità voluto dall’Onu: Ghwell, protagonista
negli ultimi mesi di putsch durati poche ore, è più di una mina vagante,
continuando a rappresentare e gestire fazioni islamiste capaci di
controllare ampi territori e di attuare azioni armate pericolose, come
l’attacco fallito al convoglio presidenziale su cui viaggiava al-Sarraj,
lo scorso febbraio.
A mischiare ulteriormente le carte ci sono le dichiarazioni di fonti vicino allo stesso Ghwell che all’agenzia araba Asharq al-Awsat avrebbero detto di aver tentato la via di un’intesa con i rivali di Tobruk per destituire al-Sarraj.
Una prospettiva avanzata da alcuni media già a gennaio, seppure si
scontri con la natura dei rapporti tra l’ex governo tripolino e il
ribelle Tobruk, il cui braccio armato – l’Esercito Nazionale libico del
generale Haftar – è impegnato da tre anni in una vasta operazione
anti-islamista. Secondo Asharq al-Awsat, Ghwell sarebbe pronto a lanciare un’operazione militare contro i quartier generali delle milizie pro-Sarraj.
Al caos sul terreno si aggiunge dunque il caos delle dichiarazioni e
del rimescolamento vero o presunto delle alleanze che pare avere come
reale obiettivo quello di impedire il raggiungimento di una qualsivoglia
intesa capitanata dal Gna.
Al-Sarraj gode solo del consenso internazionale, è privo dell’appoggio a lungo termine delle milizie armate (che cambiano velocemente casacca) e anche di consenso popolare.
Per ora a tenerlo in piedi sono Onu e Unione Europea, ma anche il
riconoscimento del nuovo attore, la Russia, che punta su al-Sarraj per
aprire le porte del Gna ad Haftar.
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