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07/12/2018

Yemen - I negoziati svedesi iniziano

di Chiara Cruciati – Il Manifesto

Forse le Nazioni unite hanno scelto Rimbo come sede del dialogo intra-yemenita per la calma che infonde il paesaggio. Piccola cittadina nel nord-ovest della Svezia, meno di 5mila abitanti e un’architettura pittoresca, con villette a due piani dai tetti spioventi.

È in una di queste che ieri si è aperto il tanto atteso negoziato tra il movimento Ansar Allah, espressione politica della minoranza Houthi, e il governo ufficiale del presidente Hadi, sponsorizzato sotto forma di operazioni militari da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e il loro seguito di pretoriani (dall’Egitto al Sudan).

Ma la serenità di Rimbo non è stata sufficiente a calmare gli animi. Che si sono scaldati ancor prima che le due delegazioni si mettessero a sedere allo stesso tavolo. Eppure il negoziato voluto dall’Onu, risultato di un lungo lavoro diplomatico dell’inviato speciale Martin Griffiths, si era aperto sotto buoni auspici: prima l’ok saudita al trasferimento in Oman di 50 combattenti Houthi feriti e poi l’intesa per uno scambio di prigionieri tra le parti, 2mila governativi contro 1.500 Houthi.

Mentre le due delegazioni erano in volo verso la Svezia, l’Onu ribadiva la necessità di un compromesso reale, capace di porre fine alla devastazione del più povero paese del Golfo. Ma ieri le speranze si sono scontrate con la realtà: il capo della delegazione governativa, il ministro degli Esteri Khaled al-Yamani, ha sì confermato lo scambio di prigionieri ma anche ripetuto il rifiuto a negoziare sulla più strategica delle battaglie, quella per la città portuale di Hodeidah, teatro da mesi di scontri violentissimi.

«Le milizie Houthi devono ritirarsi da Hodeidah e dal suo porto e consegnarli al governo legittimo», ha detto. Dichiarazione tranchant che chiude la porta in faccia non solo agli Houthi ma anche all’Onu: ad Hodedaih, nella visione governativa (e in quella della coalizione a guida saudita che ne decide politiche e priorità), non c’è spazio nemmeno per le Nazioni unite, che chiedono da tempo che il secondo porto del paese (da cui in questi anni di conflitto sono entrati il 70% dei – pochi – aiuti umanitari) sia posto per ora sotto il controllo internazionale.

Immediata la reazione dei ribelli: «Siamo venuti qui con l’intenzione di far funzionare questo dialogo – ha detto Hamid Issam, della delegazione Houthi – ma non dipende da Khaled al-Yamani. Dipende dall’Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi e dagli Stati Uniti. Potevano aver preso Hoideidah quattro anni fa. Ma non sono stati in grado di farlo e non lo saranno fin quando il popolo yemenita combatterà».

Mette il dito nella piaga: a tre anni e mezzo dall’inizio dell’operazione Tempesta Decisiva, voluta e gestita da Riyadh, sono chiare a tutti le difficoltà incontrate da uno dei più potenti e ricchi eserciti del mondo di fronte alla resistenza Houthi. Che, missili iraniani o no, mantiene il controllo di una buona parte dei territori presi dal settembre 2014 in poi. A partire dalla capitale Sana’a.

Ad Hodeidah la battaglia infuria da mesi: le forze governative e saudite avanzano con estrema lentezza e a pagarne lo scotto sono le centinaia di migliaia di civili intrappolati in città, impossibilitati a fuggire. Chi può, i residenti nelle zone più periferiche, è in fuga da giugno: secondo l’Onu, sono almeno 455mila gli sfollati da Hodeidah, un numero che si aggiunge ai 2,3 milioni di sfollati interni in tutto lo Yemen.

E la città è un campo di battaglia, con scontri strada per strada, una media di 100 bombardamenti a settimana, ospedali occupati da miliziani e combattenti, il porto reso inutilizzabile ai pescatori locali e svuotato dai cargo delle compagnie marittime, spaventate dal conflitto.

Griffiths, alla vigilia del negoziato, ha ricordato la centralità di Hodeidah, «canale umanitaria per il resto del paese». Ma governo e Houthi la guardano con altri occhi, come punto di svolta della guerra: chi vince Hodeidah, detta le condizioni.

«Si deve agire adesso, il futuro dello Yemen è nelle mani di chi è in questa stanza», l’appello di Griffiths, smorzato ieri dal primo scontro su uno dei punti in agenda. Oltre al cessate il fuoco ad Hodeidah, a Rimbo si dovrebbe discutere della riapertura dell’aeroporto di Sana’a, del pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici nelle zone controllate dagli Houthi e della fine del lancio di razzi da parte dei ribelli in cambio dello stop alle bombe saudite. Ieri, però, cadevano ancora: tre donne sono state uccise in un raid dei caccia Saud a al-Duraymi.

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