di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Forse le Nazioni unite hanno scelto Rimbo come sede del dialogo intra-yemenita per la calma che infonde il paesaggio. Piccola
cittadina nel nord-ovest della Svezia, meno di 5mila abitanti e
un’architettura pittoresca, con villette a due piani dai tetti
spioventi.
È in una di queste che ieri si è aperto il tanto atteso
negoziato tra il movimento Ansar Allah, espressione politica della
minoranza Houthi, e il governo ufficiale del presidente Hadi,
sponsorizzato sotto forma di operazioni militari da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e il loro seguito di pretoriani (dall’Egitto al
Sudan).
Ma la serenità di Rimbo non è stata sufficiente a calmare gli
animi. Che si sono scaldati ancor prima che le due delegazioni si
mettessero a sedere allo stesso tavolo. Eppure il negoziato
voluto dall’Onu, risultato di un lungo lavoro diplomatico dell’inviato
speciale Martin Griffiths, si era aperto sotto buoni auspici: prima l’ok
saudita al trasferimento in Oman di 50 combattenti Houthi feriti e poi
l’intesa per uno scambio di prigionieri tra le parti, 2mila governativi
contro 1.500 Houthi.
Mentre le due delegazioni erano in volo verso la Svezia, l’Onu
ribadiva la necessità di un compromesso reale, capace di porre fine alla
devastazione del più povero paese del Golfo. Ma ieri le speranze si
sono scontrate con la realtà: il capo della delegazione
governativa, il ministro degli Esteri Khaled al-Yamani, ha sì confermato
lo scambio di prigionieri ma anche ripetuto il rifiuto a negoziare
sulla più strategica delle battaglie, quella per la città portuale di
Hodeidah, teatro da mesi di scontri violentissimi.
«Le milizie Houthi devono ritirarsi da Hodeidah e dal suo porto e
consegnarli al governo legittimo», ha detto. Dichiarazione tranchant che
chiude la porta in faccia non solo agli Houthi ma anche all’Onu: ad
Hodedaih, nella visione governativa (e in quella della coalizione a
guida saudita che ne decide politiche e priorità), non c’è spazio
nemmeno per le Nazioni unite, che chiedono da tempo che il secondo porto
del paese (da cui in questi anni di conflitto sono entrati il 70% dei –
pochi – aiuti umanitari) sia posto per ora sotto il controllo
internazionale.
Immediata la reazione dei ribelli: «Siamo venuti qui con
l’intenzione di far funzionare questo dialogo – ha detto Hamid Issam,
della delegazione Houthi – ma non dipende da Khaled al-Yamani. Dipende
dall’Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi e dagli Stati Uniti.
Potevano aver preso Hoideidah quattro anni fa. Ma non sono stati in
grado di farlo e non lo saranno fin quando il popolo yemenita
combatterà».
Mette il dito nella piaga: a tre anni e mezzo dall’inizio dell’operazione Tempesta Decisiva, voluta e gestita da Riyadh, sono
chiare a tutti le difficoltà incontrate da uno dei più potenti e ricchi
eserciti del mondo di fronte alla resistenza Houthi. Che,
missili iraniani o no, mantiene il controllo di una buona parte dei
territori presi dal settembre 2014 in poi. A partire dalla capitale
Sana’a.
Ad Hodeidah la battaglia infuria da mesi: le forze governative e
saudite avanzano con estrema lentezza e a pagarne lo scotto sono le
centinaia di migliaia di civili intrappolati in città, impossibilitati a
fuggire. Chi può, i residenti nelle zone più periferiche, è in fuga da
giugno: secondo l’Onu, sono almeno 455mila gli sfollati da Hodeidah, un
numero che si aggiunge ai 2,3 milioni di sfollati interni in tutto lo
Yemen.
E la città è un campo di battaglia, con scontri strada per
strada, una media di 100 bombardamenti a settimana, ospedali occupati da
miliziani e combattenti, il porto reso inutilizzabile ai pescatori
locali e svuotato dai cargo delle compagnie marittime, spaventate dal
conflitto.
Griffiths, alla vigilia del negoziato, ha ricordato la centralità di
Hodeidah, «canale umanitaria per il resto del paese». Ma governo e
Houthi la guardano con altri occhi, come punto di svolta della guerra:
chi vince Hodeidah, detta le condizioni.
«Si deve agire adesso, il futuro dello Yemen è nelle mani di chi è in
questa stanza», l’appello di Griffiths, smorzato ieri dal primo scontro
su uno dei punti in agenda. Oltre al cessate il fuoco ad Hodeidah, a
Rimbo si dovrebbe discutere della riapertura dell’aeroporto di Sana’a,
del pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici nelle zone
controllate dagli Houthi e della fine del lancio di razzi da parte dei
ribelli in cambio dello stop alle bombe saudite. Ieri, però, cadevano
ancora: tre donne sono state uccise in un raid dei caccia Saud a
al-Duraymi.
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