Un’altra giornata di sangue, quella di ieri, in Iraq: la polizia ha
sparato ancora sui manifestanti a Baghdad e a Bassora, nel sud,
uccidendo undici persone. Cinque uccisi nella città meridionale e sei nella capitale. Almeno 35 i feriti sul ponte Shuhada, a Baghdad.
Eppure si prosegue nella protesta, giunta al 13esimo giorno consecutivo di presidio,
ma iniziata il primo ottobre scorso. In centinaia di migliaia
continuano a restare nelle piazze della capitale e a bloccare il porto
commerciale di Umm Qasr a Bassora, impedendo l’uscita di cibo e beni
primari, quelli che l’Iraq importa per la carenza della
produzione interna. Prosegue invece senza grosse interruzioni la
produzione di greggio, nonostante la protesta alla raffineria di
Nassiriya avesse chiuso all’inizio della settimana le vie di accesso.
La mobilitazione è grande, grandissima, eppure esternamente non appare. Un
silenzio surreale avvolge l’Iraq con la stampa che ne parla
pochissimo o come nel caso italiano per nulla, con pochissime eccezioni,
e i governi europei che non si esprimono. Ha parlato l’Europa,
ieri, attraverso Federica Mogherini, alta rappresentante per gli affari
esteri: lady Pesc ha condannato l’uso eccessivo della forza da parte
della polizia irachena e ha chiesto che «i responsabili degli abusi
siano giudicati».
Sono oltre 270 i morti dal primo ottobre, contando le undici
vittime di ieri. Migliaia i feriti, mentre non si conosce con esattezza
il bilancio degli arrestati. Non sono però stati menzionati dall’inviata
dell’Onu per l’Iraq, Jeanine Hennis-Plasschaert. In un tweet mercoledì,
senza nominare la repressione, ha criticato i manifestanti per
il blocco di porti e impianti petroliferi: «L’interruzione di
infrastrutture fondamentali preoccupa molto. Minacciare o chiudere le
vie per gli impianti petroliferi e i porti causa perdite di miliardi».
Le perdite ci sono, è vero, ma alla protesta importa poco: il petrolio
conta meno dei loro diritti e della mancata redistribuzione che da
quella ricchezza deriva. Ieri il generale Khalaf, portavoce del premier Adel Abdul-Mahdi, ha stimato sei miliardi di dollari di perdite per il blocco del porto di Umm Qasr per poi minacciare i manifestanti di arresto immediato se bloccheranno ponti e strade.
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