Due sono i fatti rilevanti da sottolineare nella vicenda
Ilva-ArcelorMittal. Innanzitutto l’oscillante pusillanime posizione dei
governi, che si sono succeduti nel tempo, sulla concessione o non
dell’immunità penale, senza tenere presente che questa concessione è
giuridicamente impossibile e, se concessa, dovrebbe essere
immediatamente cancellata dalla Corte costituzionale, trattandosi in
pratica di una “licenza di uccidere”.
Tale immunità è stata concessa una prima volta da Monti poi in forma
estesa da Renzi, inoltre prima revocata e poi tentata di riconcederla da
Di Maio, e infine eliminata dai grillini con il decreto crescita e con
il decreto imprese.
Per di più nella riunione tra governo e ArcelorMittal si è verificata
una spaccatura tra M5s, che ha insistito per non concedere l’immunità e
Pd, Leu e Iv, che invece, dimostrando inutile pavidità, hanno
dichiarato di volerla ripristinare.
Una situazione altalenante che purtroppo espone il nostro governo alle
critiche pungenti dell’opinione pubblica nazionale e internazionale.
D’altra parte assurda è la posizione di ArcelorMittal, la quale in
sostanza, come si sono abituate a fare le multinazionali straniere,
vuole scaricare sugli operai il rischio di impresa che è e deve restare
dell’imprenditore.
ArcelorMittal ha avuto la baldanza di citare in giudizio il nostro
governo per ottenere la rescissione del contratto, adducendo di aver
assunto obbligazioni a condizioni inique, a causa di una falsa
rappresentazione dei dati reali da parte del contraente italiano.
Si tratta di una falsità utilizzata come mero espediente cavilloso.
ArcelorMittal dovrebbe leggere meglio l’articolo 1447 del Codice civile,
secondo il quale “la rescissione del contratto può verificarsi quando
una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique per la necessità,
nota alla controparte, di salvare se o altri dal pericolo attuale di un
danno grave alla persona.” Ma qual era la situazione di pericolo attuale
di un danno grave grave alla persona da parte di ArcelorMittal?
In questo caso il danno grave è stato subito dagli operai dell’Ilva, uno
dei quali ha perso la vita a causa della cattiva manutenzione
dell’altoforno numero 2, e dall’intera popolazione di Taranto, che ha
subito un aumento gravissimo delle morti da tumore.
ArcelorMittal pesca nel torbido e non può essere considerato un contraente affidabile.
In realtà essa vuole una sola cosa: ridurre il personale di 5000
unità e impossessarsi delle commesse dell’Ilva per combattere la
concorrenza delle altre imprese di settore.
È invece il governo italiano che deve chiedere con dignità, non la
rescissione del contratto come vorrebbe ArcelorMittal, ma la risoluzione
del contratto ai sensi dell’articolo 1453 del Codice civile secondo il
quale: “quando uno dei contraenti non adempie alle sue obbligazioni,
l’altro può, a sua scelta, chiedere l’adempimento o la risoluzione del
contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno”. Ed è su
quest’ultimo aspetto che il governo dovrebbe insistere.
Se ne avessimo la forza, suggeriremmo al governo di chiudere ogni forma
di trattativa con ArcelorMittal, nazionalizzare per sempre questa
industria, stabilendo quanta parte di essa risponda alle effettive
richieste del mercato dell’acciaio e quanta parte invece deve essere
invece riconvertita in altre attività assolutamente non inquinanti, le
quali certamente produrrebbero molto profitto per lo Stato italiano,
come è avvenuto per il bacino della Rhur che conteneva centinaia di
industrie inquinanti che sono state riconvertite in attività culturali o
di diporto.
Inviteremmo anche i lavoratori a costituirsi in una società cooperativa
ai sensi dell’articolo 45 della Costituzione, dichiarandosi pronti a
portare avanti l’attività dell’Ilva sotto la direzione di manager capaci
e onesti, scelti da loro e di concerto con il governo.
Il momento è estremamente delicato e il governo ha la necessità
inderogabile di non spezzare il rapporto di fiducia che il popolo ha
nelle istituzioni.
E a tal fine, in questo momento, deve adottare una unica soluzione:
nazionalizzare l’Ilva e mandare a casa ArcelorMittal. Lo impone
l’articolo 54 della Costituzione che fa obbligo a tutti e in particolare
a chi esercita pubbliche funzioni di osservare la Costituzione, che è
legge fondamentale dello Stato ai sensi della disposizione diciottesima
delle norme transitorie della Costituzione stessa, agendo per altro con
“dignità ed onore”.
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