di Michele Giorgio – Il Manifesto
Intervenendo ieri alla
terza edizione del forum “Future investment initiative”, il ministro
delle finanze saudita, Mohammed al Jadaan, ha esaltato le «riforme di
ampia portata» che, a suo dire, avrebbero trasformato il regno dei Saud e
il Golfo in un centro di investimenti internazionali.
«Queste riforme sono state progettate per rispondere alle sfide che
affrontiamo nella nostra economia», ha spiegato al Jadaan sottolineando
l’incremento del 10% degli investimenti esteri diretti nel suo Paese. Per
il colosso saudita però le cose non vanno così bene come sostiene il
ministro delle finanze. Lo stesso al Jadaan ha dovuto ammettere che
Riyadh, nonostante le cospicue, a dir poco, entrate generate
dall’esportazione del greggio, il prossimo anno raggiungerà un deficit
di bilancio di 187 miliardi di riyal pari a 49,86 miliardi di dollari. In crescita sul buco di oltre 40 miliardi di dollari con cui dovrà fare i conti alla fine del 2019.
L’Arabia Saudita spende troppo in armi (statunitensi), per la
guerra in Yemen e per finanziare la sua costosa politica estera: un
interminabile gioco a scacchi di alleanze aperte o nascoste volto a
fronteggiare le mosse del suo avversario, l’Iran. La produzione
di greggio viaggia verso i livelli massimi ma il prezzo sul mercato di
quello che un tempo era chiamato «l’oro nero» non aiutano abbastanza le
finanze saudite. Il regno, ha detto al Jadaan, si aspetta entrate per
833 miliardi di riyal per il 2020, in calo rispetto ai 917 miliardi
previsti quest’anno.
Questi dati giungono mentre si avvicina la conclusione della
mega-operazione per la quotazione in Borsa del gigante petrolifero
saudita Aramco. L’annuncio è atteso domani con l’incognita della
valorizzazione che la società riuscirà spuntare. Riyadh punta
molto su questa iniziativa, parte del piano di riforme “Vision 2030” che
fa capo al principe ereditario, Mohammed bin Salman (MbS). E ripete
agli investitori che il valore della Aramco è sui 2 mila miliardi di
dollari. La valutazione dei mercati invece è inferiore, intorno ai 1.500
miliardi.
MbS, artefice dell’operazione, ha fatto capire che gli andrà bene una
valutazione sui 1.700 miliardi. Il principe ha bisogno di un successo
anche per ricostruire la sua immagine internazionale appannata
dall’accusa di aver dato il via libera nel 2018 all’assassinio del
giornalista dissidente Jamal Khashoggi, avvenuto nel consolato saudita a
Istanbul.
“Vision 2030” pone l’accento sulle riforme strutturali, le
privatizzazioni e lo sviluppo delle piccole e medie imprese.
L’obiettivo, dichiarato da MbS, è rendere l’Arabia Saudita meno
dipendente dal petrolio e creare posti di lavoro per i giovani che
la struttura economica, al momento, non pare in grado di generare. Il piano è
giudicato troppo ambizioso dagli esperti.
AGGIORNAMENTO 4 novembre 2019
Riyadh lancia la prima offerta pubblica per la compagnia petrolifera Aramco
Come ampiamente annunciato nei giorni precedenti, ieri l’Arabia
Saudita ha dato il via libera all’offerta pubblica sull’Aramco,
ufficializzandone la quotazione in borsa. Di dettagli ancora ce ne sono
pochi: si parla di una percentuale di azioni in vendita tra l’1% e il
2%, ovvero tra i 20 e i 40 miliardi di dollari. Secondo quanto
dichiarato dalla compagnia la colossale offerta pubblica, Ipo, sarebbe
divisa in due: una parte a favore di investitori individuali e una per
investitori istituzionali.
Da questo momento, secondo le agenzie di stampa, la principale
compagnia petrolifera saudita – e la più profittevole al mondo –
incontrerà banchieri e investitori per definire quante azioni mettere
sul mercato azionario. Un dettaglio fondamentale visto che il sogno dei
Saud è usare il denaro in entrata per finanziare le riforme di
diversificazione dell’economia volute dal principe ereditario Mohammed
bin Salman, alla drammatica ricerca di nuova legittimità internazionale.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento