Dagli eredi del blairismo ai sovranisti, un libro analizza
(ammonendo del pericolo) chi si spaccia per progressista quando sposa
valori di destra. Certo, stona il popuslita Laclau trattato come un
Fusaro qualsiasi. Ma secondo l’autore, la sinistra per essere tale deve
ricominciare a difendere i soggetti deboli della società rispolverando
Marx e la lotta di classe, “un concetto tutt’altro che superato”.
di Giacomo Russo Spena
Da un lato la destra becera e nazionalista, pericolosa ed estremista,
che a suon di propaganda parla alla pancia del Paese foraggiando
disvalori e guerra tra poveri. La destra di Matteo Salvini e Giorgia
Meloni che sabato, a Roma, hanno palesato il loro orgoglio italiano
blaterando di sostituzione etnica, “Dio patria e famiglia”, lotta alla
droga con “armi in strada” ed elogiando il discutibile Viktor Orban,
presidente dell’Ungheria. Dall’altro lato – come argine? – si configura
l’attuale governicchio: un progetto in fieri dove i presagi non sono incoraggianti. Dopo il ribaltone agostano, o meglio l'harakiri
di Salvini, il Conte 2 si delinea come una coalizione tra diversi
tenuta insieme più dal pericolo per le urne che da un programma
progressista condiviso. Il nuovo partito di Renzi e le bordate del
grillino (dissidente) Di Battista – costretto a congelare il suo libro
sul “Partito di Bibbiano” – destabilizzano un quadro già complesso di
suo: intanto, i recenti sondaggi danno la destra in crescita e le forze
di governo in calo.
In questo scenario, la sinistra radicale o d’alternativa non tocca
palla. La grande assente. Una sinistra incapace di rispondere alle
richieste popolari finita per farsi fagocitare dal Pd zingarettiano –
l’ultima new entry è Laura Boldrini – a parte qualche piccola
formazione. Come siamo giunti a questo punto? Come ha fatto la sinistra a
perdere culturalmente nel Paese? L’attivista e scrittore Mauro Vanetti
prova a rispondere a tali quesiti, tanto impegnativi quanto inevasi, nel
libro La sinistra di destra (edizione Alegre, 239pp, 15euro).
Per descrivere il senso del termine utilizza l’immagine di uno zombie
che si aggira per l’Europa, un mostro bicefalo i cui due volti sono il
sovranismo e liberismo: “Un morto – scrive – che cammina sinistrofago
che svuota la testa da ogni idea di riscatto sociale e solidarietà
internazionale per riempirla con una sostanza gelatinosa formata, in
dose variabili, da populismo, classismo, razzismo, sessismo e
nazionalismo”.
L’autore ricostruisce come, negli ultimi
trent’anni, le socialdemocrazie europee abbiano abbandonato le ragioni
della sinistra da quando si è assunto come proprio il paradigma della
“terza via” di Tony Blair, la stessa stagione di Bill Clinton e dei
tanti emuli successivi, i quali hanno utilizzato la parola “riformismo”
per sostenere guerre umanitarie, privatizzazioni, deregulation,
restringimento del welfare state e precarizzazione della vita dei
cittadini. Le socialdemocrazie hanno esaltato le magnifiche sorti e
progressive della globalizzazione liberista, rimuovendo allo stesso
tempo il contesto di nascita e di pervasività di un capitale finanziario
predatorio che sempre più assumeva una dimensione biopolitica. Un nuovo
capitalismo impossibile da gestire, sovranazionale, tecnicamente
avanzato, capace di imporre l’agenda ai governi, pena la crisi economica
di interi Stati.
Una sinistra di destra che ha
sostenuto l’Europa dell’austerity spianando la strada al populismo
xenofobo: cos’è l’onda nera se non una reazione (sbagliata) ad un
Sistema al collasso che ha generato diseguaglianze e politiche
impopolari? Eppure si persevera negli errori. Alla recente Leopolda 10
la ministra Bellanova, ad esempio, ha attaccato “chi dice che tutti
possono avere tutto” adottando il mantra blairiano del merito. Peccato
che le nostre società siano tutto tranne che meritocratiche! Anzi – come
dimostrano diversi studi sull’assenza di ascensore sociale nel Paese – è
proprio l’ideale meritocratico che garantisce il dominio dell’1 per
cento e contribuisce a mantenere il 99 zitto, rassegnato e docile.
Mentre una vera sinistra dovrebbe sposare una distribuzione “giusta” di
status, ricchezza e potere che sia meno escludente e gerarchica, l’Italia Viva di Renzi brama quel merito che si configura come strumento – potentissimo – di un’élite del privilegio.
Oltre alla terza via blairiana, liberista e conformista, Vanetti si
scaglia contro il virus del rossobrunismo. In Italia, negli anni ‘60,
abbiamo già assistito a tale fenomeno ma, diversamente da oggi, erano i
settori neofascisti che rimanevano infatuati dal pensiero sinistrorso.
Da qui sorgeranno il filone del nazimaoismo e il movimento d’estrema
destra Terza posizione che, dietro la teorizzazione di un’ipotetica
alleanza tra rossi e neri contro la società borghese, mimetizzava
propaganda neofascista, tramite lessico e immagini della parte opposta.
Sono gli anni in cui si diffondeva il pensiero del filosofo Costanzo
Preve. Ora ci sorbiamo il suo allievo, Diego Fusaro. Il giovane studioso
di Gramsci, così ama definirsi, è il guru per eccellenza del
rossobrunismo, un personaggio che gioca a fare l’anti-Sistema pur
vivendo nei salotti televisivi del Paese. I suoi adepti subiscono, oggi,
la fascinazione per la Russia di Putin o per la Siria di Assad,
trattano i diritti civili come folklore borghese, denigrano il
femminismo e, soprattutto, invocano l’innalzamento delle frontiere per
fermare l’invasione dei migranti.
Molte pagine del libro sono volte a smontare, analiticamente, il concetto di dumping salariale
tra lavoratori autoctoni e stranieri rispolverando gli studi di Marx ed
Engels sull’esercito industriale di riserva. Secondo Vanetti, Fusaro
avrebbe una visione distorta del marxismo: se davvero ha letto il vecchio Karl, di
certo non l’ha compreso. Dal libro si evince che è lo sviluppo delle
unioni – cioè dei sindacati, degli scioperi, delle casse di mutuo
soccorso – la risposta corretta alla concorrenza “perché la spezzano”.
Dal rossobrunismo l’autore – convinto no borders
– passa alla condanna del populismo, senza grandi distinguo. Il
populismo di sinistra di Ernesto Laclau e Chantal Mouffe viene
frettolosamente etichettato, liquidato e banalizzato. Un passaggio che
stona provocando una sbavatura nel libro. Viene preso di mira
l’interclassismo postmarxista del populismo di sinistra, accusato di
essere riformista. “Demolire la teoria marxista sulla composizione di
classe delle società contemporanee è sempre stata un’ossessione per un
certo intellettuali di sinistra – recita un passaggio – Se cade la
centralità della classe operaia come classe rivoluzionaria si disinnesca
la carica rivoluzionaria del marxismo e si è costretti a ripiegare
sull’accettazione dell’esistente”.
Insomma, questo 99 per cento di cui parlano Laclau e Mouffe, o meglio questo popolo,
non esisterebbe perché, alla fine, bisogna schierarsi: “Si sta coi
lavoratori o coi padroni?”. Una lettura che rischia di sottovalutare
diversi fenomeni come l’accumulazione di ricchezze in poche mani
(l’élite dominante), la teoria dello “sgocciolamento” e la
polverizzazione del ceto medio. Lo stesso Laclau, filosofo argentino e
postmarxista, non dipinge il suo popolo come un blocco omogeneo: “Il
popolo è la risultante da una catena equivalenziale che collega domande
eterogenee, e la cui unità è garantita dall’identificazione con una
concezione democratica radicale di cittadinanza e dall’opposizione
comune all’oligarchia”.
Un altro errore di Vanetti è di
associare il populismo di Laclau alle pericolose riletture sovraniste –
come se Chantal Mouffe fosse in qualche modo ascrivibile al
rossobrunismo – mentre l’esempio di Podemos in Spagna dimostra come si
possa essere populisti e, nello stesso momento, convinti europeisti. Si
potrebbe discutere ore e giorni sulla fondatezza degli studi di Laclau e
Mouffe ma trattarli come i Fusaro di turno sembra alquanto discutibile,
soprattutto per un libro che ha il grande merito di analizzare con
minuzia teorica e argomentativa chi si cela a sinistra.
Infine, la parte costruens: l’autore pensa che la
sinistra non si riduca ai partiti ma che nel Paese esistano già
associazioni, comitati territoriali, movimenti – cita Non una di meno – che possano essere cardini per la costruzione di un’alternativa nella
società. Vanetti sogna una nuova sinistra di classe: “Rivendico la
parola sinistra e intendo difenderla dalle distorsioni, ma la cosa che
davvero conta è schierarsi coscientemente dalla parte della classe
sfruttata”. Chi scrive ha più dubbi dell’autore sul concetto di classe –
tema che merita saggio a parte – ma sicuramente il libro è uno
strumento utile per fare luce su chi si dichiara di sinistra sposando
valori di destra. Riconoscere i nemici interni: un primo passo per
ripartire.
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