Hanno superato abbondantemente la soglia dei 3 milioni di contagiati e di 130 mila morti.
Il sistema sanitario è sull’orlo della congestione in alcuni Stati per ciò che concerne i reparti di terapia intensiva. Sono più di 40 gli ospedali in Florida in queste condizioni, mentre nel Mississippi le 5 maggiori strutture ospedaliere non hanno più letti disponibili in questi reparti.
E si registrano lo scoppio di nuovi focolai in tutto il territorio nazionale.
Come riporta il New York Times, il numero dei decessi sembrerebbe porre fine alla lenta discesa che si era registrata a livello nazionale. 119 morti in Texas, mercoledì, superano il numero massimo raggiunto appena il giorno prima, mentre in Arizona questa settimana i morti sono più di 200. Alabama, Florida, Mississippi, South Dakota e Tennessee hanno avuto questa settimana il record di decessi in un singolo giorno.
In questo esercizio di macabra contabilità, la media giornaliera ha raggiunto i 608 decessi negli Stati Uniti, erano 471 ad inizio luglio e 2.200 a metà aprile.
Il numero dei test effettuati risulta insufficiente, solo il 39% rispetto al livello considerato necessario per mitigare la diffusione del virus: 634 mila la settimana, molto lontani dal milione e seicentomila che sarebbero necessari. Inoltre, secondo i criteri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la riapertura delle attività è consigliata almeno 14 giorni dopo che la percentuale dei test risultati positivi sia scesa sotto il 5 %, mentre attualmente negli Stati Uniti è pari all’8% (su comunque meno della metà dei test che si dovrebbero effettuare, secondo i ricercatori di Harvard, per contenere il virus).
Questo in una logica di “contenimento”, perché la “soppressione” del contagio implicherebbe un numero di controlli nettamente maggiore.
34 Stati ha necessità di effettuare più test, 5 sono vicini alla soglia, e solo 12 – cioè poco più di un quinto del totale – l’hanno raggiunta o quasi.
Solo tre Stati – Vermont, Hawaii e Alaska – hanno superato il limite, ed alcuni ci sono molto vicini: Virginia Occidentale, Montana e New Jersey. Come risulta dalla ricerca pubblicata sul sito globalepidemics.org “mentre i testi effettuati sono raddoppiati dalle nostre ultime stime a maggio (da circa 250.000 a più di 550.000 test al giorno) non siamo affatto vicini a dove dovremmo essere. Abbiamo bisogno di creare una capacità di testare milioni di persone ogni giorno – 4 milioni secondo gli ultimi modelli”.
In questo contesto continua lo scontro tra l’entourage di Trump e gli esperti sull’orientamento da tenere. L’ultimo in ordine di tempo, quello sulla riapertura delle scuole, caldeggiata dal Presidente, mentre appare chiara la correlazione tra riaperture “precoci” e risalita della curva del contagio, senza che peraltro si fosse mai “appiattita” e senza che venissero adottate come obbligatorie misure minime igienico-sanitarie, dall’indossare la mascherina al distanziamento sociale.
In una intervista al quotidiano francese Libération, raccolta dalla corrispondente a New York Isabelle Hanne, l’epidemiologo Jennifer Horney, direttore del programma di epidemiologia all’Università del Delaware è lapidario “gli USA non sono mai usciti dalla prima ondata”.
A parte i successi circoscritti a New York e nel New Jersey, gli altri stati che “hanno rapidamente riaperto le loro economie e che non rispondevano ai criteri raccomandati a livello federale per farlo, conoscono oggi un’esplosione di casi, come in Texas, Arizona o in Florida”.
Siamo di fronte ad un caso esemplare di “eterogenesi” dei fini: Trump ha pressato per riaprire per cercare di mostrare un miglioramento economico e dare l’impressione di essere usciti dall’emergenza, ottenendo l’esatto contrario.
Ma Trump è il prodotto di un sistema sociale fallito, e non il contrario. Al massimo la sua leadership esercita una “retroazione negativa” su un processo in corso da tempo e che ha fatto affiorare le contraddizioni storiche di quel modello di sviluppo: se anche fosse defenestrato a Novembre le lancette dell’orologio non tornerebbero indietro e non ci troveremo al ripristino puro e semplice dello “status quo ante”, come narra il suo pallido avversario democratico, Biden.
Il risultato di questo fallimento incrociato è ben spiegato dall’autorevole commento di Paul Krugman sul New York Times, che qui abbiamo tradotto. Noi porremmo lo spartiacque di questo fallimento più indietro di quello che fa l’opinionista, ed estenderemmo il numero delle cause, naturalmente.
Nell’intercalare del discorso, Krugman si chiede se gli Stati Uniti siano ancora una nazione avanzata. La domanda per noi non ha assolutamente un valore retorico, così come la risposta non è scontata.
A noi verrebbe da dire che le uniche nazioni avanzate su questo fronte che si sono dimostrate tali sono quelle con un sistema socialista e governate da comunisti, ed una manciata di altri Stati...
Buona Lettura
*****
Quando l’America ha iniziato a perdere la sua guerra contro il coronavirus? Come siamo finiti ad essere i paria internazionali, non autorizzati, addirittura, a viaggiare in Europa?
Vorrei suggerire che il punto di svolta è stato il 17 aprile scorso, il giorno in cui Donald Trump ha twittato “LIBERATE IL MINNESOTA!”, seguito da “LIBERATE IL MICHIGAN!” e “LIBERATE LA VIRGINIA!”. In questo modo ha effettivamente dichiarato il sostegno della Casa Bianca ai manifestanti che chiedevano la fine dei confinamenti che i governatori avevano disposto per tenere il COVID 19 sotto controllo.
Si dà il caso che i governatori democratici contro i quali Trump mirava quei tweet siano rimasti fermi sulla loro decisione. Tuttavia, i governatori repubblicani dell’Arizona, della Florida, del Texas e di altri stati, ben presto hanno revocato gli ordini di rimanere in casa e hanno messo fine ad alcune restrizioni nei settori lavorativi.
Loro, seguendo la guida di Trump, si sono rifiutati di imporre alle persone di indossare la mascherina, e il Texas e l’Arizona hanno negato il diritto ai governi locali di imporre determinati requisiti. Non hanno ascoltato gli avvertimenti degli esperti sanitari che una riapertura prematura e negligente avrebbe portato ad una nuova ondata di infezioni.
E il virus è arrivato.
L’epidemia iniziale di COVID 19 con epicentro a New York avrebbe dovuto insegnarci a stare all’erta. L’aumento delle percentuali di contagio può sembrare un problema minore all’inizio, soprattutto se non si fanno abbastanza test, finché non esplode a una velocità impressionante.
Ma né i governatori repubblicani, né l’amministrazione Trump avevano intenzione di imparare la lezione. Nella seconda settimana di giugno nuovi casi di coronavirus erano in aumento in Arizona e chiaramente in crescita in Texas. Eppure, i governatori di entrambi gli stati non hanno dato ascolto alle richieste di sospendere le riaperture, insistendo che tutto era sotto controllo.
Il 16 giugno il Wall Street Journal ha pubblicato un commento a firma del vicepresidente Mike Pence, che dichiarava che non c’era e non ci sarebbe stata una seconda ondata di coronavirus. Visti i precedenti dell’amministrazione Trump, questo significava praticamente che una seconda ondata stava per colpire. E così è stato.
Nelle scorse tre settimane le cose sono diventate velocemente molto cupe. Gli ospedali in Arizona e Texas sono in crisi. E, sì, è stata colpa della riapertura prematura, sia direttamente sia dando segnali alle persone che il rischio era passato.
Ma perché l’America ha fatto questo disastro con il COVID?
Ci sono state molte opinioni riguardo al fatto che la risposta fallimentare alla pandemia sia profondamente radicata nella cultura americana. Noi siamo, questa è l’argomentazione, troppo libertari, abbiamo troppa poca fiducia nel governo, non siamo disposti ad accettare neppure il più breve disagio per proteggere gli altri.
Sicuramente c’è qualcosa di vero in questo. Non credo che nessuna altra nazione avanzata (ma siamo ancora una nazione avanzata?) abbia avuto un numero simile di persone che hanno urlato arrabbiate quando è stato chiesto loro di indossare una mascherina in un supermercato.
Non c’è stata sicuramente nessun altro paese sviluppato dove manifestanti contro le misure di salute pubblica hanno brandito le loro armi e hanno invaso le sedi dei governi degli Stati. E il partito repubblicano è più o meno l’unico fra i maggiori partiti politici dell’occidente così ostile alla scienza.
Ma quello che mi sconvolge, guardando all’enorme fallimento conto la pandemia, è come sia avvenuto tutto “dall’alto”.
Le proteste contro il lockdown non sono state spontanee, dal basso. Molte sono state organizzate e coordinate da attivisti politici conservatori, alcuni con stretti legami con la campagna per Trump, e finanziati in parte da miliardari di destra.
La corsa alla riapertura negli Stati del sud è stata più un avvenimento legato ai governatori repubblicani che seguivano Trump che non una risposta alle richieste della popolazione.
La forza motrice dietro la riapertura, per come la vedo io, è stato il desiderio dell’amministrazione di avere un aumento nel numero degli occupati fino a Novembre per fare quello che sa fare meglio: vantarsi del successo economico.
In realtà aver a che fare con una pandemia non è proprio fra le capacità di Trump. In quel caso, comunque, perché Trump ha rifiutato di indossare una mascherina o di spingere gli altri a farlo? Dopo tutto, un uso diffuso delle mascherine è un modo di limitare i contagi senza chiudere l’economia.
Ebbene, la vanità di Trump – lui credeva che indossando una mascherina sarebbe sembrato stupido, o che avrebbe rovinato il suo trucco o che altro – ha sicuramente giocato un ruolo importante in tutto ciò. Ma è anche vero che le mascherine ricordano alla popolazione che noi non abbiamo ancora fermato il coronavirus e Trump vuole che le persone dimentichino questo piccolo particolare.
L’ironia è che la volontà di Trump di “scambiare morti per posti di lavoro” in un vantaggio politico è stato un fallimento.
La riapertura ha portato a un incremento dell’occupazione a maggio e giugno, in quanto circa un terzo dei lavoratori licenziati per la pandemia sono stati riassunti. Tuttavia, l’approvazione per Trump e le prospettive elettorali hanno continuato a scivolare verso il basso.
Anche in termini puramente economici la corsa alla riapertura è stata probabilmente un fallimento. L’ultimo numero ufficiale degli occupati è stata un’istantanea dalla seconda settimana di giugno, un certo numero di indicatori di breve termine suggerisce che la crescita è rallentata o si è addirittura fermata, specialmente negli Stati dove i casi di Covid19 sono alle stelle.
In ogni caso, il punto è che la sconfitta dell’America per mano del coronavirus non è avvenuta perché la vittoria era impossibile, né perché noi come nazione siamo stati incapaci di rispondere. No, noi abbiamo perso perché Trump e quelli intorno a lui hanno deciso che era nel loro interesse politico lasciare correre il virus indisturbato.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento